Un business mai interrotto, quello che ha legato i due continenti, negli ultimi anni diventato ancora più intenso.
No, non parliamo della tratta aerea che, ma si tratta sicuramente di un caso, da giugno 2024 collegherà, senza scali intermedi, la Sicilia agli Stati Uniti. Il volo annunciato, che sarà operato da una compagnia aerea italiana, unirà l’aeroporto “Falcone e Borsellino” di Palermo-Punta Raisi con lo scalo “John Fitzgerald Kennedy” di New York. Dopo tre anni di assenza, è di nuovo attivo quel collegamento diretto Palermo-New York che affonda le radici negli anni ’50 quando dallo scalo siciliano di “Boccadifalco” decollò il primo aereo per gli Stati Uniti.
Una tratta aerea che permise, a suo tempo, di creare una sorta di cordone ombelicale tra Cosa nostra e i sodali americani e che fu sfruttata come mezzo di trasporto per i carichi di droga all’andata e, al ritorno, di valigie piene di dollari. In principio furono don Tano Badalamenti, Vittorio Mangano e Masino Buscetta i pionieri del grande business della droga tra l’America e la Sicilia. Un business mai interrotto, quello che ha legato i due continenti, negli ultimi anni diventato ancora più intenso.
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Palermo-New York, le indagini di Giorgio Boris Giuliano
Tutto questo ci fa ritornare agli anni ’70, quando la squadra Mobile di Palermo era diretta dal vice Questore Giorgio Boris Giuliano, il primo poliziotto italiano che fu invitato al quartiere generale dell’Fbi a Quantico, in Virginia, per frequentare un corso. E il primo che, seguendo la traccia del denaro e contando sulla fiducia di cui godeva presso i colleghi americani della Dea e dell’Fbi, indagò sul traffico di droga, di cui intuiva la portata internazionale, e analizzava gli intrecci mafiosi con politica e finanza molto prima del Maxiprocesso. Era il periodo in cui la parola Cosa nostra non esisteva nelle sentenze perché nessuno la chiamava per nome. I diversi processi si arenavano nelle sabbie mobili dell’insufficienza di prove o, nella migliore delle ipotesi, comminavano condanne singole, mai legate tra loro dal vincolo mafioso. Era il tempo in cui la collaborazione di don Masino Buscetta non era ancora prevedibile.
Giuliano è stato quel poliziotto che consegnò alla magistratura del tempo un rapporto esplosivo sul traffico degli stupefacenti che preludeva all’arresto di ventuno grossi nomi della mafia siculo-americana per un processo si concluse con una lunga serie di assoluzioni per insufficienza di prove anziché diventare un processo da “quattro colonne in prima”. Sul banco degli imputati sederono John Bonventre, potente “capodecina” della famiglia Bonanno, Frank Coppola, detto “Frank tre dita”, Frank Garofano, il capomafia siciliano Giuseppe Genco Russo, Diego Plaja, Vincent Martinez, Sasà Vitaliti, Gioé Imperiale mentre mancava in aula, perché irreperibile sia in Sicilia sia in America, Joseph Bonanno.
Assolti? Nessun problema per Giuliano che continuò comunque il suo lavoro di analisi, la tessitura di quell’intreccio d’informazioni che lo porterà a intuire che il “Clan dei marsigliesi” aveva perso il monopolio in Europa della raffinazione dell’eroina e che le raffinerie della droga si erano trasferite dalla Costa Azzurra a Palermo. Sequestrò all’aeroporto di Punta Raisi due valigie con 500.000 dollari in contanti mentre, a New York, i federali della Dea scoprirono un ingente carico di eroina raffinata proveniente da Palermo. Fu la prova che la droga si raffinava in Sicilia e, da lì, si diffondeva in Europa e negli Stati Uniti. Ma soprattutto, fu la prova che Giorgio Boris Giuliano aveva ragione.
