Giustizia, tema divisivo: le perplessità dell’Unione Camere Penali Italiane e il fronte compatto della maggioranza
Dalle intercettazioni alla custodia cautelare, dalle informazioni di garanzia ai reati contro la Pubblica amministrazione, passando per i concorsi per dar forza agli uffici con nuovi giudici. Questo, in breve, il contenuto del Ddl Nordio il cui obiettivo, dichiarato dal ministro stesso, è quello di fornire più garanzie per chi è sottoposto a indagini.
Il QdS ne ha parlato con l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali italiane, l’organismo che rappresenta gli avvocati italiani che esercitano la professione nel campo del diritto penale italiano.
Una sua valutazione complessiva…
“Il tema della giustizia penale è sicuramente il più divisivo da molti decenni perché implica uno scontro tra poteri dello Stato, ossia tra la magistratura e la politica. È senza dubbio uno scontro anomalo perché solo in Italia la magistratura interloquisce in modo così decisivo sulla produzione normativa che il Parlamento fa o che intenderebbe fare. Intorno a questo scontro, si sono consolidate tradizioni politiche e qualunque riforma della giustizia determina scontri”.
In questo caso specifico?
“Nel caso di questo primo pacchetto di riforme dobbiamo tenere distinto il giudizio, giudizio che sul ‘segno’ di questo Ddl è molto positivo, perché rimette al centro dell’attenzione del legislatore, quindi del Governo, i valori della libertà personale, della tutela della riservatezza e della dignità delle persone. Nel suo insieme salutiamo in modo positivo questo pacchetto di riforme”.
Dalle sue parole mi è sembrato, però di capire, che c’è un ma…
“Quando andiamo ad analizzarlo nell’effettivo impatto sul sistema dobbiamo prendere atto che è molto modesto. Qualche esempio. Aver previsto il divieto d’impugnazione del pubblico ministero è sicuramente un segnale forte e chiaro di attenzione al principio di presunzione di non colpevolezza. Sta di fatto che è una norma limitata ai soli reati cosiddetti a citazione diretta, quelli meno gravi, rispetto ai quali l’impugnazione dei pm è una rarità. Si tratta di una norma simbolo che, però, riguarderà pochissime impugnazioni mentre, semmai, il problema è quello relativo ai reati di maggiore gravità per i quali il sistema attuale rimane invariato. Considerazione analoga anche per l’interrogatorio preventivo in caso di una richiesta di misura cautelare. Anche in questo caso, da parte nostra, c’è un grande apprezzamento al segnale positivo che si vuole dare al concetto di libertà personale, dando all’indagato la possibilità di chiarire e documentare la propria posizione prima che la misura sia adottata. Questo interrogatorio, però, è escluso per tutti di reati di maggiore allarme sociale e anche in quelli di minore allarme sociale solo in presenza di richieste di misura cautelare giustificate dal pericolo di reiterazione del reato. Se sono giustificate dal pericolo d’inquinamento delle prove o dal pericolo di fuga non si procede all’interrogatorio. Stiamo parlando d’ipotesi, statisticamente, molto modeste. Dobbiamo dare su questo Ddl, quindi, un doppio giudizio. Il primo è certamente molto positivo, quello sull’impronta culturale e sul segnale politico che si manda al Paese, ma molto più modesto sull’impatto concreto. D’altro canto lo stesso ministro Nordio ha indicato che si tratta di un primo passo”.
Qual è il vostro giudizio, invece, sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio?
“In questo caso debbo dire che riteniamo si tratti di una riforma seria. Il giudizio è positivo sia dal punto di vista del segnale sia dal punto di vista del contenuto tecnico. Si tratta di un reato che rappresenta lo strumento di controllo preventivo da parte della magistratura della legittimità dell’esercizio dell’attività politica e amministrativa. Riteniamo che questo sia un terreno di riforma molto importante”.
