La professoressa Ida Angela Nicotra, ordinaria di Diritto costituzionale all’Università di Catania, già componente del consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, ha fatto parte della Commissione per le riforme istituzionali istituita nel 2013 dal Presidente Napolitano e fino a poco tempo fa del Cda dell’ateneo catanese ed attualmente componente di quello del Teatro Stabile. In passato ha ricoperto i ruoli di direttore di Dipartimento, presidente di Corso di laurea e delegato del rettore. Recentemente è stata nominata alla guida del Comitato dei garanti dell’Osservatorio Italiae, l’Osservatorio di Cultura Italiae e Sport Italiae sull’applicazione dell’articolo 33 della Costituzione. È in corsa per diventare rettrice dell’Unict, con un programma che mette al centro gli studenti, a partire dai più fragili, l’internazionalizzazione, lo scambio proficuo tra le discipline umanistiche e quelle scientifiche, il dialogo tra formazione e mondo del lavoro. “Si tratta di un’avventura già bellissima – ha detto Nicotra al QdS -. La campagna elettorale è un percorso fatto di esperienze, conoscenze, incontri con persone, campi e settori scientifici che non sempre conoscevo prima di candidarmi come rettrice”.
Per l’Università, fondata nel 1434, lei potrebbe essere la prima rettrice della storia.
“Mi piace ricordare che già una donna guida un’istituzione universitaria siciliana. L’Università di Messina ha accolto molto bene la candidatura e l’elezione della professoressa Spatari, che di recente ha ricevuto con orgoglio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La presenza di una donna rettrice mi sembra un auspicio importante”.
Come giudica l’operato di Francesco Priolo?
“Sono sempre stata convinta che la gestione di un’organizzazione complessa come l’università debba avere un approccio collegiale e circolare. Nel caso di Priolo, il mandato è stato segnato da diverse turbolenze: inizialmente legate all’Università di Catania, note a tutti, e successivamente alla vicenda planetaria della pandemia. Tuttavia, la crisi del Covid si è trasformata in un’opportunità grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza, di cui l’Università ha beneficiato notevolmente. È stato un mandato caratterizzato da variabili eccezionali, che credo non si possano ripetere in futuro”.
Come immagina l’ateneo nei prossimi sei anni?
“Vedo un’Università che deve aprirsi al territorio, capace di affrontare le nuove sfide sociali, culturali, demografiche ed economiche all’orizzonte. È un periodo di grande transizione e per accogliere studenti provenienti dal Mediterraneo, dal Nord e Centro Europa, ma anche dal resto d’Italia, l’università deve dotarsi di infrastrutture adeguate: studentati, posti letto, mense, biblioteche. Pur riconoscendo i progressi, come la previsione di nuovi studentati, questi interventi non sono ancora sufficienti a soddisfare la domanda di alloggi. Ritengo che occorra essere più ambiziosi. Perché non immaginare un’Università di Catania capace di attrarre giovani da Milano, Torino, Roma o Napoli? Dobbiamo invertire la tendenza dello spopolamento e dell’emigrazione dei nostri giovani, ospitando studenti provenienti dall’estero ma anche da altre regioni italiane”.
Nel suo programma grande attenzione è dedicata al benessere degli iscritti. Ci può spiegare meglio?
“Immagino un’università che metta al centro il welfare, inteso come diritto sociale, soprattutto per i più fragili. I dati ci dicono che il 70% dei laureati dell’Università di Catania rappresenta la prima generazione della propria famiglia a raggiungere questo traguardo. È un fatto positivo, considerando l’alta dispersione scolastica del nostro territorio. L’Università deve essere una comunità che accoglie, migliora le vite degli studenti e li aiuta a emanciparsi. Anch’io sono stata la prima laureata della mia famiglia. Ricordo ancora l’emozione di mio padre quando mi sono laureata in legge a Villa Cerami. Quello di cui parlo è un’emancipazione reale”.
E quali sono gli strumenti che ritiene l’Università debba offrire a lavoratori e studenti?
“Il benessere organizzativo dell’università deve includere convenzioni per il trasporto pubblico per tutto il personale, migliorando la vivibilità. Inoltre, sarebbe utile pensare a una convenzione sanitaria per i dipendenti e, come donna che è stata ricercatrice da madre di quelle che allora erano due bambine, sogno un asilo nido aziendale per i figli dei dipendenti universitari. Fra le priorità un posto centrale è collegato alla necessaria attenzione da rivolgere alle legittime aspettative dei ricercatori a tempo determinato”.
Un altro nodo cruciale è quello di legare il mondo accademico con l’offerta occupazionale…
“L’università deve offrire corsi di studio sostenibili, con aule, laboratori, docenti e collaboratori ben organizzati, nelle sedi di Catania, Ragusa e Siracusa, anche implementando la collaborazione con il Cus per fornire maggiori servizi attinenti alle attività sportive. Il nostro Ateneo deve costituire un ‘ponte’ verso il mondo del lavoro, dialogando con aziende pubbliche e private, ordini professionali e operatori economici. Solo così si rafforza il ruolo dell’università come centro del territorio”.
Tra i suoi obiettivi c’è anche quello della semplificazione. Da dove partire?
“La burocrazia universitaria è asfissiante. Tempi lunghi per l’acquisto, ad esempio, di reagenti o attrezzature bloccano le attività. Si dovrà fare un lavoro di semplificazione, razionalizzando le procedure, evitare quelle ripetitive, farraginose e mettere tutti gli attori della comunità accademica nella condizione di completare le attività in tempo ridotto. Conciliare il fare presto con il fare bene. Si tratta di un nodo cruciale per consentire ai docenti di dedicarsi alle tre missioni istituzionali: didattica, ricerca e terza missione, senza gli appesantimenti della burocrazia, che sovente ne paralizzano le attività”.
Lei ha parlato anche di rilanciare l’immagine dell’ateneo. In che senso?
“L’Università di Catania è un’istituzione antica e prestigiosa, che ha formato eccellenti professionisti. Dobbiamo recuperare le nostre radici, migliorando l’aspetto reputazionale. È importante che studenti e famiglie tornino a sentirsi orgogliosi di appartenere alla comunità accademica del territorio”.
Qual è la sua opinione sulle università telematiche?
“Tra gli atenei telematici, ve ne sono di ottimo livello. Recentemente, è stata introdotta una normativa che prevede la possibilità della didattica a distanza anche per le università ‘tradizionali’. La mia idea su questo punto è che l’università di Catania dovrà impegnarsi, anche in via sperimentale, per offrire un canale ‘dedicato’ online per corsi di laurea e master, rivolto essenzialmente agli studenti lavoratori e ai professionisti già in possesso di una laurea, ma che si ‘ri-mettono’ in gioco per migliorare le loro performance o la posizione lavorativa, nonché per conciliare la vita lavorativa di studenti madri o padri. Il canale dedicato da remoto potrebbe rappresentare una soluzione per queste specifiche esigenze. Attraverso metodi di insegnamento che devono assicurare la qualità della didattica – fermo restando la centralità degli insegnamenti in presenza essenziale per l’interazione in aula tra studente e docente – affinché il canale da remoto possa offrire un’alternativa, un vero ascensore sociale soprattutto per gli studenti fragili, che non hanno accompagnatore e che rimarrebbero del tutto emarginati”.