1980: Palermo-New York, l’indagine “Pizza Connection”
Un anno dopo la morte di Giuliano, avvenuta il 21 luglio 1979 per mano di Leoluca Bagarella, mafioso di rango, corleonese e uomo di fiducia di Totò Riina, l’FBI diede il via a un’indagine che aveva per oggetto un grosso traffico di droga tra Palermo e Stati Uniti gestito da mafiosi siciliani e “cugini” americani, denominata “Pizza Connection” perché pizzerie e ristoranti venivano utilizzati sia per coprire l’importazione dell’eroina dalla Sicilia sia tenervi i summit tra gli affiliati. C’è una data precisa in cui questo modo nuovo di svolgere le indagini iniziò, e fu il maggio 1980 quando, nell’arco di pochi giorni, presero avvio, presso la Procura della Repubblica di Palermo, tre grandi processi di mafia: il processo contro “Rosario Spatola + 120”, quello contro “Gerlando Alberti e altri” e il processo contro “Francesco Mafara e altri”.
Quando i processi passarono all’Ufficio Istruzione, il primo e il terzo furono affidati dal Consigliere Istruttore Rocco Chinnici a Giovanni Falcone, che capovolse completamente il precedente metodo d’indagine perché, anziché limitarsi a verificare il lavoro svolto dalle Forze di Polizia come previsto nel sistema del vecchio codice di procedura, in virtù del nuovo codice entrato in vigore volle direttamente assumere la direzione delle indagini, compiendo personalmente molti degli atti e delegandone altri, ma singolarmente e specificamente e non più in via generale. Ma soprattutto, in quel momento, le indagini assunsero una visione unitaria della mafia, visione mai prima considerata, perché Giovanni Falcone applicò subito il suo metodo, quello in cui il cui pilastro fondamentale era il principio dell’unicità della mafia, avendo intuito che la mafia era un organismo unitario e che le sue varie e articolate attività criminali, anche se compiute in luoghi diversi e lontani da Palermo, non appartenevano a gruppi autonomi, ma erano sempre riconducibili ad un’unica entità.
Conseguenza pratica di questo principio era, però, che tutte le indagini che dimostravano l’esistenza di “Cosa nostra” dovevano essere accentrate a Palermo, che di quell’entità era la sede naturale. Il primo processo riguardava diversi fatti, tra questi i rapporti tra la mafia siciliana e quella americana, numerosi episodi di traffico di eroina tra i due gruppi, quindi tra Palermo e New York, e il sequestro a New York di Sindona e sua ricomparsa in Sicilia. Quello nei confronti di Gerlando Alberti, invece, prese il via a seguito della segnalazione da parte delle forze di polizia francesi, dell’arrivo a Palermo, nell’agosto del 1980, di Andreè Bousquet, il miglior chimico marsigliese in circolazione, insieme ad altri due uomini. Seguendoli fu scoperto un laboratorio di eroina. A quell’indagine diede un contributo fondamentale un semplice cittadino, Carmelo Iannì, proprietario dell’hotel “Riva Esmeralda” in cui si fermarono i tre uomini. Permise alla Polizia di infiltrarsi tra il suo personale per controllarli. Iannì pagò con la vita la sua collaborazione con le Forze dell’Ordine il 19 agosto 1980. Gli esecutori materiali non siano mai stati identificati ma, per il suo omicidio furono condannati all’ergastolo, come mandanti, Gerlando Alberti e Vincenzo Citarda.
