Recovery Plan, l'assessore Armao: “Scelte nazionali miopi” - QdS

Recovery Plan, l’assessore Armao: “Scelte nazionali miopi”

redazione

Recovery Plan, l’assessore Armao: “Scelte nazionali miopi”

venerdì 11 Dicembre 2020

Il vicepresidente della Regione siciliana attacca il governo Conte: “Autoreferenziale, ignorate proposte di tutte le Regioni”. Figuccia (Lega) incalza Musumeci: “Si attivi per evitare di deprivare la Sicilia di nuove possibilità infrastrutturali”

di Patrizia Penna e Ivana Zimbone

PALERMO – “Siamo seriamente preoccupati di come la Sicilia sia stata ancora una volta destinataria di spicciole elemosine da Roma. Lo scorso 20 novembre, la Regione aveva approvato un piano che in 28 pagine metteva insieme un elenco di progetti che valevano oltre 20 miliardi di euro ma oggi, gran parte delle proposte per investire la quota siciliana del Recovery Plan, sono state bocciate. Ora le ipotesi sono due. O il governo regionale non ha avuto spina dorsale nei confronti del governo Conte o ancor peggio, Musumeci non ha inteso esattamente la traccia del compitino che ciascuna regione era chiamata a svolgere”. A dirlo in una nota è Vincenzo Figuccia, deputato della Lega all’Ars e coordinatore provinciale del partito.
Non si placano le polemiche all’indomani della “doccia fredda” per la Sicilia, snobbata dal Governo Conte, e che ha visto sparire dalla bozza del Recovery Plan infrastrutture considerate essenziali per il rilancio di un’economia martoriata.
“Chiediamo al presidente della Regione – prosegue Figuccia – di attivarsi per non subire un nuovo e assurdo saccheggio che rischia di derprivare la nostra terra di nuove possibilità infrastrutturali tra tutte, l’alta velocità e il Ponte sullo Stretto”.

Gaetano-Armao

Gaetano Armao: “Scelte nazionali miopi”

E il governo regionale guidato da Nello Musumeci comunica tutto il proprio dissenso attraverso il vicepresidente della Regione, Gaetano Armao: “Il Recovery plan – scrive in una nota Armao – elaborato dal governo centrale ignora del tutto le proposte delle regioni italiane, come quelle dei comuni nonché delle parti sociali rivelando la scelta, del tutto autoreferenziale, di declinare in modo unilaterale lo sviluppo del Paese utilizzando la più straordinaria massa finanziaria a noi messa a disposizione dal secondo dopoguerra ad oggi”.
“Non colgono quindi nel segno – prosegue la nota – le considerazioni, provenienti da taluni settori del sindacato e della politica, che criticano il Governo regionale, poiché ad essere state ignorate non sono le proposte della Sicilia ma quelle provenienti da tutte le Regioni italiane, da tutti i comuni e da tutte le parti sociali. Se poi occorre entrare nel merito delle proposte della Regione, siamo ovviamente disponibili a farlo, nella corretta dialettica, ma utilizzare le miopi scelte nazionali per criticare quelle adottate a livello governativo regionale è un esercizio poco lungimirante”.

Samonà: “A Roma non importa nulla di cultura e turismo”

“A Roma non importa nulla di cultura e turismo”, ha tuonato invece l’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà (Lega), che è anche componente del Dipartimento nazionale cultura del partito.
“Nel Recovery plan – spiega Samonà – sono previsti soltanto 1,3 miliardi di euro per interventi in questi due settori a fronte dei 196 miliardi complessivi. Questo, nonostante siano due dei principali settori trainanti dell’Italia, in grado di muovere molti di punti di pil e dare occupazione a milioni di persone”.
“Questo – afferma Samonà – è il peggior regalo di Natale che l’esecutivo Pd + 5 Stelle potesse fare agli Italiani, che come ha giustamente fatto osservare il senatore ed ex ministro della Lega Gian Marco Centinaio, si è limitato ad erogare una mancetta che non fa che accrescere la crisi di un segmento di Paese a cui è stata negata visione, strategie ed adeguato sostegno. Il tutto, ulteriormente aggravato in quelle regioni, come la Sicilia, nelle quali il binomio cultura-turismo è ancora più strategico per uno sviluppo sostenibile dell’Isola e per l’occupazione”.
“Considerare asset economici primari come se fossero fastidiosi incidenti di percorso, destinando a questi le briciole – conclude l’assessore leghista – è il frutto di una politica miope che continua a trattare con indifferenza settori già messi duramente alla prova dalle chiusure forzate dovute all’emergenza covid”.

