Saguto, chiesta condanna a quindici anni e dieci mesi - QdS

Saguto, chiesta condanna a quindici anni e dieci mesi

redazione web

Saguto, chiesta condanna a quindici anni e dieci mesi

mercoledì 19 Febbraio 2020

L'ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo è accusata di aver guidato un sistema illegale nella gestione dei beni sequestrati alla mafia. Richieste da dodici anni e tre mesi a sei mesi per altri dodici imputati

Chiesta una condanna a quindici anni e dieci mesi di reclusione per Silvana Saguto, l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, imputata a Caltanissetta con l’accusa di essere stata a capo di un sistema illegale nella gestione dei beni sequestrati alla mafia.

Chiesta anche l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici.

Silvana Saguto, secondo la ricostruzione dei magistrati, avrebbe gestito in maniera personalistica la sezione simbolo della lotta alla mafia, favorendo familiari, amici e conoscenti, creando una rete che gestiva i beni sottratti a Cosa nostra. Del sistema facevano parte, secondo l’accusa, prefetti, magistrati, docenti universitari, alti ufficiali della Dia e amministratori giudiziari.

La richiesta è stata avanzata al termine della requisitoria dai pm Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti, mentre in aula si trovava anche il procuratore nisseno Amedeo Bertone.

Il pm Bonaccorso ha inoltre chiesto la condanna a dodici anni e tre mesi per uno dei principali imputati, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, amministratore giudiziario; undici anni e dieci mesi per il professor Carmelo Provenzano; dieci anni e undici mesi per l’amministratore giudiziario Roberto Nicola Santangelo; nove anni e dieci mesi per l’ingegner Lorenzo Caramma, marito di Silvana Saguto, otto anni e un mese per il colonnello della Dia Rosolino Nasca e sei anni per l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo.

Tra le richieste, ancora cinque anni per Maria Ingrao, moglie del professor Provenzano; quattro anni e sei mesi per Calogera Manta, cognata di Provenzano; quattro anni e quattro mesi per il docente universitario Roberto Di Maria; due anni e sei mesi per l’ex giudice della sezione misure di prevenzione Lorenzo Chiaramonte; due anni per l’amministratore giudiziario Walter Virga; sei mesi per Emanuele Caramma, figlio della Saguto.

Chiesta l’assoluzione per Vittorio Pietro Saguto, padre dell’ex magistrata e per l’amministratore giudiziario Gabriele Aulo Gigante.

Chiesta la trasmissione dgeli atti per falsa testimonianza

Prima della conclusione della requisitoria nel processo sul “sistema Saguto” il Pm Maurizio Bonaccorso ha chiesto la trasmissione degli atti per il reato di falsa testimonianza nei confronti di 14 testi che hanno deposto tra i quali l’ex prefetto Stefano Scamacca, i magistrati Giuseppe Barone e Daniela Galazzi, l’amministratore giudiziario Giuseppe Rizzo, gli avvocati Vera Sciarrino, Alessio Cordova e Dario Majuri.

Gli altri testi per i quali il Pm ha chiesto la trasmissione degli atti sono i commercialisti Roberto Nicitra e Gianfranco Scimone, gli impiegati della Motor Oil Dario e Giuseppe Trapani, e tre collaboratori del professore universitario Giuseppe Provenzano: Laura Greca, Marta Alessandra e Alessandro Bonanno.

I pm, “dalle intercettazioni un quadro desolante”

“Dalle intercettazioni emerge un quadro desolante: ci sono pubblici ufficiali che hanno tradito la loro funzione per interessi privati. Non so come finirà, magari Nicola Santangelo e Carmelo Provenzano verranno assolti, ma per questa vicenda dovranno vergognarsi a vita: i due, con una lettera, decisero di trasferire a Castellammare del Golfo un ragazzo che lavorava alla Motor oil di Caltanissetta, Andrea Repoli, mandando a 250 chilometri di distanza un giovane che percepiva 800 euro al mese. Lo scopo era quello di metterlo con le spalle al muro e poi licenziarlo per giusta causa. Allo stesso tempo fu revocato il contratto d’appalto al fratello di Repoli, Francesco”.

L’ha detto il pm Maurizio Bonaccorso nel corso della requisitoria del processo sul “Sistema Saguto”, soffermandosi su assunzioni, trasferimenti e licenziamenti che, secondo l’accusa, i due amministratori giudiziari fecero per soddisfare interessi personali.

“Il movente – ha continuato il pm – era l’assunzione dei fratelli Dario e Giuseppe Trapani, che non hanno una competenza specifica, a parte versare la benzina. Questa è una costante: il personale veniva scelto non sulla base delle loro competenze ma in ragione dei rapporti di vicinanza o amicizia”.

Legale di Aulo Gigante, bene richiesta assoluzione

“Siamo soddisfatti della richiesta nei confronti del nostro assistito e ci auguriamo che il tribunale condivida l’impostazione della procura nei confronti dell’avvocato Aulo Gigante”.

Lo ha detto l’avvocato Enrico Tignini, che assiste l’amministratore giudiziario Aulo Gigante.

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