Il Responsabile del malato, questo sconosciuto, Sanità carente senza continuità assistenziale - QdS

Il Responsabile del malato, questo sconosciuto, Sanità carente senza continuità assistenziale

redazione

Il Responsabile del malato, questo sconosciuto, Sanità carente senza continuità assistenziale

giovedì 04 Novembre 2021

Il medico di famiglia "entra" in ospedale: ecco come il Pnrr rivoluzionerà le cure. De Natale, segretario generale Cisl Medici Catania: "Medicina di prossimità per una migliore cura delle cronicità

Le ferite sono profonde e sanguinano ancora. Perché è una guerra quella che vede ancora impegnata la Sanità tutta, da Nord a Sud, contro il Covid-19.
Una guerra combattuta spesso a mani nude, grazie al sacrificio di medici, infermieri e operatori sanitari.

Ma che ha mietuto vittime anche tra cardiopatici, malati oncologici, diabetici: ovvero tra quei pazienti non-Covid messi, loro malgrado, in secondo piano e che hanno visto rinviate visite di controllo, screening, interventi, con conseguenze gravi di cui ancora non abbiamo piena contezza. Per non parlare del disastro sul fronte della prevenzione: nel 2020 in Sicilia 55mila mammografie in meno e 67mila screening cervicali in meno (fonte: Salutequità).

Oggi abbiamo i vaccini ma il rischio concreto di una nuova recrudescenza di contagi al momento non c’è e anche se è inutile nascondere che l’andamento dei numeri viene comunque seguito con la massima attenzione, la gestione emergenziale della pandemia sembra stia lasciando il posto ad un graduale ritorno alla normalità.
Usciamo più deboli dall’emergenza o piuttosto più preparati e con le spalle più larghe?

Probabilmente la Sanità italiana è oggi entrambe le cose: l’emergenza pandemica ha rappresentato per molti aspetti la rivoluzione copernicana della Sanità, costretta a rivedere priorità e paradigmi organizzativi. L’esperienza maturata sul campo “grazie” alla crisi Covid è un “bagaglio” di conoscenza e consapevolezza che la Sanità per forza di cose ha fatto sua e che adesso può utilizzare per migliorare la qualità dei servizi ai cittadini.

A cominciare dal numero adeguato di risorse umane poiché senza questo presupposto è inutile anche solo avviare qualunque tipo di riflessione sulla qualità: ecco perché il Governo Draghi ha deciso di accogliere la richiesta della Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (Fiaso) di stabilizzazione dei 53mila operatori sanitari precari (di questi circa 23.233 sono infermieri) assunti durante il Covid.

La crescita della qualità dei servizi e delle prestazioni offerte dal SSN passa anche attraverso i conti che ogni Regione italiana ha dovuto fare con le proprie criticità e carenze strutturali che poi hanno influenzato “la risposta” di ciascuna Regione alla crisi pandemica. E qui “casca” la Sicilia che sotto il profilo sanitario vanta eccellenze ma anche lacune “endemiche” che non è riuscita a colmare nonostante le ingenti risorse economiche messe in campo: a cominciare dalla mobilità passiva (cioè la cosiddetta “fuga” dei tanti, troppi cittadini siciliani che scelgono di curarsi nelle strutture del Nord).

“Negli ultimi anni – ha spiegato al QdS Dario Immordino – componente del gruppo di lavoro sulla riforma della contabilità regionale istituito presso la Regione siciliana – è stato fatto molto per eliminare le inefficienze del Servizio sanitario regionale: nel 2020 è venuto meno l’obbligo di aumentare al livello massimo l’Irpef regionale per coprire il deficit sanitario, mentre di recente è stato certificato il raggiungimento da parte della Sicilia degli obiettivi di erogazione dei Livelli essenziali di assistenza, e la Regione ha conseguito un bonus di circa 400 milioni per avere raggiunto gli obiettivi di contenimento dei costi e di contestuale miglioramento nell’erogazione dei servizi sanitari imposti dal Piano di rientro.

Ma sono ancora tante le patologie del nostro sistema sanitario: uno studio condotto da Nomisma e da Rekeep Spa ha evidenziato che il 45% delle strutture socio sanitarie siciliane risalgono al 1946-1980 unitamente ad un altro 24% costruito prima del ’45. “Le risultanze – si legge nel documento – evidenziano una considerevole vetustà degli immobili pubblici socio sanitari, con evidenti necessità di riqualificazione”. Il rapporto si conclude con l’invito rivolto alla Sicilia, ma non solo, “a potenziare la rete territoriale per non sovraccaricare i centri più grandi”.

Ecco perché, prosegue Immordino, “bisogna promuovere nuove strategie di reperimento delle risorse finanziarie, rivedere il sistema di partecipazione dei cittadini al costo delle prestazioni e gli oneri straordinari per l’accesso alle cure, ridurre le liste d’attesa, riformare il regime di accreditamento, rendere confrontabili le performance delle strutture pubbliche e private, orientare i servizi verso assetti più moderni, rivedere i meccanismi di determinazione del fabbisogno di personale, spostare le cure su strutture meno costose e più vicine ai cittadini, ammodernare e riqualificare il patrimonio edilizio e tecnologico della sanità pubblica, sviluppare il sistema informativo e statistico sanitario e i processi di innovazione tecnologica, ammodernare la governance farmaceutica, strutturare strumenti valutativi sempre più efficaci nel rilevare la qualità delle prestazioni e le performance delle strutture e del personale”.