Report Diste, i dati di un’economia martoriata

Tanta amarezza, dunque, ma anche la consapevolezza che il Recovery Fund rappresenta l’ultimo treno per la Sicilia.
Proprio qualche giorno fa è stato presentato “Se non ora quando?”, il Report n.52 del comitato scientifico del Dipartimento Studi Territoriali, che analizza da oltre 25 anni l’economia e il mercato del lavoro della nostra regione. L’Isola rivela dati allarmanti: muoiono le imprese, si riducono i consumi, si alza il tasso di povertà e di disoccupazione. “Le terribili statistiche non sono da attribuire esclusivamente al virus, quanto al ciclo recessivo in cui si trova la Sicilia dal 2008 e che dura da oltre 11 anni”, spiega Alessandro La Monica, ricercatore del comitato scientifico. Le proiezioni di consuntivo dell’anno in corso e quelle per il 2021 non lasciano ben sperare. Ma intanto si auspica che il governo regionale possa presentare dei progetti validi per il Recovery Fund e che Roma dia al Sud quello che gli spetta: 111 miliardi di euro.

Le “cifre” del 2020

“Prima o poi, tutti i nodi vengono al pettine”. E pare che l’emergenza sanitaria abbia fatto emergere, in un solo anno, tutti i nodi accumulati dal 2008 – anno in cui è cominciata la recessione – a oggi. Le proiezioni di consuntivo del 2020 prefigurano un crollo del Pil del -12,5% (11,7 miliardi di euro). Il Pil pro capite si riduce a 15.745 euro, 2.250 euro in meno rispetto al 2019. Dati in continua diminuzione dal 2008, anno in cui si registrava un Pil complessivo di 97.964 miliardi di euro. Fino ad arrivare al Pil stimato per quest’anno di 75.650 miliardi.
Nel 2020 i siciliani hanno preferito la massima prudenza nella spesa e l’accantonamento della liquidità: frenano i consumi, con una diminuzione dell’11,8% (perdita di 8,3 miliardi). Contratti pure gli investimenti: i beni strumentali scendono del -18,7%, per un valore di 1,1 miliardi di euro; gli investimenti in costruzioni subiscono una flessione del 7,9%, pari a circa 530 milioni di euro, una caduta “ammortizzata” soltanto dai superbonus estivi del Decreto Rilancio. Un declino meno marcato riguarda la domanda dei beni alimentari e delle automobili, con gli incentivi introdotti dal Dl. 104/2020. A essere coinvolto negativamente soprattutto il ramo della produzione dei servizi, che subisce un calo del -13,6%. Il comparto alberghiero e della ristorazione presenta il dato più grave, con un -46,7% che si traduce in una perdita di 1,5 miliardi. L’industria perde il 8,9% e l’agricoltura il 2,1%.
Aumenta il disagio economico. Un quarto dei due milioni di famiglie residenti in Sicilia sono ormai considerate povere. Secondo l’Inps, a fine ottobre i beneficiari del Reddito di cittadinanza e della Pensione di cittadinanza erano 171 mila famiglie e 416 mila persone, per un importo medio di 545 euro ciascuno. Per Diste, a essere coperto è soltanto l’85% delle famiglie in povertà assoluta e il 71% delle persone povere.

