Lotta all’incompetenza
Abbiamo più volte ribadito – e continuiamo a toccare il tasto dolente – che la mancata crescita complessiva sul piano sociale ed economico del nostro Paese ha una causa primaria: l’incompetenza della Pubblica amministrazione nell’eseguire gli indirizzi governativi e nel soddisfare le necessità di cittadini e imprese.
Le cause di questa deficienza sono principalmente due: la mancanza di un vero Piano organizzativo dei servizi (Pos) e la diffusa incompetenza in tutti gli strati dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici, partecipate comprese.
Si tratta di un dato di fatto ineccepibile, certificato dalla lunghezza dei procedimenti – già di per sé un fatto negativo – oltre che dalla pessima scrittura dei testi di legge.
I pubblici dipendenti a tutti i livelli, cioè compresi dirigenti e funzionari, non curano il costante adeguamento di conoscenze ai nuovi processi organizzativi e produttivi dei servizi, cosicché l’evoluzione di tutto ciò che esiste è continua, mentre i dipendenti pubblici restano al palo.
Al contrario, nel settore privato la formazione continua è inserita nella normale attività, in modo da consentire a tutti coloro che vi lavorano di essere adeguati alle esigenze del lavoro stesso.
Si tratta di una mentalità diffusa, ripetiamo, nel settore privato, senza cui non si potrebbero conseguire risultati economici positivi.
Vi è quindi un rapporto fra l’investimento di risorse umane e finanziarie, l’organizzazione delle stesse e gli obiettivi da raggiungere, in modo da intraprendere un percorso che produca i risultati fissati, i quali misurano l’efficienza e l’efficacia del lavoro svolto.
È vero che nella Pubblica amministrazione è stato istituito il Piao (Piano integrato di attività e organizzazione), però esso è più una rappresentazione formale che sostanziale perché non indica i percorsi necessari a raggiungere i risultati, né pone un sistema di controllo tassativo che raffronti risultati e obiettivi, tantomeno è presente un cronoprogramma, ovvero la calendarizzazione di tutti i segmenti del percorso.
Ritorniamo ancora una volta sulla questione perché è irrisolta e, peggio, non è all’ordine del giorno lo studio della possibile soluzione, che esiste.
Tutte le branche amministrative di ogni livello (nazionale, regionale e locale) dovrebbero avere nel loro programma di lavoro annuale delle fasi di formazione per i lavoratori al fine di consentire loro l’utilizzo agevole dei nuovi strumenti, soprattutto quelli informatici.
La digitalizzazione nel nostro Paese è ancora indietro di venti o trent’anni rispetto a molte altre realtà d’Europa e non solo, anche perché nella Pubblica amministrazione il tasso di diffusione è meno di un quinto. Ovviamente con la solita distinzione tra Nord e Sud, ove nel primo caso vi sono performance migliori.
Vi è anche una ragione strumentale che impedisce di far crescere rapidamente la formazione organizzativa e quella digitale e cioè che tutto ciò che è programmato in una sorta di binario, con stazioni e orari tassativi, oltre a quello che impone l’uso di strumenti informatici, è scritto, quindi controllabile.
Di conseguenza, coloro che fossero sottoposti a tutto ciò, non potrebbero accampare scuse di nessun genere nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi.
Qualcuno potrebbe osservare che esiste addirittura il ministero della Pubblica amministrazione. È vero, ma esso non riesce a impostare una vera, profonda e sostanziale riforma, perché dovrebbe fare un accordo con i sindacati che rappresentano dipendenti, dirigenti e funzionari, avente per oggetto l’utilizzo dell’organizzazione moderna e attuale, che ha canoni precisi del tutto sconosciuti alla massa dei pubblici dipendenti.
L’utilizzo delle moderne tecniche organizzative comporterebbe un cambio di mentalità e di modi di agire, perché nessuno potrebbe andare a lavorare solo per trascorrere il tempo, in quanto non potrebbe andar via senza prima aver raggiunto il risultato predisposto dal Pos.
Riteniamo che quanto prospettato sarà di difficile attuazione da parte del ministero della Pa, proprio per la forte resistenza del sindacato, che invece difende lo status quo: andare a lavoro per trascorrere il tempo e non per conseguire risultati.