Reputazione, come certi media hanno indotto, per interesse, un complesso d’inferiorità nei Siciliani - QdS

Reputazione, come certi media hanno indotto, per interesse, un complesso d’inferiorità nei Siciliani

Giuseppe Lazzaro Danzuso

Reputazione, come certi media hanno indotto, per interesse, un complesso d’inferiorità nei Siciliani

lunedì 14 Settembre 2020

La volontà di bloccare le risorse dietro la strategia di bollare l’Isola, e il Sud, come assistenzialista, nullafacente e mafiosa. Busetta, “il lavaggio del cervello è stato profondo e la sensazione è che il Meridione abbia perso consapevolezza di sé stesso”. Fleres, “diffamandoci, ci hanno ridotto all’umiliante ruolo di mercato delle industrie settentrionali”. Pira, “occorre lavorare sulla nostra non eccezionale web reputation, che conta tantissimo”

Sul dizionario Treccani leggiamo che per reputazione s’intende la stima, la considerazione in cui si è tenuti da altri.

E la reputazione dei meridionali non dev’essere alta se il presidente di Eurispes Gian Maria Fara ha sottolineato, presentando nel gennaio scorso il Rapporto 2020, che il Sud viene “descritto come la sanguisuga del resto d’Italia, luogo di concentrazione del malaffare, ricovero di nullafacenti, gancio che frena la crescita economica e civile del Paese, elemento di dissipazione della ricchezza nazionale”.

Ma se Fara ha bollato queste come “spudorate menzogne”, sostenendo che vengono utilizzate per giustificare la mancanza di investimenti nel Sud, in aprile, durante la trasmissione di Retequattro “Fuori dal coro”, un per fortuna ormai ex giornalista, Vittorio Feltri, che alcune forze politiche avrebbero addirittura voluto presidente della Repubblica, ha definito i Meridionali “inferiori”.

Giustificando poi l’enormità dell’affermazione con una spiegazione “sociologica”: non potrebbe essere diversamente per via della povertà del Sud. Come se questa, fin dall’Unità d’Italia, non fosse stata indotta dal Nord, almeno a sentire lo storico britannico Denis Mc Smith, il quale ricordava che solo dallo Statuto speciale, nel 1946, i Siciliani avessero fatto “di più per migliorare la loro società che in qualsiasi altro periodo dall’epoca dei tiranni greci”.

A questo punto abbiamo pensato di mettere a confronto un economista, Pietro Busetta, un sociologo, Francesco Pira, e un giornalista e politico, Salvo Fleres, per cercare di capire quanto possa incidere – e quanto sia stata usata ad arte – la cattiva reputazione per penalizzare il Sud e in particolare la Sicilia.

“Dire – afferma Pietro Busetta – che quando al Nord stavano ancora sugli alberi noi siciliani disquisivamo di filosofia è una battuta. Ma non è poco credibile che realtà molto settentrionali, dopo un lavaggio del cervello durato vent’anni da parte della Lega Nord, pensino che al Sud siamo inferiori. Il Mezzogiorno non ha mai avuto l’attenzione sistemica che servirebbe e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: il Centro-Nord è madre patria e il Sud colonia. Ma, come affermo nel mio ultimo libro, Il coccodrillo si è affogato, senza il Sud questo Paese sarebbe destinato a uscire dai grandi”.

“Per decenni – sottolinea Salvo Fleres – la Sicilia è stata derubata dei fondi destinati alle infrastrutture con la scusa di non voler ingrassare una mafia che ora, a giudicare dal dato della Dia secondo cui su cinque euro riciclati in Italia da Cosa nostra, uno è nella sola città di Milano, è più al Nord che al Sud. Il potenziale economico siciliano è incredibile: mille chilometri di coste incontaminate, il sessanta per cento dei Beni culturali italiani, il maggior numero di siti Patrimonio Unesco, un sempre più alto numero di parchi naturali e riserve, prodotti agroalimentari, vini compresi, che hanno conquistato il mondo. In Sicilia non mancano, quindi, né le risorse materiali, né quelle intellettuali. Ma il Nord, come dice Busetta, ci ha sempre considerato colonia, e, diffamandoci, ci ha ridotto all’umiliante ruolo di mercato delle industrie settentrionali. E questo proprio per mancanza di quelle infrastrutture di cui altre parti d’Italia dispongono”.