Mercato del lavoro, penalizzate soprattutto le donne

La questione più urgente da risolvere è la mancanza di lavoro. Il Dipartimento fa sapere che già prima del Covid19 l’occupazione in Sicilia era tornata ai livelli degli anni ’90, con una regressione ininterrotta fino al 2019. Al contrario di quanto avvenuto nel Centro e nel Nord Italia, dove il tasso degli occupati aumentava in maniera pressoché costante.
Al netto del blocco dei licenziamenti e della Cassa integrazione, sono stati persi 34 mila posti di lavoro solo nel primo semestre, quando il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 17,3% (275 mila persone). La componente femminile ha perduto il 4,5%, quella maschile solo l’1,4%. Una disparità, secondo Diste, dipesa principalmente dal fatto che le donne siano maggiormente impiegate nel settore dei servizi in modo temporaneo e parziale, ma non per loro scelta: nello stesso comparto, le impiegate part-time sarebbero il 70%, contro il 30% degli uomini. E ancora, l’80% delle donne lavoratrici nel sistema produttivo avrebbe un contratto di dipendente a tempo determinato. Gli occupati nella fascia 15-64 anni scendono al 39,8%, a causa della diminuzione della componente femminile al 28,5%. Gli uomini, invece, mantengono il loro 51,4%.
La disoccupazione giovanile rimane al 50%. Aumentano in modo importante i cosiddetti Neet, ovvero coloro che non sono impiegati né a lavoro, né nella formazione, che raggiungono il 40% dei giovani tra i 15 e i 29 anni. E aumentano – in generale – gli inattivi, per un totale di 600 mila unità, ovvero quasi l’intero 20% del dato nazionale.

Possibili scenari per il 2021

“Secondo l’Istat, prima del Covid in Sicilia lavorava circa 1 persona su 4, compresi i dati del ‘sommerso’. Se abbiamo 1 milione e 300 mila occupati complessivi (e sappiamo che il ‘sommerso’ è del 20-30%, ovvero di 200-300 mila persone), a questi dati si andrebbero sommati quelli dei lavoratori non in regola che non hanno lavorato durante il lockdown – spiega Pietro Busetta, presidente di Diste, economista e professore all’Università di Palermo -. Credo che la situazione potrà emergere davvero in tutta la sua gravità soltanto alla fine della pandemia”.
Il Dipartimento, per il 2021, ha previsto due possibili scenari: “Secondo lo scenario A, elaborato sulla linea delle tendenze e delle aspettative sulle promesse messe in atto dal Governo, si potrà avere un Pil per il 2021 che cresce del 4,2%, molto contenuto rispetto al 12,4% previsto. Un dato che però non recupera quanto perso. E un altro parziale recupero del Pil pro capite (16.549 euro), come conseguenza di una ripresa dei consumi. Il settore più dinamico potrebbe essere quello delle costruzioni, seguito dall’industria e dall’agricoltura. I servizi comincerebbero in maniera molto graduale a riprendere con un +4,1%. Ma il mercato del lavoro subirà ancora forti conseguenze”, annuncia Lo Monaco. Se si verificasse l’ipotesi più ottimista, il tasso di disoccupazione potrebbe aggirarsi intorno al 21,9%.
Lo scenario B, meno ottimista, prevede un recupero del Pil del 2,9%, con un distacco di circa il 10% rispetto al 2018. E un Pil procapite pari a 16.335 euro, con una percentuale di disoccupati del 22,6%.

Per Ripartire dal Sud

Per far ripartire la Sicilia, secondo Diste, servirebbe che il Governo rispettasse le indicazioni Ue e riducesse il gap Nord-Sud. Infatti, il Nord – prima della pandemia – risulta aver invertito la tendenza alla recessione già a partire dal 2015, poter vantare una percentuale più bassa di famiglie povere, un tasso di occupazione maggiore e un’economia più forte.
“Senza le regioni meridionali e insulari, un’Italia rimpicciolita sarebbe allineata ai parametri dei principali Paesi europei. (…) Se nel Sud e Isole il mercato del lavoro fosse conforme a quello del Centro/Nord, l’Italia sarebbe un competitor più forte degli altri”, si legge sul report.
La “ricetta” degli esperti per uscire dalla crisi – e dal ciclo recessivo – vede protagonisti grandi investimenti nel settore delle infrastrutture e della sanità, il Ponte sullo Stretto, l’Alta velocità Augusta-Salerno, la capacità di approfittare della posizione strategica della Sicilia al centro del Mediterraneo, trasformandola in un fondamentale porto di scambi che possa intercettare il traffico navale in uscita dal Canale di Suez.
Adesso, le scelte del Governo Conte, rimettono tutto in discussione e soprattutto rischiano di aggravare ulteriormente la già precaria condizione socio-economica della nostra Isola.

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