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Ricercatori Ingv individuano il “cuore pulsante” dell’Etna

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Ricercatori Ingv individuano il “cuore pulsante” dell’Etna

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venerdì 21 Maggio 2021

E' il risultato del modello elaborato per l’Etna da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), appena pubblicato sulla rivista scientifica ‘Applied Sciences’.

Un funzionamento simile a quello di un cuore pulsante, con un serbatoio magmatico più profondo che ne alimenta costantemente uno più superficiale, dove i gas pressurizzano dando origine alla raffica di fontane di lava: è il risultato del modello elaborato per l’Etna da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), appena pubblicato sulla rivista scientifica ‘Applied Sciences’

Lo studio, dal titolo “Combining high- and low-rate geodetic
data analysis for unveiling rapid magma transfer feeding a sequence of violent
summit paroxysms at Etna in late 2015”
, si è concentrato su una  serie
di quattro fontane di lava che hanno interessato il cratere Voragine del vulcano
siciliano nel dicembre del 2015.

Gli scienziati hanno analizzato le deformazioni del vulcano per
risalire alle sorgenti magmatiche delle sequenze delle violente eruzioni, per
comprenderne le dinamiche e  definire il sistema di alimentazione
dell’Etna in grado di produrre un così rapido accumulo e violento rilascio del
magma.

“La nostra analisi dei dati di deformazione del suolo, ottenuti
utilizzando dati ad alta frequenza tilt e GNSS (Global Navigation Satellite
System)  e immagini satellitari DInSAR (Differential Interferometric
Synthetic Aperture Radar), ha riguardato un periodo di 12 giorni comprendente
l’intera sequenza eruttiva del dicembre 2015”
, spiega Alessandro Bonforte, ricercatore dell’INGV e primo autore
dell’articolo. “Tali misurazioni ci hanno permesso di definire le complesse
interazioni tra le diverse zone di stoccaggio in cui è stato temporaneamente
immagazzinato il magma eruttato con i parossismi”
.

Lo studio ha consentito di definire le dinamiche e le velocità di trasferimento del magma da una camera magmatica profonda a una più superficiale. Lì il magma, ricco di gas, staziona temporaneamente accumulando pressione.

“La sorgente di pressurizzazione profonda fornisce magma ricco di
gas a un serbatoio più ‘superficiale’ situato a una profondità di circa 1,5/2
km”
, spiega Bonforte. “Quando
la pressione del gas supera quella di contenimento delle rocce si verifica
l’eruzione violenta sotto forma di parossismo. Questo meccanismo combinato di
due livelli di ‘stoccaggio’ del magma a diverse profondità rappresenta, dunque,
il possibile ‘motore’ delle sequenze di eventi così rapidi e violenti”
.

Tali parossismi drenano non soltanto il materiale magmatico
accumulato nel serbatoio più superficiale, ma anche parte di quello che
staziona nel resto del sistema di alimentazione del vulcano, con tasso eruttivo
di oltre 300 metri cubi al secondo. Viceversa, quando la pressione del gas
diminuisce, il parossismo si arresta, diciamo che la valvola si chiude, e il
serbatoio più profondo (situato a circa 6 km di profondità)
inizia nuovamente a ricaricare quello superficiale, così come il flusso
sanguigno nel cuore che viene pompato dall’atrio al ventricolo e poi dal
ventricolo all’esterno del cuore.

“Il modello da noi proposto, dunque, suggerisce un meccanismo
simile a quello di un cuore pulsante, in cui un serbatoio di media profondità,
a circa 6 km, carica un serbatoio più superficiale, a circa 2 km; questo
serbatoio si trova ad una profondità che consente al gas di separarsi dal resto
del fuso, aumentando così la pressione, un po’ come quando si vedono le
bollicine formarsi in una bottiglia di una bevanda gasata. Tutto tace finché la
pressione esercitata dal gas presente all’interno del magma non risulta troppo
elevata, in sostanza si apre la valvola e si verifica il parossismo, che drena
il magma dalla sorgente più superficiale e dal resto del sistema, che è
continuo. Una volta scaricata la pressione in eccesso, la valvola si chiude e
il ciclo ricomincia, col magma che riprende a spostarsi dal serbatoio profondo
a quello superficiale. Questo meccanismo potrebbe rappresentare un modello
concettuale valido per eventi di natura simile sull’Etna e su altri vulcani nel
mondo”
, conclude Bonforte.

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