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Rifiuti, il risveglio incompiuto della Sicilia: più differenziata, ma impianti insufficienti

Rifiuti, il risveglio incompiuto della Sicilia: più differenziata, ma impianti insufficienti
I numeri del rapporto Ispra sulla gestione degli scarti

Nel 2024 l’Isola sale al 55,5%, ma resta lontana dai migliori. Ed esporta a peso d’oro tonnellate di spazzatura

ROMA – Anno dopo anno, fotografare lo stato di salute del sistema di gestione dei rifiuti in Sicilia necessita di una considerazione preliminare: l’isola è come se si fosse svegliata da un letargo durato almeno quindici anni e di conseguenza ogni miglioramento finisce per non essere sufficiente a smuoverla dai bassifondi delle graduatorie nazionali. Detto questo, l’ultimo rapporto sui rifiuti urbani, presentato ieri dall’Istituto superiore per la protezione dell’ambiente (Ispra), contiene elementi che confermano come in Sicilia la differenziata stia comunque crescendo.

L’ultimo dato, aggiornato al 2024, dice 55,5 per cento: una maglia nera che pesa – se si considera che Emilia Romagna, Veneto, Sardegna e Trentino Alto Adige stanno ben oltre il 75 per cento e che la legge prevedeva il traguardo del 65 per cento già per il 2012 – ma che comunque registra un leggero aumento rispetto al 2023 (0,3%). Aumento che se poi si estende lo sguardo all’ultimo quinquennio diventa del 13,2 per cento: nel 2020, infatti, in Sicilia si riusciva a differenziare poco più del 43 per cento della spazzatura prodotta.

Produzione dei rifiuti e quadro nazionale

A tal proposito, Ispra sottolinea come nell’ultimo anno, in Italia, i rifiuti prodotti siano aumentati. “Nel 2024, la produzione nazionale dei rifiuti urbani si attesta a poco più di 29,9 milioni di tonnellate, in aumento del 2,3 per cento rispetto al 2023”, si legge nel rapporto. In termini assoluti si tratta di circa 664 mila tonnellate in più, mezzo milione delle quali prodotte al Nord. In Sicilia la crescita nella produzione dei rifiuti c’è stata, ma inferiore: dalle 2.153.696 tonnellate del 2023 alle 2.168.221 del 2024, per un incremento dello 0,7 per cento. All’origine di questi aumenti c’è la situazione socio-economica. “A fronte dell’incremento del 2,3 per cento rilevato nell’ultimo anno di riferimento per la produzione dei rifiuti urbani, l’economia italiana ha fatto registrare, rispetto al 2023, una crescita del Prodotto interno lordo e della spesa per consumi finali sul territorio nazionale, pari allo 0,7 per cento”, si legge nel rapporto di Ispra.

Dati pro capite e province

A livello pro-capite, la media nazionale di produzione dei rifiuti è di 507,9 chilogrammi per abitante, dato che in Sicilia cala a 454,1 chilogrammi (nel 2024, 449 chili). Tra le province dove si producono meno di 400 chili di rifiuti all’anno per abitante ci sono Caltanissetta ed Enna.

Differenziata: il peso del Palermitano

Tornando ai dati sulla differenziata, il dato siciliano continua a risentire pesantemente delle difficoltà che si registrano nel Palermitano. Il capoluogo di Regione incide più di tutti nel costringere la percentuale della raccolta in provincia al 36,9 per cento. Le altre province, invece, si trovano in condizioni senz’altro migliori. Questa la classifica in crescendo: Siracusa 54,1 per cento; Catania 55,4; Agrigento 59,9; Messina 65,6; Enna 66,3; Caltanissetta 66,4; Ragusa 68,7; Trapani 77 (ma in calo di un punto rispetto al 2023).

