Le proposte di Legambiente lanciate in occasione del Forum organizzato con Utilitalia e Celli group. Al Sud la maggiore insoddisfazione per interruzione del servizio, picchi in Calabria e Sicilia
ROMA – L’acqua deve essere uno dei pilastri cui indirizzare le risorse del Recovery fund, attraverso un piano di investimenti destinato all’efficientamento e all’implementazione del Sistema idrico integrato, cioè l’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, fognatura e depurazione delle acque reflue. Lo propone Legambiente mettendo in campo cinque proposte affinché l’acqua diventi uno dei pilastri del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
L’associazione indica “la necessità di ammodernare la rete di distribuzione dell’acqua potabile, porre fine alla cronica emergenza depurativa nel nostro Paese e separare le reti fognarie, tra acque di scarico e meteoriche, investire sulla ricerca e lo sviluppo di sistemi e impianti innovativi, introdurre incentivi e defiscalizzazione per la riqualificazione idrica degli edifici e degli spazi urbani, come avviene per l’efficientamento energetico e rafforzare la rete dei controlli ambientali con l’approvazione dei decreti attuativi previsti dalla legge 132 del 2016″.
Le proposte sono state lanciate nel corso della seconda edizione del “Forum Acqua: per un servizio idrico integrato sostenibile”, organizzata dall’associazione ambientalista in collaborazione con Utilitalia e Celli Group, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Regione Lazio. Legambiente ricorda che l’Italia è “ai primi posti in Europa e nel mondo per prelievi d’acqua potabile e consumo di minerale in bottiglia e fanalino di coda tra gli Stati Ue per tasso di investimenti nel settore idrico, con una media di 40 euro per abitante all’anno, secondo dati The European House-Ambrosetti. Il Belpaese, inoltre, deve fare i conti con i circa 425 mila km di infrastrutture della rete idrica obsolete, il 25% delle quali ha oltre 50 anni e il 60% supera i 30”.
C’è poi il capitolo perdite lungo la rete idrica: quelle maggiori si verificano nel Sud Italia, dove si disperdono 1,25 miliardi di metri cubi di acqua in più rispetto al Nord, pari alle esigenze idriche di 15 milioni di persone e le irregolarità nell’erogazione del servizio idrico interessano ben il 20,4% delle famiglie, di contro al 2,7% delle famiglie nel Settentrione. Nel Meridione c’è il maggiore grado di insoddisfazione per interruzioni della fornitura del servizio idrico, con picchi in Calabria (40,2%) e Sicilia (31,9%).
È fondamentale, quindi, secondo Legambiente, “ammodernare la rete di distribuzione visto che – secondo dati dell’associazione relativi ai capoluoghi di provincia al 2018 – in Italia oltre il 36% dell’acqua potabile non arriva ai rubinetti, mentre in 18 città la metà dell’acqua immessa nelle condutture viene dispersa”.
Per l’emergenza depurativa l’Italia è stata già condannata dall’Unione europea a pagare 25 milioni di euro, cui se ne aggiungono altri 30 ogni semestre di ritardo nella messa a norma degli impianti. Separare le reti fognarie favorisce, secondo Legambiente, anche interventi di adattamento al clima nelle aree urbane. “Nella discussione sul Recovery plan italiano – ha detto Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – si continua a parlare di progetti lontani dai bisogni del Paese, come il tunnel sotto lo stretto di Messina o il confinamento geologico della Co2 nei fondali marini in alto Adriatico, di fronte la costa ravennate, ma non si mettono in programma gli interventi realmente cantierabili e utili al Paese e ai cittadini, come i depuratori, gli acquedotti o le reti fognarie”.
“Un servizio idrico integrato sostenibile – ha continuato Zampetti – è centrale per andare nella direzione prevista dalle direttive comunitarie, in termini di disponibilità dell’acqua per le persone, di tutela della risorsa idrica e per un’efficace politica di adattamento al cambiamento climatico a partire dalle città. Ma occorre intraprendere un percorso concreto di discussione tra tutti i soggetti coinvolti per avviare un processo virtuoso che coniughi investimenti, progettazione di qualità e innovazione”.
Il vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo ha spiegato che “gli investimenti delle utilities che 10 anni fa si attestavano sui 0,5 miliardi annui, oggi ammontano a 3 miliardi annui e potrebbero salire a circa 30 miliardi nei prossimi cinque anni. Restano aree del Paese in forte ritardo soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono ancora numerose le gestioni comunali ‘in economia’. Il Recovery Fund – ha rilevato – può rappresentare una grande occasione: Utilitalia ha raccolto le proposte delle utilities, progetti concreti ripartiti fra transizione verde e digitalizzazione”.