A questo proposito, è chiaro che non sparisce la normativa relativa alla corruzione e ai reati contro la pubblica amministrazione…
“C’è da chiarire un elemento. La condotta di abuso del pubblico ufficiale è severamente punita, e continuerà a esserlo, perché è alla base di tutti i reati contro la pubblica amministrazione. Il pubblico ufficiale che si fa corrompere abusa della propria funzione, chi fa concussione abusa, chi fa malversazione abusa, chi fa peculato abusa. Non stiamo parlando dell’eliminazione delle condotte di abuso ma dell’eliminazione della nozione residuale di abuso, un reato che, i dati lo dimostrano, non ha mai funzionato perché non se ne comprende l’esatto contenuto. Sappiamo cosa non è ma, in realtà, non sappiamo cosa sia. L’abuso “in purezza”, come viene definito, è una sanzione di atti illegittimi che non sono corruzione, peculato o malversazione. Se un pubblico ufficiale, per esempio un Sindaco, compie un atto illegittimo, come ad esempio quando fa vincere un concorso alla propria amante, si tratta di una condotta per la quale, se ha usato mezzi fraudolenti risponderà di truffa aggravata ai danni dello Stato ma se si tratta di puro arbitrio, si configura un atto illegittimo per il quale c’è il giudice amministrativo e sarà quindi sempre possibile ricorrere al TAR”.
Sul fronte delle intercettazioni, qual è il vostro giudizio?
“Il nostro giudizio, in questo caso, è enormemente deludente. È vero che si estende il divieto di divulgazione, e riteniamo che sia giusto così, a tutte le intercettazioni che siano ritenute rilevanti e non utilizzate dal giudice, sia nell’ordinanza di custodia cautelare sia nel dibattimento ma se non s’interviene a modificare la sanzione, che oggi è di qualche centinaia di euro, tutto ciò diventa un ‘finto divieto’. Si tratta di un principio giusto che però non è assistito da sanzioni adeguate”.
Intervista al capogruppo di Forza Italia in Commissione Giustizia a Montecitorio
“È il Parlamento che fa le leggi, la magistratura le deve applicare”
La riforma della giustizia, cosiddetta Nordio, licenziata dal Consiglio dei ministri il 15 giugno scorso, è uno dei temi caldi di questi giorni e vede una maggioranza che vuole blindare il testo e una opposizione che annuncia battaglia alla Camera dove il testo approderà in questi prossimi giorni.
Il Quotidiano di Sicilia ha intervistato Tommaso Calderone, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia alla Camera dei deputati.
Abuso d’ufficio, abolizione pessimo segnale per la cultura della legalità, di cui tra l’altro la Sicilia ha particolare bisogno. È così?
“È una delle stupidaggini più grosse che si possano dire. L’abuso d’ufficio è il reato meno grave tra i reati contro la Pa e soprattutto bisogna guardare le statistiche del 2021: su circa 5.500 processati, sono state condannate soltanto 18 persone. Quindi significa che serve soltanto a terrorizzare dirigenti, funzionari e pubblici amministratori e a ingessare la macchina amministrativa. Nel momento in cui dobbiamo correre, ovviamente osservando sempre la legalità, noi dobbiamo pensare di non preoccupare ancora di più i nostri amministratori, di cui la quasi totalità è rappresentata da persone per bene. Quindi non bisogna criminalizzarli e terrorizzarli con l’obbligo della firma. I veri reati contro la pubblica amministrazione, quelli seri, sono le corruzioni, la concussione, il peculato e l’induzione indebita. Sono questi i reati che mettono a rischio il mercato e operano una distorsione del mercato stesso. Quindi quando si dice che la abolizione dell’abuso di ufficio aiuta la criminalità organizzata o quella comune, si dice una inesattezza di assoluta gravità”.
Il presidente della Corte d’Assise di Catania ha rivolto un appello a Nordio: ascolti di più i magistrati. Secondo lei li ha ascoltati poco?
“Io sono di una idea piuttosto semplice ma nello stesso tempo ferma: le leggi le scrive il Parlamento italiano, la magistratura le applichi e il cittadino le osservi. Perché a comandare è la norma. La magistratura ha soltanto, per funzione costituzionale e istituzionale, quella di applicare le leggi. Il Parlamento sa cosa deve fare”.
