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Strage via D’Amelio, il docufilm a 29 anni da morte di Borsellino

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Strage via D’Amelio, il docufilm a 29 anni da morte di Borsellino

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venerdì 16 Luglio 2021

"Sono inciampato su qualcosa e stavo cadendo. Era il tronco bruciato di Paolo Borsellino che ho fatto fatica a riconoscere. Senza braccia e senza gambe". Ecco il racconto di Giuseppe Ayala

‘Dove eravamo’, è il titolo del documentario di Tv2000 realizzato in occasione del 29° anniversario della strage di Via D’Amelio.

Un racconto sulle emozioni di quella drammatica domenica del 19 luglio 1992, attraverso le testimonianze di chi accorse subito nel luogo dell’attentato in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi , Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Tra le testimonianze quelle di Giuseppe Ayala, don Luigi Ciotti, Felice Cavallaro, Gianni Riotta, Francesco Bongarrà e Giorgio Mulè.

“Arrivato a Via D’Amelio – ricorda Giuseppe Ayala – sono inciampato in qualcosa e stavo cadendo. E questo qualcosa era il tronco bruciato di Paolo Borsellino che ho fatto fatica a riconoscere. Questo moncone di cadavere senza braccia e senza gambe tutto bruciato era del mio fraterno amico oltre che collega Paolo Borsellino”. “Mi ritrovai accanto alla macchina di Paolo Borsellino – racconta Felice Cavallaro – senza sapere che fosse la sua. Lì c’era molta confusione. Un agente in borghese tirò fuori una borsa di cuoio che stava appoggiata sotto il sedile dell’auto. Quella borsa stava per darla a me e mi ritrovai quasi a sfiorare il manico. Di quella borsa non sapemmo più nulla”.

“Ricordo perfettamente – prosegue Ayala – di essermi ritrovato questa borsa che era sicuramente quella di Paolo Borsellino e di averla consegnata ad un ufficiale dei Carabinieri perché io non avevo nessun titolo per tenerla. Non ero infatti più sostituto procuratore della Repubblica a Palermo ma ero un deputato del Parlamento”. Nel documentario di Tv2000 anche il ricordo di don Ciotti: “Era un ottimo magistrato, un cercatore di verità e un costruttore di giustizia”. “Uno degli agenti della Squadra ‘Catturandi’ di Palermo – afferma Giorgio Mulè – mi venne incontro come uno zombie, mi abbracciò e cominciò a piangere. Ad un certo punto ci girammo e dietro un’inferriata c’era il tronco di un uomo. Il giudice Ayala riconobbe Borsellino dai baffi. Quella scena non mi ha mai più lasciato. È un incubo ricorrente. E dopo quasi 30 anni sento ancora l’odore delle gomme che bruciano, l’odore della carne e le lacrime”.

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