Pfizer spiega in un'intervista esclusiva di stare lavorando per produrre un vaccino in polvere. Ma anche di non voler impiegare il polo di Catania per la sua produzione.
Il vaccino è l’arma più potente contro il coronavirus, ma la campagna vaccinale in Italia procede con estrema lentezza. Oltre all’arrivo del monodose di Johnson&Johnson, allo studio di un vaccino made in Italy, alla previsione di una crescente produzione su base nazionale dei vaccini di AstraZeneca, Pfizer e Moderna, l’avvento del “nuovo” vaccino liofilizzato di Pfizer-BioNTech potrebbe accelerare il numero di somministrazioni giornaliere.
PFIZER, VERSO UN VACCINO LIOFILIZZATO PRODOTTO ANCHE IN ITALIA?
Il vaccino di Pfizer – prima azienda autorizzata alla commercializzazione – abbiamo già imparato a conoscerlo (CLICCA QUI per leggere la nostra prima intervista all’azienda). L’ottimismo con il quale è stato accolto dall’intera comunità mondiale, nonostante le difficoltà legate alla sua conservazione e al suo trasporto, è stato smorzato dalle promesse disattese dell’azienda nei confronti dell’Ue, dalla sua logica “protezionistica” adottata negli USA – dove sembra aver fatto il suo dovere – e da alcune scelte commerciali “azzardate” dei suoi più importanti azionisti (LEGGI QUI PER SAPERNE DI PIÙ). Ma la situazione sarebbe destinata a cambiare.
Una nostra fonte riservata ci ha informati di un importante studio in corso in casa Pfizer: l’azienda farmaceutica statunitense starebbe lavorando per trasformare e produrre il suo vaccino “in polvere” e quindi per semplificarne la logistica. Questo spiegherebbe anche la scelta della Big Pharma di autorizzare alla produzione del suo farmaco i poli italiani di Thermo Fisher Scientific di Frerentino (Frosinone) e Monza. Il primo è infatti uno stabilimento specializzato in liofilizzati, mentre il secondo in farmaci iniettabili.
Un liofilizzatore è presente pure nello stabilimento catanese di Pfizer, che i sindacati locali vorrebbero si utilizzasse per la produzione dell’antidoto anti-Covid. Cigl, Cisl e Uil di Catania, assieme alle organizzazioni di categoria Filctem-Femca-Uiltec, hanno inviato una lettera aperta al sindaco Salvo Pogliese (che si è poi accodato all’appello), al presidente del Consiglio Mario Draghi, al ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, al commissario per l’emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo, al presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci, oltre che ai vertici di Farmindustria, dell’Aifa e della multinazionale Pfizer, suggerendo il “modello Etna Valley” (CLICCA QUI PER SAPERNE DI PIÙ).
L’INTERVISTA ESCLUSIVA A PFIZER: “Sì AL VACCINO LIOFILIZZATO, MA NON ALLO STABILIMENTO DI CATANIA PER LA PRODUZIONE DELLE DOSI”
Abbiamo intervistato in esclusiva la multinazionale statunitense per avere conferma dello studio incorso. Sulla fattibilità della proposta dei sindacati etnei, invece, interverrebbero valutazioni aziendali più complesse: la convenienza dell’investimento rispetto alla capacità del singolo polo; le competenze del personale impiegato; la disponibilità degli strumenti adatti allo stoccaggio; il prezzo del prodotto sul mercato e il suo ricavato, ma anche la sua domanda nel mondo; etc. E pare che, a conti fatti, all’azienda non convenga l’ipotesi di una produzione catanese del vaccino.
È vero che Pfizer sta tentando una produzione del vaccino in liofilizzato, per superare i limiti della conservazione? Se sì, quali saranno le differenze rispetto alla produzione del vaccino come lo abbiamo conosciuto ad oggi?
“Siamo impegnati a ricercare continuamente innovazioni, incluse quelle che possono portare a miglioramenti della formulazione attraverso la liofilizzazione. Ciò potrebbe portare ad annullare le temperature di stoccaggio molto basse richieste attualmente e migliorare la catena di approvvigionamento. In questo modo si potrebbero espandere ulteriormente i punti di vaccinazione, oltre ad avvantaggiare il trasporto e lo stoccaggio anche nei Paesi emergenti”.
Il centro produttivo di Pfizer a Catania pare essere l’unico a produrre liofilizzati. L’azienda, almeno in questa e nelle successive fasi della lotta contro pandemia, ha pensato di coinvolgerlo?
“Catania rimane un sito importante per le operazioni di produzione e fornitura globale di Pfizer. Il sito svolge un ruolo fondamentale nelle attività in corso, incluse quelle che riguardano più da vicino la lotta al Covid-19, dato che i medicinali iniettabili sterili salvavita, come quelli prodotti nello stabilimento siciliano, sono usati per trattare i pazienti in terapia intensiva in tutto il mondo.
