Donata Vianelli, ordinaria di Economia, ha vinto le elezioni all’Università di Trieste. La prima donna dal 1924 e la 18esima in Italia
TRIESTE – Si alza la somma delle donne che guidano le Università italiane: Donata Vianelli ha vinto le elezioni per la corsa a rettrice dell’Università di Trieste. Nata a Vicenza, professoressa ordinaria di Economia e Gestione delle imprese, con 552 voti ha superato già al primo turno la soglia della maggioranza assoluta. La rettrice Vianelli entrerà in carica ufficialmente il prossimo 1 agosto ed è la 18esima donna a guidare un Ateneo in Italia. Continuiamo così a occuparci della lenta ma costante lotta al “tetto di cristallo”, il fenomeno del glass ceiling, che vede le donne dover superare molti ostacoli per accedere alle posizioni apicali dell’Università. Vianelli ci ha raccontato il suo percorso e la sua idea sul processo di trasformazione del ruolo femminile (e non solo) nell’Università e nell’unire il binomio famiglia-lavoro.
Prima rettrice donna nella storia dell’Università di Trieste, dal 1924. Il suo appello è stato “chiamatemi rettrice”. Perché è importante usare il femminile?
“Il nome rettrice mette in evidenza un cambiamento, che sta avvenendo nella società, nei ruoli dirigenziali e a maggior ragione nel mondo universitario. Noi abbiamo tante donne in università ma pochissime ancora nelle posizioni apicali. All’Università di Trieste tra cento professori ordinari solo il 20% è donna. Quindi c’è ancora molta disparità, che però è destinata a ridursi. C’è un problema nelle Stem, le discipline scientifiche, dove ancora la componente maschile è forte, il che deriva proprio dai percorsi universitari: ma anche qui oggi si nota una crescita al femminile. Però è vero che, ancora oggi, tra ricercatori c’è una parità di genere, che poi tende a diminuire quando si passa ai professori associati e si riduce ancor di più con gli ordinari”.
Ci parli un po’ del suo percorso professionale: ha incontrato degli ostacoli o ha dovuto fare i conti con stereotipi e pregiudizi?
“Il mio percorso universitario è stato abbastanza standard, con la differenza che ho scelto Economia e Gestione delle imprese. Quando mi sono laureata all’Università di Trieste, dopo sono andata a lavorare in azienda. Sono poi tornata in Ateneo per un’opportunità didattica e mi sono innamorata della dimensione universitaria: ho capito che avrei potuto dare molto e così ho deciso di licenziarmi e di fare un dottorato di ricerca a Venezia. Da lì ho iniziato un periodo di borse di studio e assegni di ricerca in una situazione di forte precariato. Non ho avuto, quindi, una carriera tipica. Il percorso iniziale in azienda mi aveva un po’ ostacolato, però fin dall’inizio per me il rapporto col territorio e con il mondo del lavoro è stato fondamentale per capire la ricaduta pratica di quello che studiavo. Durante questo periodo di precariato ho fatto tre figli: è stata dura anche gestire questi bambini, tre maschi. A quel punto, però, mi ero talmente dedicata all’attività di ricerca che mi dissero, per i tanti titoli conseguiti, di andare avanti. Così sono diventata professoressa associata: ero giovane, avevo 35 anni, ma arrivavo da dieci anni di precariato in cui anche la maternità è stata più difficile perché i diritti essenziali non venivano esattamente garantiti”.
L’essere entrata come associata da giovane donna, ha destato invidie o pregiudizi da parte dei colleghi?
“Ho avuto sempre grande stima da colleghe, colleghi e anche da studenti e studentesse e ho contato sulla collaborazione anche nel periodo di precariato e quando insegnavo e dovevo gestire tre figli piccoli. Con le colleghe ci siamo molto aiutate, anche nel capire le reciproche necessità cercando di non creare situazioni in cui, per esempio, una riunione alle sette di sera avrebbe potuto diventare molto difficoltosa per una mamma. La mia fortuna è stata anche a casa, avendo due nonne che mi hanno dato una mano. Io non ho mai fatto mancare nulla alla famiglia e ho lavorato sempre tantissimo. Quando affrontiamo una maternità è richiesto molto impegno, ma non bisogna che questo diventi una scusa per stopparsi: bisogna creare un contesto di lavoro dove anche tra donne ci si aiuta, nell’ottica del dare e avere. Io ho aiutato molte colleghe più giovani in maternità, proprio perchè ho ricevuto aiuto nei momenti di difficoltà. Ma molto spesso non è così. Noi donne abbiamo un carico di cura in ogni età: siamo mamme, zie, figlie, nipoti, sorelle. è importante che ci sia cameratismo anche tra donne. E poi importanti sono anche i colleghi uomini: vedo un mondo che sta cambiando, con tanti giovani papà, mariti attenti alle difficoltà. E quell’attenzione, poi, la riportano anche sul luogo di lavoro”.