Un semplice espediente per verificare il livello della reputazione dei Meridionali e in particolare dei Siciliani è quello di digitare questo termine su Google, nella sezione dedicata all’iconografia: appaiono immagini utili a comprendere quale idea si abbia di noi isolani.

La Sicilia viene vista come una terra arretrata, anche se ricca di sapori e colori, avvelenata dalla mafia e sfruttata dalla politica, in bilico tra la condanna all’irredimibilità pronunciata dalla sua grandiosa Letteratura e un improbabile riscatto.

Siamo ancora l’uomo con la coppola e la valigia di cartone, l’emigrato scuro di carnagione, cotto dal sole, basso, le gambe un po’ arcuate. Un look immutato fin dalla fine dell’Ottocento, quando l’ambiente modellava così il corpo degli agricoltori del Sud Italia, ma anche di quelli del Nord, emigrati per scampare alla morte per pellagra, malattia dovuta a una dieta limitata alla polenta e che colpiva un terzo dei contadini settentrionali.

Tra i passeggeri di terza classe c’erano ieri duecento italiani, la parte più lurida e miserabile di esseri umani mai sbarcati scriveva, nel 1879, il New York Times. Riferendosi non a siciliani, ma a veneti e piemontesi giunti in America e ai quali, a Ellis Island, veniva controllata la dentatura, come ai cavalli.

“Eppure – spiega Francesco Pira – solo ai Siciliani è rimasto attaccato addosso lo stereotipo del miserabile con la coppola. Per non parlare del marranzano e della lupara. Mi ossessiona la forzata parlata sicula nelle pubblicità. Considerato tutto quel che, come detto da Fleres, rappresenta la nostra terra, c’è da essere stanchi di essere raffigurati come nel Padrino di Puzo, anche se qualcosa abbiamo recuperato con Camilleri. Proprio lo scrittore agrigentino ricordava che il Siciliano è unico perché figlio di mille popoli, come gli americani. Ma questo è un punto di forza, non di debolezza. Da studioso della Comunicazione dico che occorre lavorare sulla nostra non eccezionale web reputation, che conta tantissimo. Pensate al matrimonio di Chiara Ferragni e Fedez a Noto: quella città ancora gode dei feedback positivi dell’evento grazie a una narrazione sul web diversa da quella televisiva in cui si andava a cercare il siciliano con coppola che diceva: “Chiara Ferragni cu’ è?”.

In ogni caso sono moltissime le persone, al Nord ma anche al Sud, intimamente convinte dell’inferiorità dei Meridionali. E la responsabilità è in gran parte dei giornali: fin da prima dell’Unità le testate del Nord – “la setta” li definiva nel 1862 il francese Hercule de Sauclieres in un suo libro sul “brigantaggio piemontese”– hanno diffuso pregiudizi antimeridionali, compresi quelli pseudoscientifici dello “scienziato” Cesare Lombroso. Così, con la scusa di far fiorire in una terra arretrata, nonostante Napoli, allora, fosse per molti aspetti, sotto il profilo economico e scientifico, più avanti di Torino, l’annessione del Sud d’Italia venne portata avanti con le medesime tecniche di una colonizzazione. Mettendo le genti del Sud sullo stesso piano dei “selvaggi” africani, diffamandole e negando la loro evoluzione. E questi media hanno persino indotto, nel perseguire gli interessi economici delle lobbies del Nord, un complesso d’inferiorità nei Siciliani, convinti spesso d’essere peggiori di altri.

