La spesa per le pensioni in Italia continuerà a crescere ancora per 18 anni, fino al 2043, nonostante le numerose riforme introdotte negli ultimi decenni. È quanto emerge dall’ultimo aggiornamento della Ragioneria dello Stato, che fotografa una situazione sempre più difficile da sostenere. Le riforme Amato, Dini e Fornero — nate proprio per contenere l’espansione della spesa previdenziale — non sono riuscite a invertire la rotta, così come Quota 100 che ha anticipato l’uscita dal lavoro per molti, senza garantire un ricambio generazionale nel mondo produttivo.
Dopo il 2043, la spesa non scenderà davvero
Secondo le proiezioni ufficiali, solo dopo il 2043 si prevede un’inversione di tendenza. Tuttavia, anche oltre quella data, i costi del sistema pensionistico resteranno molto alti rispetto agli standard europei. In pratica, il peso della previdenza continuerà a gravare in modo consistente sul bilancio dello Stato, anche nei decenni successivi.
Il problema non è solo economico ma anche politico. La sostenibilità del sistema pensionistico rimane così un problema rinviato di legislatura in legislatura.
Meno lavoratori, più pensionati: il nodo demografico
Il contesto economico e demografico non aiuta. L’Italia ha un debito pubblico che supera il 145% del Pil e una crescita economica sotto l’1%. In questo scenario, la spesa per le pensioni diventa sempre più difficile da finanziare. Ma c’è un dato ancora più allarmante: entro il 2040, l’Italia perderà circa 5 milioni di lavoratori attivi, secondo le stime Istat.
La carenza di forza lavoro non è una proiezione astratta: si manifesta già oggi in settori cruciali come il turismo e l’edilizia, dove trovare personale è diventato sempre più complicato. Il progressivo invecchiamento della popolazione, unito alla fuga dei giovani e al calo delle nascite, minaccia la base stessa su cui si regge il sistema previdenziale: il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati.