È il Coronavirus, dunque, a metterci di fronte alla dura realtà e ad imporci l’ultimatum: superare il divario con le Regioni più efficienti è una necessità non più procrastinabile.

L’intervista del Qds a Massimo De Natale, segretario generale Cisl Medici Catania

“Pnrr, la medicina di prossimità per una migliore cura delle cronicità”

Massimo-De-Natale-Cisl-MediciMassimo De Natale è il segretario generale della Cisl Medici Catania (Sindacato della dirigenza medica e sanitaria). Il Quotidiano di Sicilia lo ha intervistato

Dott. De Natale, esiste nella sanità italiana o magari in quella di altri Paesi la figura del “responsabile del malato”, una figura che accompagna il malato dal momento in cui viene preso in carico da una struttura fino alla guarigione? Mi riferisco ad una figura di supporto medico ma anche psicologico che, un po’ come il medico di base, conosca il quadro clinico complessivo del paziente.
“Non esiste la figura del responsabile del malato, la centralità adesso è del medico di famiglia. Esistono i care manager per i soggetti fragili. Secondo le nuove indicazioni dati dal Pnrr il medico di famiglia dovrebbe entrare negli ospedali per creare una continuità assistenziale con il territorio”.

Una figura del genere, di riferimento per il paziente ma anche per la sua famiglia, quanto migliorerebbe le possibilità di guarigione del malato e la qualità dei servizi sanitari offerti al cittadino?
“Grazie al Pnrr dovrebbe poter nascere una rete territoriale per le cronicità, perché i pazienti cronici non seguiti rischiano un riacutizzarsi della malattia, perfino un possibile ritorno in ospedale. Penso ai diabetici affetti da una patologia che è multiorgano. Dovrebbero essere curati attraverso ad una rete effettivamente presente sul territorio. Non parliamo solo di guarigione, ma di mantenimento di un buono stato di salute dei malati cronici. Il nuovo Pnrr rivaluterà la medicina di prossimità”.

Qual è la strategia di coordinamento tra i soggetti (Asp, Presidi ospedalieri e Ao) che producono i servizi sanitari rivolti ai cittadini? Se una struttura non è adeguatamente attrezzata e non dispone ad esempio di un macchinario per eseguire un esame, esiste una interlocuzione efficace con le altre strutture finalizzata a sopperire a quella determinata lacuna, nell’interesse del malato? Come funziona il “dialogo” tra questi attori a livello territoriale?
“Non credo esista la possibilità di scambiare strumentazioni o pazienti. La sanità è unica, ma ogni azienda ospedaliera segue la propria organizzazione manageriale, è separata dalle altre ed è autonoma. La strategia di coordinamento si attiva per i pazienti fragili al momento delle dimissioni, si coinvolgono gli assistenti sociali e le Asp in modo da attivare l’assistenza domiciliare integrata (Adi). La dimissione di un paziente fragile è l’unico motivo possibile per cui si innesca un dialogo tra i vari enti coinvolti nella procedura, ma anche nelle Asp la gestione cambia e dunque qualcosa può funzionare in modo diverso”.

“All’estero pazienti seguiti passo passo da più figure”

Francesca Rubulotta è un medico specializzato in anestesia e rianimazione.
Un’eccellenza siciliana che vanta un curriculum di tutto rispetto e che ha maturato all’estero un’esperienza professionale di alto livello.
Rubulotta è Professore associato presso il Dipartimento di Anestesia della Facoltà di Medicina della McGill University di Montréal, in Canada. Ricopre inoltre il ruolo di capo del “Critical Care Program” (Programma di Terapia intensiva), presso il McGill University Health Centre.
Prima di trasferirsi in Canada è stata docente e consulente di Anestesiologia e Terapia intensiva presso l’Imperial College Healthcare, un trust NHS con sede a Londra.
Il Quotidiano di Sicilia l’ha intervistata.

Dott.ssa Rubulotta, esiste all’estero la figura del responsabile del malato che segue il paziente, dal ricovero alle dimissioni, non solo sotto il profilo medico ma anche psicologico?
“No, se vieni ricoverato in Rianimazione hai un medico responsabile come riferimento ma non è l’unico a seguirti passo passo. Ci sono anche psicologi a supporto dei malati e del personale medico-infermieristico come anche dei volontari che offrono supporto e assistenza alla famiglia del malato ma non un solo responsabile”.

Una figura unica che racchiuda tutte queste funzioni quanto migliorerebbe le possibilità di guarigione del malato e la qualità dei servizi sanitari offerti al cittadino?
“Ogni reparto e condizione ha delle peculiarità, forse psicologicamente al paziente piacerebbe il concetto ma in realtà credo che questa figura di cui parliamo sarebbe da ricollegare alla vecchia figura del medico di base. In ospedale ci sono specialisti che curano il problema specifico, il medico di famiglia dovrebbe avere visione di insieme non solo nell’acuto. I pazienti dovrebbero essere seguiti a casa e venire in ospedale solo in casi specifici di gravi acuti che non possono essere curati a casa. Un po’ come nella medicina orientale, il medico di famiglia dovrebbe curare il benessere e prevenire le malattie”.

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