Da un punto di vista delle tipologie di rifiuti raccolte, il 37,8 per cento è rappresentato dall’organico, seguito da carta e cartone al 19,5 per cento, dal vetro all’11,3 per cento e poi plastica all’8,8, legno al 5,6 e gli ingombranti al 5,2. Il dato sul vetro è quello che a livello nazionale, con un’incidenza negativa registrata nelle regioni del Nord e del Centro, è calato rispetto al 2023.

Riciclaggio: l’obiettivo europeo

Nel dibattito pubblico solitamente a trovare spazio è la capacità dei territori di fare la differenziata, con la conseguenza di lasciare sullo sfondo quello sul riciclaggio. Ovvero sulla reale capacità di ricavare materia riutilizzabile dalla lavorazione dei rifiuti. È su questo fronte che l’Unione Europea invece pone l’attenzione. Per il 2025, l’obiettivo a livello nazionale è quello del 55 per cento. Un traguardo che l’Italia non è detto raggiungerà: Ispra segnala che al 2024 ci si è fermati al 52,3 per cento (+1,5 rispetto al 2023). “Rispetto al tasso di raccolta differenziata si osserva una differenza di 15,4 punti percentuali (in miglioramento rispetto ai 15,8 punti del 2023) a riprova del fatto che la raccolta, pur costituendo un passaggio fondamentale per garantire l’ottenimento di flussi omogenei e riciclabili, non può limitarsi al solo raggiungimento di alti tassi ma deve garantire anche un’elevata qualità delle differenti frazioni intercettate al fine di consentirne l’effettivo riciclo”, viene ricordato nel rapporto.

Un’osservazione che sposta la riflessione sullo stato dell’impiantistica in Italia. La presenza di siti attrezzati a livello tecnologico garantisce maggiori opportunità di ottimizzare i frutti derivanti dalla raccolta differenziata. Nel 2024, gli impianti operativi in Italia erano 625, dei quali 325 al Nord, 118 al Centro e 182 al Sud. “Sono dedicati al trattamento della frazione organica della raccolta differenziata 344 impianti, 132 sono gli impianti di trattamento meccanico o meccanico biologico, 102 le discariche, 35 gli impianti di incenerimento e 12 quelli industriali che effettuano il coincenerimento dei rifiuti urbani”, si legge.

A riguardo va segnalato come sul fronte del compostaggio, matrice che come detto rappresenta la fetta più ampia della raccolta differenziata, nelle regioni del Sud tra il 2023 e il 2024 ci sia stata una contrazione del numero di impianti attivi: da 76 si è passati a 69. Dei nove venuti meno, sei interessano la Sicilia. Lo scenario, tuttavia, nel prossimo futuro è destinato a cambiare: oltre ad alcuni progetti privati che puntano all’implementazione della produzione di biogas negli impianti di compostaggio esistenti, il nuovo piano regionale dei rifiuti, varato da Renato Schifani proprio nel 2024, prevede importanti investimenti nell’impiantistica, compresa quella dedicata al compostaggio.

Riduzione dello smaltimento

L’aumento della differenziata ha portato, a livello complessivo, a una riduzione delle fasi di smaltimento. Sia sul fronte delle discariche che degli inceneritori. “Nel 2024 lo smaltimento in discarica ha interessato poco più 4,4 milioni di tonnellate di rifiuti urbani facendo registrare, rispetto alla rilevazione del 2023, una riduzione di quasi 170mila tonnellate, corrispondente ad un calo percentuale del 3,7 per cento”. Di questi rifiuti, il 37,1 per cento è gestito da impianti che ricadono al Sud (-7,2% rispetto al 2023), mentre al Nord solo il 28,8 per cento.

Nel rapporto si sottolinea che “l’analisi dei dati evidenzia che lo smaltimento in discarica interessa il 15 per cento dei rifiuti urbani prodotti (nel 2023 la percentuale era del 16%)” mentre “il 18 per cento dei rifiuti urbani prodotti è incenerito” e l’1 per cento viene inviato ad impianti produttivi (quali i cementifici, centrali termoelettriche, ecc.) per essere utilizzato per produrre energia all’interno del ciclo produttivo”. Per quanto riguarda i termovalorizzatori, che nel rapporto sono definiti inceneritori, si dice che nel 2024 gli impianti operativi sul territorio nazionale sono stati 35. “Il numero è andato progressivamente riducendosi passando dalle 44 unità del 2014” si legge.

