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Q come Qui

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Franco Gabrielli  |
sabato 28 Giugno 2025

Occorre una riorganizzazione strutturale del cosiddetto progetto educativo

Reiner Maria Rilke, una delle voci poetiche più suggestive e alte dello spirito occidentale, ci consegna nelle “Elegie duinesi”, iniziate nel del 1912, nello specifico la “Nona Elegia”, un messaggio assoluto sul senso dell’essere qui:

Ma perché essere qui è molto,
e perché sembra che tutte le cose
di cui abbian bisogno di noi,
queste effimere che stranamente
ci sollecitano. Di noi, i più effimeri.
Ogni cosa una volta,
una volta soltanto.
Una volta e non più.
E anche noi una volta.
Mai più. Ma quest’essere
stati una volta,
anche una volta sola,
quest’essere stati terreni
pare irrevocabile.
E così ci affanniamo,
e lo vogliamo compiere,
vogliamo contenerlo
nelle nostre semplici mani,
nello sguardo che ne trabocca e nel
cuore che non ha parola.[…]
Forse noi siamo qui per dire:
casa, ponte, fontana, porta, brocca,
albero dà frutti, finestra, al più:
colonna, torre. Ma per dire,
comprendilo bene
oh, per dirle le cose così,
che a quel modo, esse stesse,
nell’intimo,
mai intendevano d’essere.

L’essere qui, è questione radicale, implica ricerca e senso, pazienza e profondità, narrazione e contaminazione.

Il filosofo canadese Charles Taylor, nel suo “Questioni di senso nell’età secolare”, ci offre un quadro lucido su quella che definisce la “cultura dei cercatori”, in riferimento ai molteplici interrogativi che sembra porsi il nostro tempo, con tutte le connesse difficoltà a trovare delle risposte, in particolare i giovani, sovente disorientati, privi di un tracciato fecondo, che l’attuale autoreferenzialità, ipersensibile e sovente parossistica, fatica a fornire loro. Ebbene, se ci riferiamo soprattutto ai giovani, se abbiamo davvero a cuore il loro investimento di senso sull’essere qui, occorre fare delle forme del sentire, il teatro, la poesia, il gioco, la musica, lo spazio strutturale dell’educazione.

Non sono i corsi sull’affettività, la consulenza psicologica, gli indirizzi e le pratiche antibullismo, reclamati a gran voce quali formidabili dispositivi salvacoscienza, a restituire al qui dei giovani un complessivo senso di marcia, semmai una riorganizzazione strutturale del cosiddetto progetto educativo. Relegare il teatro a semplice pausa o attività extracurricolare, la musica o lo sport solo a Licei specialistici, la grande letteratura, ivi compresa la poesia, ai soli Licei, soprattutto umanistici, mentre langue negli Istituti professionali, per poi ricorrere ai vari corsi sull’affettività, moltiplicando indebitamente gli enti direbbe Occam con il suo rasoio, significa, alla fine, conformarsi all’esistente limitandosi a una mano di vernice.

Occorre, semmai, fare delle discipline dell’anima delle pratiche di vita irrorate da un’autentica fascinazione educativa che da sempre intercetta, prima di ogni altro dispositivo procedurale, il cuore dei giovani. Il qui di un’ora scolastica deve sempre configurarsi come un oltre: un giovane deve avere la consapevolezza che tutto ciò che apprende in un’aula non è inutile, non è materia inerte, fine a sé stessa, ma è vita che fermenta, che risplende, che tracima nelle vie, nelle piazze, nelle case.

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