Inappellabilità alla sentenza di assoluzione per il pm: ma la Consulta non aveva già dichiarato incostituzionale questa norma?
“Nel testo c’è una modifica che prevede che diverranno inappellabili soltanto le assoluzioni nei procedimenti a citazione diretta. Da sempre questa è stata una battaglia del nostro presidente Berlusconi e siamo convinti che non verrà considerata incostituzionale. Perché non ha senso nel momento in cui, dopo le indagini preliminari si viene rinviati a giudizio, si celebra un processo magari lungo e con tanti testimoni e si arriva ad una assoluzione, è chiaro che il ragionevole dubbio sull’assoluzione è stato superato”.
La riforma Nordio è migliorabile? Secondo lei le opposizioni daranno un contributo costruttivo nell’interesse di tutti?
“La riforma Nordio, lo ha detto lo stesso ministro, è soltanto l’inizio, bisogna riformare la giustizia che fino ad oggi non ha funzionato. Come capogruppo in commissione giustizia, insieme ai miei colleghi, stiamo preparando molti emendamenti, tutti in direzione di grande garanzia e di garantismo, ovviamente tutelando certamente la parte offesa, ma anche i cittadini imputati. Nulla in contrario sui contributi delle opposizioni, se non sono dettati da pregiudizi e se sono idee che possono portare ad aspetti di riforma importanti, però nel gioco tra maggioranza e opposizione chi ha vinto le elezioni si assume la responsabilità di governare e anche quella di scrivere le leggi. La riforma della giustizia sarà un atto da portare a compimento nel nome del nostro presidente Berlusconi”. (rp)
Sebastiano Mignemi, presidente della Corte d’Assiste di Catania
“L’abolizione di una fattispecie di reato che tutela da condotte illecite che danneggiano la PA – cioè noi tutti – non è mai un segnale positivo di cultura della legalità”. Non ha dubbi Sebastiano Mignemi, presidente della Corte di Assise di Catania, che il Quotidiano di Sicilia ha contattato per comprendere al meglio le possibili conseguenze del progetto di Nordio.
“Se poi si pensa che nell’attuale formulazione ed interpretazione giurisprudenziale l’ambito applicazione era stato ben delimitato, non credo che questa riforma avrà un’incidenza concreta sulla quantità dei processi. In realtà – aggiunge il magistrato – l’abuso d’ufficio è spesso un ‘delitto spia’ perché dalle acquisizioni investigative su questo reato si scoprono intrecci illeciti ben più gravi come la corruzione. Se poi il problema che si vuole affrontare è la ‘paura di firma’ da parte degli amministratori pubblici allora credo che sia più un problema di qualità del personale politico che di giurisdizione”.
Diverse polemiche sono sorte intorno al punto sulle intercettazioni, che causerebbe una sorta di bavaglio nei confronti del giornalismo investigativo. “Per le indicazioni che trapelano dai giornali non credo che la riforma incida in modo sostanziale sulla disciplina processuale delle intercettazioni – tranquillizza Mignemi. Su questo tema però solo dalla lettura del testo che verrà varato potremo capire se v’è una volontà legislativa di restrizione della rilevanza probatoria di uno dei mezzi di prova più incisivi del nostro ordinamento”.
“Sull’inappellabilità delle sentenze assolutorie di primo grado da parte del PM è già intervenuta la Corte Costituzionale bocciando questa riforma già varata qualche anno fa”, ricorda il giurista. “A mio parere sarebbe una riforma che eluderebbe il principio di parità delle parti nel processo a scapito della parte pubblica – cioè rappresentativa dello Stato – perché rimarrebbe inspiegabile perché l’imputato può appellare ed il PM no”.
Cosa chiede, in questo contesto di riforma, l’Associazione nazionale magistrati? Mignemi ha le idee chiare. Secondo la toga catanese, bisognerebbe “sedersi ad un tavolo insieme senza pregiudizi ed ascoltare dagli operatori del diritto, avvocatura compresa, quali sono le vere priorità nei problemi della giurisdizione penale in particolar modo”. (ab)