Nell’ottobre del 1982 Falcone fu parte di una delegazione italiana che partecipò alla “Conferenza internazionale delle forze dell’ordine” che si tenne presso la sezione “Criminalità organizzata” del Federal Bureau of Investigation nella sede della sua accademia a Quantico, in Virginia. Falcone approfittò dell’occasione per prendere contatti, ben presto favoriti da cordiali rapporti personali, con le autorità giudiziarie che all’epoca erano impegnate nella complessa inchiesta condotta dall’FBI che aveva per oggetto un grosso traffico di droga tra Palermo e Stati Uniti gestito da mafiosi siciliani e dai “cugini” americani. Questi rapporti furono prodromici per la costola italiana di “Pizza connection”. I primi contatti furono stabiliti con l’Autorità giudiziaria di Milano nell’ambito del processo Spatola, perché in quella città era stato sequestrato il più ingente quantitativo di droga. Si trattava di circa 40 kg. di sostanza stupefacente che, partita da Palermo, era stata fatta transitare da Milano per eludere i controlli agli aeroporti di Palermo e Roma. E poi iniziarono le diverse rogatorie internazionali che permisero di acquisire elementi di prova da utilizzare nel processo a carico di Spatola e degli altri trafficanti di armi e sostanze stupefacenti.
L’indagine “Pizza connection” fu inserita nella sentenza-ordinanza del Maxiprocesso di Palermo e furono rinviati a giudizio numerosi imputati dell’inchiesta americana: Pietro Alfano, Salvatore e Onofrio Catalano, Giovanni Cangialosi, Francesco Castronovo, Lorenzo De Vardo, Calogero Lauricella, Salvatore Mazzurco e Francesco Polizzi. Uno stralcio d’indagine “Pizza connection” portò, inoltre, a un processo che si aprì a Roma nel settembre 1984, che mandò alla sbarra boss mafiosi e riciclatori di denaro sporco che si muovevano tra Sicilia, Lombardia, Svizzera e Stati Uniti: i siciliani Giuseppe e Alfredo Bono, Nicolò ed Antonino Salamone, Salvatore ed Antonino Enea, il napoletano Michele Zaza e Salvatore Amendolito, condannati a pene fino a 15 anni di reclusione.
1988: Palermo-New York, l’indagine “Iron Tower”
Era il 1° dicembre 1988 quando si chiuse, invece, l’indagine “Iron Tower”, coordinata dal giudice istruttore Giovanni Falcone e dal Procuratore di New York Rudolph Giuliani e condotta dalla Criminalpol e dalla Squadra mobile di Palermo in collaborazione con l’FBI e la DEA, con l’emissione di 37 mandati di cattura per traffico di droga ed associazione mafiosa e con sette arresti a Palermo, due a Milano, uno a Bologna, dodici a New York, nove a Filadelfia, due a Miami e con cinque persone sfuggite alla cattura. Nell’operazione furono colpite le famiglie dei Gambino e degli Inzerillo, coinvolte nel traffico di eroina. Un’indagine che coinvolse le famiglie mafiose di Torretta e Carini, località in provincia di Palermo.
2008: Palermo-New York, l’indagine “Old Bridge”
Furono settantasette, le persone arrestate nell’ambito dell’operazione congiunta di polizia “Old Bridge”. Di queste 19 a Palermo e 54 negli Stati Uniti. Tra queste furono due le figure di spicco: Jackie D’Amico, uomo di vertice della famiglia Gambino e padrone della 18° strada di Brooklyn, già arrestato ma poi tornato in libertà, e Nicholas Grozzo, anche lui affiliato alla famiglia Gambino. Nell’inchiesta “Old Bridge”, che mise in luce gli affari fra clan americani e siciliani, imperniati soprattutto sul traffico internazionale di stupefacenti, tornarono alla ribalta anche alcuni imputati già condannati al primo Maxiprocesso a Cosa nostra, come ad esempio Filippo Casamento, di 82 anni, indicato come un personaggio di spicco delle cosche e già coinvolto nell’inchiesta “Pizza connection”. Ritornò dietro le sbarre Giovanni Adelfio, 70 anni, suocero dei boss Carlo Greco e Santino Pullarà, Francesco Adelfio, 66 anni, già imputato al Maxiprocesso a Cosa nostra, e Giovanni Lo Verde, 69 anni. Tra i nomi dell’indagine comparve anche quello di Domenico Cefalù, detto “Dominique”, emigrato alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti, e ritenuto, al momento dell’indagine, il vicecapo della famiglia mafiosa dei Gambino di New York.