Al momento non ci sono piani per portare la produzione di vaccini nel sito di Catania. L’azienda è sempre disponibile a continuare il dialogo con tutti gli interlocutori nella lotta alla pandemia, continuando a perseguire il nostro obiettivo di produrre oltre 2 miliardi di dosi del vaccino Pfizer/BioNTech a livello globale entro il 2021”.
L’APPELLO DEI SINDACATI: “SI UTILIZZI STABILIMENTO CATANESE DI PFIZER PER FARMA VALLEY ETNEA”
“Ribadiamo che lo stabilimento catanese possa diventare capofila di una Farma Valley etnea con un programma di investimenti sostenuto dalle istituzioni politiche nella consapevolezza della centralità strategica di questo sito nell’area mediterranea (…). Le risorse ci sono (…). Il Recovery Plan italiano o Piano nazionale di Ripresa e Resilienza consegnato dal governo Conte (…) prevede una misura di sostegno alla creazione di venti Campioni territoriali che dovranno puntare anche allo sviluppo di nuovi materiali e dispositivi per tecnologie della salute mediante forme di partenariato pubblico-privato – si legge in una loro nota successiva -. Vale la pena, infine, ricordare come il PNRS abbia concepito pure la nascita di 7 poli nazionali hi-tech, fra cui il Centro di Alta Tecnologia per il Biofarma, con la destinazione di circa la metà degli investimenti al Sud. Nel piano si indica sin d’ora che il Centro Fintech avrà sede a Milano, il Centro per l’Intelligenza artificiale a Torino e quello Agri-Tech a Napoli. Non lasciamo che Catania e la Sicilia restino ai margini”.
LA CAMPAGNA VACCINALE IN ITALIA, IN ATTESA DI UNA “SVOLTA”
Le difficoltà legate alla logistica, i ritardi nelle consegne delle dosi da parte delle multinazionali finora autorizzate, poi lo stop imprevisto di AstraZeneca a seguito delle morti sospette, dopo ancora i dubbi dei cittadini circa la sicurezza dei vaccini. Queste alcune delle motivazioni che hanno rallentato la campagna vaccinale (QUI I DATI IN TEMPO REALE ), mentre il virus continua a correre, soprattutto nelle sue nuove varianti.
Gli oltre 3 milioni di italiani vaccinati – per un totale di oltre 10 milioni di somministrazioni – non rappresentano “la svolta” che ci si aspettava nella lotta contro il Covid, in un Paese che rimane colorato di rosso e arancione e che sta vivendo l’ennesimo lockdown.
Lo sviluppo e l’incremento della produzione nazionale del vaccino – possibile grazie alla strategia intrapresa della cessione del brevetto da parte delle aziende produttrici – potrebbe nel medio e lungo termine fare la differenza. Anche perché, nel frattempo, l’Italia è riuscita ad aumentare il numero dei centri vaccinali disponibili e della schiera del personale autorizzato all’inoculazione, coinvolgendo persino medici di famiglia e farmacisti (LEGGI QUI).
Nella gara ai nazionalismi vaccinali ben 124 operatori europei si sono detti capaci di occuparsi della produzione e dell’infialamento dei tre vaccini finora autorizzati in Italia (Pfizer, Moderna e AstraZeneca). Tra questi, dieci sono italiani.
E mentre si attende un piano preciso sulla produzione made in Italy, ancora in discussione al tavolo del ministero della Salute, arriveranno – già nei primissimi giorni della seconda metà di aprile – i vaccini monodose di Janessen-Johnson&Johnson. L’azienda ha promesso di consegnare 200 milioni di dosi all’Ue: nel Belpaese dovrebbero arrivarne 7,3 milioni entro la fine di giugno, 15,9 nel terzo trimestre e 4 da ottobre in poi. Un possibile importante passo in avanti, dunque, se si considera che per questo vaccino non occorrerà il secondo richiamo e che, quindi, al numero di dosi consegnate corrisponderà il numero stesso dei potenziali “immuni” al virus.
Le prospettive future per casa Pfizer sono comunque rosee. Ancor di più se si pensa che persino il nostro Paese sta riflettendo se sostituire alla seconda somministrazione dei vaccinati con AstraZeneca una dose di un’altra azienda farmaceutica (dunque Pfizer o Moderna).
Meno brillante, invece, potrebbe essere il futuro per l’Italia qualora non riuscisse a diventare autonoma nella produzione del farmaco; secondo sindacati e lavoratori, il polo di Catania resta un’opportunità inespressa.