Capitolo che tocca da vicino la Sicilia è quello dell’invio fuori regione. In questo caso, prima passano dagli impianti di trattamento meccanico-biologico o semplice trattamento meccanico, fasi propedeutiche allo smaltimento. Nel 2024 dall’isola sono uscite per rimanere in Italia 164mila tonnellate, “di cui quasi 37mila avviate a incenerimento con recupero di energia, poco più di 34mila a ulteriore trattamento meccanico o meccanico biologico e circa 81mila alla messa in riserva”. Concentrandosi invece sulle spedizioni all’estero, nel 2024 sono partite dall’isola oltre 101mila tonnellate. “Il recupero di energia è l’operazione più ricorrente per i rifiuti conferiti all’estero. La Campania è la regione che destina a tale forma di recupero i maggiori quantitativi, seguono la Sicilia e la Calabria”, si legge nel rapporto.

E le carenze pesano sui costi di gestione

Se l’aspetto della limitazione degli impatti ambientali derivante da una virtuosa gestione è quello senz’altro più importante quando si parla di rifiuti, non di certo secondario è quello legato ai costi che i Comuni affrontano per la raccolta e lo smaltimento della spazzatura. In Sicilia, l’aumento delle esportazioni dei rifiuti hanno determinato una crescita delle spese che a cascata si sono trasformate in bollette Tari più alte per i residenti. Un fenomeno soltanto parzialmente ammortizzato dai contributi straordinari concessi dalla Regione agli enti locali per fronteggiare i cosiddetti extra-costi.

Nel rapporto Ispra, ai costi di gestione viene dedicato un intero capitolo. Nel 2024, la media annua pro-capite è stata di 214,40 euro ad abitante. “Le voci di costo aventi natura variabile che maggiormente incidono su tale costo sono: raccolta e trasporto delle frazioni differenziate (61,80 euro/abitante); trattamento e smaltimento (25,70 euro/abitante); trattamento e recupero (25,30 euro/abitante); raccolta e trasporto dei rifiuti urbani indifferenziati (22,20 euro/abitante)”, si legge nel documento presentato ieri. Per quanto riguarda, le voci aventi natura fissa, che incidono in maggior misura, vengono elencate: “costi comuni (29,40 euro/abitante), costo di spazzamento e lavaggio (27,20 euro/abitante) e, infine, costi d’uso del capitale (21,90 euro/abitante)”.

Confrontando il dato medio con quanto registrato nel 2023, si può che dire che in Italia si è assistito a un aumento di 17,40 euro ad abitante. “Nel 2024, il costo totale annuo pro capite del servizio risulta maggiore al Centro con 256,60 euro/abitante (+23 euro/abitante rispetto al 2023), seguito dal Sud con 229,20 euro/abitante (+17,70 euro/abitante) e dal Nord con 187,20 euro/abitante (+13,90 euro/abitante)”.

La media in Sicilia si è attestata sui 237,70 euro. Maggiori costi hanno affrontato gli abitanti di Toscana (297,70 euro), Liguria (288,30), Umbria (264,60), Valle d’Aosta (254,10), Lazio (245,30) e Campania (242,90).

A livello di costi di gestione per singolo chilogrammo di rifiuto, in Sicilia la cifra è stata di 51,9 centesimi. A fronte di una crescita generalizzata, che non si è registrata soltanto in Veneto, Calabria e Trentino Alto Adige, cifre maggiori nel 2024 ci sono state soltanto in Basilicata (54,4 centesimi per chilogrammo) e Liguria (52,4 centesimi).