La politica non sia al traino dei social - QdS

La politica non sia al traino dei social

La politica non sia al traino dei social

venerdì 22 Settembre 2023

Il consenso asfissia il cervello

Nel gergo radio-televisivo, nei social e sui quotidiani, impera la terminologia desueta di Destra-Sinistra (Centro). Sarebbe più idoneo a un linguaggio universale se le parti in competizione si denominassero Conservatori e Progressisti, come avviene nelle Democrazie più antiche e più avanzate del mondo.
Viene in mente la famosa canzone di Giorgio Gaber, pubblicata nel 1994, “Destra-Sinistra”, in cui quale prendeva in giro graziosamente (come era sua abitudine) non solo tutti quelli che usavano identificarsi in questi due versanti, ma anche gli altri che li definivano in questa maniera.
Gaber è stato un maestro dell’ironia, sottile e pungente, con cui colpiva l’intelletto di coloro che sapevano cogliere il significato dei suoi testi.
In ogni caso, il commento odierno non riguarda una questione lessicale, Destra-Sinistra, ma una questione molto più grave e cioé che il ceto politico è diventato succube dei social e dei sondaggi.

Da come i rappresentanti politici appaiono nelle televisioni, da come parlano, dai messaggi che inviano su tutti i canali web, da come si vestono e compagnia bella, si evince come essi vengano addestrati (o ammaestrati) in modo da captare il consenso del pubblico o di lettori e lettrici sulle proprie linee di condotta.
Ovviamente questo comportamento generalizzato non è fare politica, quella vera, quella che si indirizza verso il benessere dei/delle cittadini/e, ma un modo di legarsi al traino di quello che pensano coloro che si manifestano sui canali web.
Vedi caso, però, costoro non rappresentano la parte intelligente e colta della popolazione, bensì quella che dà ascolto agli istinti, anche i più bassi; all’egoismo, che si trasforma nell’urlo imbecille: “Diritti, diritti, diritti!”.
Non sembrino parole forti quelle usate perché – come abbiamo scritto più volte – dovrebbero essere urlate le parole “Doveri, doveri, doveri”, in quanto se ognuno li compisse regolarmente, non vi sarebbe bisogno di reclamare diritti.
Per esempio, se si attuasse la redistribuzione della ricchezza dai ricchi ai poveri, questi ultimi non avrebbero nessun motivo di reclamarne il diritto.

Il ceto politico, se fosse composto da statisti alla De Gasperi o alla Adenauer, non si preoccuperebbe dei momenti, delle ore, dei giorni, dei mesi e neanche degli anni; ma, allungando lo sguardo, dovrebbe fare programmi a cinque, dieci, quindici anni, per attuare lo sviluppo del Paese con la sua crescita economica e, appunto, la redistribuzione della ricchezza, abilitando le fasce più basse alle professionalità e ai lavori e quindi alla loro collocazione in quel mondo che rende economicamente e fisicamente liberi.

Non solo, il ceto politico dovrebbe anche avere la maturità di non modificare i grandi piani di sviluppo quando cambia la compagine di Governi, da Conservatori a Progressisti o viceversa, perché non è possibile pensare a un progresso che si possa realizzare in tempi ragionevolmente brevi.
Quanto precede è un’utopia? Non sappiamo, ma se qualcuno di voi leggesse il libretto Utopia, scritto da Thomas More nel 1516, vedrebbe confermato quanto scritto in precedenza.

Sentiamo subito l’obiezione che l’utopia non può diventare realtà. Non è così: se l’Umanità non avesse avuto in mente sogni e mete, in quel momento irraggiungibili, oggi non avrebbe conquistato il progresso e lo stato di benessere che almeno un terzo della popolazione mondiale ha raggiunto.
Si dirà, però, che gli altri due terzi sono in condizioni di povertà o semi-povertà. Vero. Qui la responsabilità delle economie progredite è rilevante, perché dovrebbero preoccuparsi di portare nei territori poveri quegli elementi di crescita basati sulla formazione, sulla tecnologia, sulla sostenibilità ambientale e su altri elementi idonei a far crescere quelle popolazioni.

Tornando al nostro Paese, dobbiamo auspicare che quella parte del ceto politico intelligente e colto (che c’è) riesca a far capire all’altra parte, purtroppo in maggioranza, come non si possa continuare ad andare avanti basandosi sui sondaggi, minuto per minuto, e che invece vi è l’urgenza di allungare lo sguardo oltre l’orizzonte e agire di conseguenza.

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