Osservare, studiare, 3 colori a matita ed un foglio bianco - QdS

Osservare, studiare, 3 colori a matita ed un foglio bianco

Osservare, studiare, 3 colori a matita ed un foglio bianco

lunedì 11 Dicembre 2023

Una moltitudine di Design HUB insediati nel territorio siciliano, quali strumenti per condurre alla creazione di notevoli, proficue economie e di bellezza

In questa rubrica, mi sono impegnato a voler mettere in luce le traiettorie d’efficacia inerenti il recupero, la ri-funzionalizzazione e la riqualificazione ambientale, e sociale, di brani del tessuto urbano o di interi contesti ambientali, particolarmente esposti al degrado. A ragione di ciò, ho operato (e continuerò a farlo per voi, miei cari lettori) il coinvolgimento di alcuni protagonisti di tali pratiche, di efficaci processi di determinazione di traiettorie di assolvimento di problematiche complesse, attraverso lo strumento del progetto.

Oggi ho inteso raccogliere le riflessioni dello Studio di Architettura SPAZIO 4.0, architetti Rosario Battaglia e Claudio Di Forti, che ha sede a San Cataldo (CL). Di Forti, recentemente è stato inserito nella selezione( durissima) operata dall’ADI Design Index 2023 per la candidatura al Premio del Compasso d’Oro ADI, con il prodotto denominato Oxyd’arthe, che lo stesso ha sperimentato e brevettato per conto dell’azienda siciliana Spiver.

Cerimonia ADI Design Index 2023. ADI Design Museum del Compasso d'Oro. Milano. Nella foto Claudio di Forti con Luciano Galimberti Presidente ADI
Il Buon Governo - Lorenzetti
Johannes Itten
Mies Van de Rohe
Monolite Nero. 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick
Oxyd'arthe, di Claudio Di Forti
Oxyd'arthe
Plastico
Posate design Carlo Scarpa
Teatro del mondo - Aldo Rossi

Luigi Patitucci. Bene Architetti, quali sono, secondo voi, le traiettorie di induzione alla partecipazione attiva della utenza, che noi designer possiamo innestare attraverso l’esercizio, gigantesco ed illimitato, inesauribile, del potenziale connesso alla frazione ludica, giorno per giorno, istante per istante? È un potenziale energetico incommensurabile ed estremamente efficace, se ci pensate, basterebbe metterlo in esercizio con le opportune procedure.

L.P.  Nei miei scritti parlo spesso di Design Therapy, quale nuovo ‘bisogno’, in un’era in cui tale termine è stato destituito dal termine ‘desiderio’, ovvero della realizzazione di serie di azioni concrete nella nostra vita reale, per la realizzazione di un Paesaggio Risonante. Come pensi possa essere accolta, dagli enti competenti, tale procedura di realizzazione di uno scenario attivo nei nostri contesti territoriali.

L.P. Quali limiti possiede uno strumento di pianificazione e governo dei nostri contesti ambientali, quale è quello del PRG che, per definizione ha una durata illimitata, in un’era in cui i profili d’esercizio sempre più dichiarati, delle volte con grande spudoratezza e poca adesione ai feroci parametri propri della realtà concreta, sono quelli propri della Smart City?

Il PRG, così come la stragrande maggioranza dei “piani” usati in ambito urbanistico ed architettonico, mostra i suoi limiti intrinseci di un elaborato che deve “regolare” con dettami statici e, ovviamente, collide con ciò che per natura è estremamente mutevole, la nostra esistenza e tutti i parametri che essa si porta dietro. La tendenza che le amministrazioni hanno nel sostituire i PRG con i PUG che per definizione tendono a dare, perlomeno sotto il profilo prettamente lessicale, maggiore importanza all’urbanistica, tenderebbe però a farci ben sperare per il futuro. Il tema delle “città intelligenti” entra a gamba tesa nel mondo della pianificazione, anche se, bisogna dirlo, scardinare il concetto comune secondo cui la pianificazione è strettamente correlata al concetto “fisico/infrastrutturale”, non sarà operazione semplice!

L.P.  Come si conciliano questi due profili d’intervento, in un contesto urbano che non può fare più a meno di dover accogliere nella determinazione dei suoi parametri d’ingaggio e d’esercizio termini quali “temporaneità”, “provvisorietà”, “mutabilità”, “impermanenza”?