Lei è la 18° rettrice in Italia, fino a qualche giorno fa erano 17 e lei ha aumentato la somma…
“E tra una settimana saremo in 19: ci sono le elezioni in corso all’Università di Verona e, dopo il ritiro dell’unico candidato uomo, sono rimaste due donne”.
Si sta quindi sgretolando, piano piano, il “tetto di cristallo”. L’Università, di fatto, è stata immaginata da uomini: ma ora si può dire che il modello classico, maschile, è in crisi e che la presenza femminile stia migliorando l’Università? Magari sulla cura, sulle relazioni e la gestione attenta ai bisogni…
“Confermo. E nel mio programma uno dei valori principali è quello della centralità della persona, dove persona vuol dire l’intera comunità universitaria. Mettere al centro la persona significa ascoltare le esigenze di ognuno. Da ciò derivano i miglioramenti, anche piccoli ma necessari. Migliorare il contesto lavorativo, il clima relazionale, lo spazio fisico di studio e di lavoro sono elementi alla base dello stare bene. Da questo migliora anche l’efficienza e l’efficacia”.
Esiste un tema politico: la carenza di welfare al femminile. In che modo i pochi servizi pubblici ostacolano la donna nell’arrivare più in alto?
“Le cose sono migliorate ora rispetto agli anni Novanta, ma non abbastanza. Ancora non abbiamo un welfare come quello dei Paesi scandinavi o della Francia, dove c’è molta più attenzione ed esistono, per esempio, servizi di babysitteraggio gratuiti. Qui ci sono dei contributi, però bisogna avere una visione su cosa vogliamo raggiungere. Non è l’azione spot che risolve il problema strutturale: dei soldi si ha sempre bisogno ma non è solo l’aspetto finanziario il perno. Il sistema deve aiutare su lungo termine. Non è un caso che l’Italia sia ormai il fanalino di coda demografico per il tasso di natalità. Anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha detto che abbiamo stipendi troppo bassi: parlo non dei ruoli apicali ma dei giovani neolaureati, dei ricercatori, dei dottorandi. A oggi un dottorando inizia una carriera di precariato, con uno stipendio da 1.190 euro al mese per tre anni e sono persone che studiano, lavorano, faranno il futuro della nostra Università: ma come fanno a crearsi una famiglia con 1.190 euro al mese? In tutto il resto d’Europa la borsa è ben superiore ai 2.000 euro. Non siamo attrattivi, in questo modo. Non c’è ancora una forte base economica e di servizi pubblici”.
Lei ha puntato molto sui concetti di collaborazione, anche rivolgendosi alla comunità studentesca. Nelle Università l’individualismo, ma anche la violenza di genere e le disparità sono ancora presenti. Il fatto che adesso ci siano più donne nei ruoli apicali può fare la differenza?
“Ritengo che da questo punto di vista ci debba essere un impegno di tutti, rettori e rettrici. Non possiamo pensare che le donne siano più vicine a queste problematiche e gli uomini invece meno. C’è stata secondo me una crescente sensibilizzazione rispetto al tentativo di ridurre la disparità e di questo dobbiamo tutti farci carico, donne e uomini. E poi bisogna valutare non in base al genere, ma in base al merito. è il merito che ci porta a determinate posizioni e alla capacità di leadership. Qui a Trieste il bello della campagna elettorale è stato che fosse tra due donne. C’era ovviamente chi diceva, ‘dopo cent’anni, sarebbe bello avere una rettrice donna’ ma il fatto che fosse già tra due donne ha annullato fin dall’inizio lo stereotipo. Dobbiamo educare la società a ricordarsi che la grande differenza va sul merito e sulle competenze e quindi che il vero lavoro va fatto prima: aiutare e favorire le donne a sviluppare una carriera e a non creare degli ostacoli. Quando aiutiamo le donne a sviluppare le competenze allora ecco che nelle posizioni apicali la scelta andrà proprio sulle competenze e non sul genere: perché le risorse sono sia tra gli uomini che tra le donne”.