2023: Palermo-New York, l’ultima indagine
Le ricostruzioni fatte dagli investigatori hanno evidenziato la “cifra criminale di alcuni anziani della famiglia mafiosa di Torretta già emersi sullo sfondo delle storiche inchieste meglio conosciute come ‘Pizza Connection’ e ‘Iron Tower’, facendo rilevare sul fronte americano anche il ruolo di taluni esponenti di spicco della mafia americana legati al noto boss Frank Calì, assassinato per futili motivi nel marzo 2019”, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. Le indagini hanno accertato l’interessamento da parte degli americani per le vicende organizzative di Cosa nostra, e del mandamento di Partinico in particolare, oltre ad aver documentato una serie di condotte estorsive attuate nel settore dei cantieri edili della Big Apple degli indagati, giovandosi anche della manovalanza delle gang metropolitane locali.
Sono finiti in carcere a Palermo Francesco Rappa, nato a Palermo, Giacomo Palazzolo, nato a Balestrate, Giovan Battista Badalamenti, nato a Torretta, Salvatore Prestigiacomo, nato a Palermo, Isacco Urso, nato a Verbania, Salvatore Prestigiacomo, nato a Palermo e Maria Caruso, nata anch’ella a Palermo. A New York, invece, sono stati fermati il presunto capo della famiglia Gambino Joseph Lanni detto “Joe Brooklyn”, Diego detto “Danny” Tantillo, Angelo Gradilone, noto anche come “Fifi”, James La Forte, Vito Rappa, figlio di Francesco, Francesco Vicari, noto anche come “Zio Ciccio”, Salvatore Di Lorenzo, Robert Brooke, Kyle Johnson e Vincent Minsquero. L’operazione antimafia scattata tra Palermo e New York s’inserisce, hanno spiegato gli inquirenti, in un più vasto contesto investigativo ed esecutivo che ha visto il coinvolgimento di investigatori della Polizia di Stato e del Federal Bureau of Investigation. Una complessa ed articolata indagine avviata sui componenti della famiglia Gambino di New York e alcuni referenti italiani del gruppo criminale ancora attivi in Sicilia.
L’inchiesta riguarda le famiglie mafiose di Partinico, Borgetto e Torretta. Proprio quella di Torretta fu protagonista negli anni Ottanta nell’inchiesta “Pizza Connection” che svelò i rapporti tra le mafie di vecchio e nuovo continente. Dalle carte consegnate alla Polizia italiana dalle autorità americane, emerge che “non soltanto l’inserimento dei medesimi interlocutori in una organizzazione criminale, stabile e a struttura verticistica, operativa a New York da individuarsi nella storica famiglia Gambino, ma anche la capacità dell’odierno indagato Frank Rappa di intervenire a beneficio degli associati statunitensi, mediante propri emissari, in una vicenda avente chiara matrice estorsiva”.
La costola italiana dell’indagine è frutto del lavoro del procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, dell’aggiunto Marzia Sabella e del sostituto Giovanni Antoci. Ha coordinato le indagini Alessandro Giuliano, alla guida della Direzione centrale anticrimine e figlio di Giorgio Boris Giuliano, che, per lui seconda volta dopo l’indagine che svolse a Milano e riguardante Gaetano Fidanzati, si è trovato a indagare un vecchio boss che era finito anche nel mirino del padre, quel Francesco Frank Rappa, di 81 anni, con alle spalle una lunga storia legata a Cosa nostra e uno dei pochi sopravvissuti a quella stagione. Proprio Frank Rappa fu indicato in quel rapporto giudiziario redatto da Giorgio Boris Giuliano il 7 maggio 1979 in cui l’investigatore delineava la mappa dei rapporti tra mafia siciliana e americana, evidenziando che Rappa era stato tratto in arresto a New York mentre prendeva in consegna una Cadillac, imbarcata a Genova, al cui interno erano nascosti 83 kg. di eroina. Buon sangue non mente.