“Ceci ne pas una pipe”. Immaginando il “territorio dell’architettura” come risultanza di interferenze artistiche, inerenti il design o, ancora, filosofiche, sociologiche, psicologiche, appare utile poter prendere in prestito l’emblema di Magritte che, nel cercare di voler rappresentare la complessità del linguaggio, ci dà lo spunto per poter affrontare il tema del temporaneo. D’altronde L’éphémère est éternel è diventata la chiave di lettura dell’opera effimera per eccellenza: il teatro del mondo di Aldo Rossi. Ma, invertiamo per un attimo i ruoli: ritieni che esistano tante architetture “più eterne” dell’emblema dell’effimero rossiano?

Dovremmo forse comprendere che l’ossimoro fa parte dell’architettura molto più di quanto non possa farne la coerenza, la non ambiguità. Tutto questo per dire che il temporaneo ed il mutabile non sono solo ingredienti necessari per una società “liquida”, ma possono e devono diventare cifra di un architettura di qualità. Per quanto concerne piani e regolamenti, bisognerebbe ripensarli, imperniandoli sui parametri necessari all’ottenimento di una qualità diffusa, piuttosto che sull’inseguimento di un surreale ed afasico concetto di normalizzazione.

L.P. Con il salto nel nuovo millennio, si è mostrata sempre più irrevocabile la questione del ridisegno, in maniera continuata, del nostro scenario di prossimità, specie alla luce della comparsa di nuove problematiche di relazione dinamica tra entità ed individui presenti in un contesto urbano, ora resi particolarmente pressanti in ragione della presenza e dell’alternarsi di crisi economico-finanziarie, ambientali, sanitarie.

L.P. Già il mio amico Francesco Morace, sociologo e fondatore del Future Concept Lab descrive la penisola italiana come un immenso, risonante, emittente Laboratorio creativo dal potenziale gigantesco. Pensi che la soluzione possa passare attraverso la costituzione di una costellazione di Design Lab Permanenti, parte di una più grande sovrastruttura, capace di poter accogliere, in tempo reale, istanze e professionalità altamente specialistiche al suo interno?

Perché non chiarmarli Design HUB! Come dare torto a tuo amico Morace, è e deve essere così. Nell’immaginario comune è Milano ad essere la capitale del Design(in Italia e nel mondo, è innegabile) e questo distoglie l’attenzione da tutto quello che di meraviglioso accade nel resto della nostra operosa penisola. Questi Hub del Design territorializzati, oltre a fare i conti con la propria realtà devono poter comunicare in maniera ineffabile tra loro, interscambiare le loro esperienze ed i loro progetti di ricerca. Com’è ovvio, il capoluogo lombardo ha il grande ruolo di poter accogliere e far brillare tutto quello che proviene dal resto della penisola, ad ogni latitudine del pianeta.

L.P.  Dal cucchiaio alla città. A mio avviso, questa frase potrebbe essere il necrologio di tutta la stagione dell’utopia modernista, spazzata via dalla pochezza dei suoi contenuti umani. In ogni caso, oggi potrebbe essere mutuata in dal cucchiaio alla citta’ e dalla città al cucchiaio!. Chiudendo il cerchio, una volta per tutte, senza indugi, con la ferocia, benefica ed augurale, persino formativa, del buon padre di famiglia. Voi siete ricercatori nelle discipline di architettura e Design, siete condannati a vivere a contatto con quelle che saranno le generazioni dei futuri designer, questa nuova generazione di designer sarà chiamata all’assolvimento di un compito tanto entusiasmante quanto gravoso, quello della realizzazione di un nuovo scenario esistenziale. Quale potenziale di accoglimento di questa sfida, tutta imperniata attorno alle questioni di progetto, intravvedi in questa generazione?

Facciamo un passo indietro, se ci pensi, questa domanda potrebbe essere stata posta esattamente per come la poni tu a Walter Gropius, prima di fondare la scuola del Bauhaus. In fondo, i temi sul tavolo erano gli stessi di quelli attuali: creare un nuovo scenario esistenziale; le pressioni esterne nel voler trovare la quadra sulla nuova essenza dell’Architettura e del Design. Operazione che ha condotto alla mobilitazione di massa di numerosi giovani progettisti (Itten aveva fondato persino una religione dei Designer). Ora, non vogliamo dire che si deve tornare alle questioni poste nell’era del Bauhaus ma, come detto prima, i Design Hub possono fare tesoro di quanto fatto certamente dai nostri predecessori, per poter riaccendere il ‘sacro fuoco’ della progettazione. Agognare l’esistenza emittente di tante Bauhaus che possano lavorare in un’unica direzione globale, dove si progetta la città ed il cucchiaino.