“A proposito dei media e degli interessi del Nord – spiega Salvo Fleres –, non è un caso che la notizia contenuta nel rapporto Eurispes 2020 della rapina da 840 miliardi di euro in diciassette anni del Nord al Sud non sia stata pubblicata da alcun grande giornale. Sono le stesse testate, gli stessi giornalisti, che, con articoli e libri, hanno costruito le loro fortune sullo stereotipo del Mezzogiorno assistito e nullafacente. Poi arrivano i dati e si scopre che il Nord è pieno di micropartecipate: vero è che spendono soldi loro, ma il principio di perequazione va a farsi benedire. E la Lega Nord, in Sicilia, ha il coraggio di dire ai Siciliani che non devono essere piagnoni? Ci vuol davvero una bella faccia tosta”.

“Mi pare – aggiunge Busetta – che più che smetterla di piangersi addosso i Siciliani e i Meridionali dovrebbero pretendere di essere trattati alla pari degli altri italiani. Credo che il lavaggio del cervello sia stato profondo e la sensazione è che il Sud abbia perso consapevolezza di sé stesso. Come ho recentemente scritto, oggi la distribuzione delle risorse tra Nord e Sud ha aspetti di incostituzionalità. La parola chiave è Lep, ossia livelli essenziali delle prestazioni. Che secondo l’articolo 117 della Costituzione vanno garantiti su tutto il territorio nazionale. Ma, con l’Autonomia regionale che viene riproposta, è evidente che le regioni ricche vogliono tenersi il loro surplus fiscale come se fossero degli Stati autonomi. Così, dopo anni di propaganda leghista su un Mezzogiorno parassita, tornare ai concetti di solidarietà sembra difficile. E si va verso quella che è stata definita la secessione dei ricchi: in una visione campanilistica e provinciale vorranno tenersi i soldi che producono, altro che perequazione e Sviluppo del Mezzogiorno. L’Emilia rossa e le regioni leghiste e del centrodestra del Nord, vogliono i marciapiedi di marmo e se ne fregano se da noi sono di cemento o non ci sono affatto. Ma non si rendono conto che tutto questo finirà per penalizzare quelle stesse regioni”.

Qualche giorno fa il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano ha detto al Qds che, per superare il gap con il Nord – una differenza che, come abbiamo visto, è anche di reputazione -, il Mezzogiorno deve puntare sull’eccellenza e sulla capacità di fare squadra.

Non si può non essere d’accordo – sottolinea Pira – ma bisogna investire parecchio anche in comunicazione per mostrare le tante realtà meridionali e siciliane che rappresentano delle eccellenze. Qualcosa sta accadendo, ma soltanto da poco stanno nascendo, per esempio, testate nazionali che parlano di un Sud fino a oggi senza voce. Poi occorrerà superare municipalismi, egoismi, qualunquismi per fare squadra a livello nazionale. E sconfiggere l’arma micidiale che uccide eccellenze, iniziative, progetti, intuizioni e creatività: quella miscela perversa d’invidia e ignoranza che porta a massacrare chiunque si metta in gioco. E con i social e le fake news, purtroppo, questo è ancor più facile”.

“Riguardo a Provenzano e alle eccellenze – aggiunge Busetta -, purtroppo lo sviluppo del Mezzogiorno non attiene a una dimensione dell’anima ma a quella dei capitali. Occorre attrarre investimenti dall’esterno, come ho recentemente consigliato alla Regione Siciliana. Occorre localizzare grandi enti come l’Istat, richiamare grandi agenzie internazionali, lavorare per costruire grandi eventi. E la reputazione verrà dopo, automaticamente”.

“Ma per fare tutto ciò – conclude Fleres – bisogna chiedersi se la classe politica siciliana, che ha consentito orrori come il Federalismo fiscale, con il meccanismo perverso della spesa storica opposto alla perequazione, sia stata stupida o compiacente. Risulterà evidente che in questo momento storico alla Sicilia manca una classe politica moderna, onesta e competente, che risponda esclusivamente alla nostra Isola, ai suoi abitanti”.

Ma forse una nuova classe politica meridionale non basterà. Perché, come afferma Busetta, occorre la volontà non soltanto della Sicilia o del Sud ma dell’intero Paese “di mettere a regime il Mezzogiorno: ma non credo che il Nord lo voglia fare”.

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