L.P. Quali sono le loro traiettorie d’ingaggio, non percepite dai designer che li hanno preceduti?

L’individualismo è deleterio, essere un Designer oggi richiede la Skills del lavoro partecipato. Ti faccio un esempio banale ma pratico: all’ultimo Design Index di ADI, la maggior parte degli oggetti presentati escono da operazioni elaborate in Co-Working tra designer e veri e propri Laboratori di Design. Questo ci fa pensare che, avendo raggiunto la progettazione della nostra realtà complessa e delle sue componenti un grado di complessità elevatissimo, per poter affrontare le questioni di cui abbiamo parlato sino ad ora, lavorare con una sovrastruttura in connessione con altre professionalità, rappresenta la mossa vincente per poter guardare al futuro e ri-progettarlo.

L.P. La Natura si riappropria del suo potenziale creativo, esibendo una ricchezza di contenuti, di elementi generativi estremamente seducenti e, di una forza devastante, ed io non nutro ormai alcun dubbio, sull’inefficacia di un mondo troppo progettato, troppo disegnato, un mondo ostile ad ogni possibilità di riconoscimento del vivere umano. Quale è il tuo pensiero in merito a tale riflessione?

Con noi sfondi una porta aperta, perché apparteniamo alla corrente degli “errori voluti”, con lo sguardo al dogma di Mies Van de Rohe che “Dio è nei Dettagli”.

L.P.  “In qualunque caso si può simulare, tranne quando si tratta dei luoghi. Un uomo, in ogni condizione, deve potersi mettere in un angolo con la certezza che è il suo, almeno per un po’, o che nessuno lo manderà via di lì. Tutto il resto viene dopo”. Questa frase, tratta da “Un uomo temporaneo”, di Simone Perrotti (Frassinelli, 2015, NdA), ci introduce al quesito inerente all’attualità del concetto di Genius Loci ed al riconoscimento, da parte degli individui sociali, in una matrice identitaria legata al contesto ove si snoda la nostra esistenza. Cosa accade nell’era digitale, ha ancora senso parlare di taluni concetti, per noi dapprima considerati imprescindibili, nell’esercizio della questione di progetto?

E’ tutto un equilibrio da determinare e, abbiamo il dovere di saper dosare le cose. Mentre l’era digitale ci può introdurre a nuove sfide, allo stesso tempo ci offre l’opportunità per poter rinnovare ed arricchire il modo in cui concepiamo e progettiamo spazi, mantenendo, al contempo una forte connessione con il nostro Genius Loci. Tale concetto, può adattarsi e trovare nuove forme di espressione, in risposta alle dinamiche contemporanee, sfruttando le potenzialità intrinseche concesse dalle nuove tecnologie digitali.

I visori futuristici o le realtà aumentate, sono ottimi strumenti per la comprensione dello spazio e degli oggetti, ma…,ricordiamoci che, solo con un plastico di carta e balsa puoi capire come il volume gioca con la luce.

L.P. Conosco il tuo designer preferito, sono io. Ahahahahah… Scherzi a parte, hai un designer che ami profondamente? Un Autore che ti appassioni in maniera irriducibile al punto da indurre i giovani allievi ad analizzarne i criteri d’intervento, per la costituzione di un loro personalissimo approccio di metodo nell’ambito di diverse discipline di progetto, differenti ambiti applicativi.

Tu sei sicuramente tra i primi cinque! Ma da architetti non possiamo che dire Carlo Scarpa. Maestro di Architettura e Design italiano, che ci ha inoculato la Virtù della Sintesi e della progettazione minuziosa di ogni singolo elemento del progetto e, per lo più, connettendolo fortemente ad una precisa poetica. Il coltello da tavola con la punta corta, perché il resto della lama non è mai utilizzato, tu questa non la chiami poesia?  

L.P.  Cosa puoi dirmi del tuo approccio di metodo?

Osservare, studiare, 3 colori a matita e un foglio bianco. Quali elementi essenziali allo sviluppo del mio approccio di metodo.

L.P. Il tuo oggetto preferito?

Il monolito antracite del film “2001 Odissea nello Spazio” di Stanley Kubrick, perchè ancora oggi non abbiamo capito cosa è, ma è bellissimo e contemplarlo ti fa evolvere. Poi, tu mi hai detto d’aver letto una intervista a Kubrick che diceva che “se un solo spettatore ha capito tutto di quella mia opera filmica, significa che io ho fallito tutta una vita!”.

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