Gastronomia, la "guerra" Catania Palermo si sposta sul cannolo - QdS

Gastronomia, la “guerra” Catania Palermo si sposta sul cannolo

Giuseppe Lazzaro Danzuso

Gastronomia, la “guerra” Catania Palermo si sposta sul cannolo

giovedì 02 Gennaio 2020

Commentando la notizia che il Cnr palermitano ha inventato una glicerina che non fa ammosciare la scorza, il dolciere etneo Renna dichiara: "Gli scienziati lascino ai pasticceri la pasticceria: basta spalmare l'interno con un sottile velo di cioccolato". GUARDA I FILMATI

Il derby alimentare tra Catania e Palermo si sposta, in questo primo giorno del 2020, dall’arancino al cannolo.

Sì, proprio il cannolo, quello farcito con ricotta e zucchero, l’unico vero e riconosciuto persino dal Ministero, che lo ha inserito nella lista dei Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat).

Il ripieno è il medesimo delle qasad, le cassate, al tempo degli arabi piuttosto semplici. Secondo la spiegazione più accreditata il nome deriverebbe da quello della ciotola nella lingua saracena: un dolce che oggi definiremmo al cucchiaio, insomma, fatto di ricotta di pecora e di zucchero di cannamela, nota fin dal tempo dei romani – Sant’Isidoro di Siviglia, vescovo spagnolo morto nel 636, scrisse che “negli stagni dell’India nascono… canne e calami dalle cui radici si spreme un succo dolcissimo che viene bevuto” – e importata in Sicilia proprio dagli arabi. I quali costruirono anche numerosi trappeti, detti masara, per l’estrazione dello zucchero.

Nella ricotta canditi, mandorle, pistacchi e cioccolato

Fin qui, dicevamo, il ripieno, arricchito nei secoli, oltre che da canditi, mandorle e pistacchi, da pezzetti di quel cioccolato proveniente dalle Americhe e importato in Sicilia nel XVI secolo, durante la dominazione spagnola.

Per quanto riguarda invece la nascita della scorza, non abbiamo che leggende: la più gustosa narra che essa venne inventata dalle conclubine del califfo della città oggi chiamata Caltanissetta, ospiti dell’harem del Castello delle donne (Kalt El Nissa) con un’evidente allusione alle “virtù” del sultano.

La pasta fritta nello strutto su una canna di fiume

Cannolo si chiamerebbe, comunque, perché, fin quando la legislazione comunitaria non stabilì che non andavano più usate, il cannolo veniva preparato stendendo proprio su una canna di fiume la pasta tirata da un composto di farina zero, vino rosso e strutto. La cialda veniva poi fritta nello strutto stesso e si formavano delle grosse bolle che conferivano una grande leggerezza alla scorza.

I cannoli nella politica e nella letteratura

I cannoli sono entrati anche nella politica e nella letteratura: nel gennaio del 2008 una foto dell’allora governatore Totò Cuffaro con in mano una guantiera di questi dolci scatenò feroci polemiche per la concomitanza con una sua condanna.

La famosa immagine di Cuffaro con i cannoli

Nell’immaginario collettivo degli italiani – e non solo – i cannoli sono anche legati a un personaggio della saga del commissario Montalbano: il medico legale Pasquano, disposto a farsi “rompere i cabbasisi” soltanto se corrotto con questi dolci paradisiaci. E nella serie televisiva dedicata alla creatura di Andrea Camilleri, alla notizia della morte di Pasquano – per la scomparsa dell’insostituibile attore Marcello Perracchio, che lo ha impersonato per anni – i poliziotti “brindano” con dei cannoli.

L’indimenticabile Marcello Perracchio nei panni del dottor Pasquano

Ficarra e Picone e i “cilindroni” di Cicerone

In queste feste di fine anno, peraltro, di questi dolci si è parlato per due diverse “invenzioni” palermitane.

La prima si deve alla premiata ditta Ficarra & Picone che, ne “Il primo Natale” anticipa di nove secoli, collocandola nell’anno zero, la scoperta dei “cilindroni” di ricotta, recati in dono da un commerciante siracusano a Erode e distribuiti durante un’improbabile tombola.

La scena della tombola nel “Primo Natale”

Ci sarebbe da ricordare che Cicerone, quand’era questore della Sicilia, esaltò il gusto del “tubus farinarius, dulcissimo, edulio ex lacte factus”, ma il cannolo che si conosce oggi è quello della scorsa fritta. E nelle sale cinematografiche si commentava che, nel viaggio dalla Sicilia alla Palestina, i “cilindroni” avrebbero però perduto la propria fragranza.

Sì, perché il problema dei cannoli di ricotta risiede nell’incontro tra la porosa scorza e il ripieno, cremoso ma anche acquoso.

La glicerina per non fare ammosciare la scorza

Così, a poche ore dalla sua preparazione, il dolce ispirato alle “virtù” di quel sultano arabo nisseno… si ammoscia.

E arriviamo dunque, alle soglie del secondo ventennio del nuovo millennio, alla “prodigiosa” – com’è stata definita da molti giornali – soluzione al problema trovata da un team del Cnr di Palermo, guidato da Mario Pagliaro.

Il team del Cnr di Palermo

Questa sorta di viagra per i cannoli altro non sarebbe che glicerina – un prodotto naturale, viene ricordato dagli scienziati -, con cui ricoprire la parte interna della scorza rendendola impermeabile all’acqua contenuta nel ripieno di ricotta. Cosicché questo “cannolo nuovo” – ribattezzato, chissà perché, Ruggero – viene assicurato che riesca a rimanere croccante e piacevole al gusto anche a distanza di dodici ore dalla farcitura.

“Ancora una volta – ha trionfalmente dichiarato Pagliaro – a rendere possibile un’importante innovazione per il sistema socieconomico della Sicilia è un bioprodotto oggi ottenuto pressoché integralmente dalle risorse biologiche”.

Il dolciere, “A Catania usiamo un velo di cioccolato”

Di idea diversa è però Marco Renna, 31 anni, titolare dell’omonima pasticceria catanese celebrata proprio per la fragranza delle scorze dei cannoli, e fritte nello strutto dopo aver preparato l’impasto seguendo la ricetta originaria e aver tirato la pasta rigorosamente a mano, “facendosi venire i calli con il mattarello”.

“Gli scienziati – afferma Renna – lascino la pasticceria ai pasticcieri. I cannoli vanno mangiati freschi, ma qualora dovessero viaggiare, da tempi immemorabili a Catania risolviamo il problema della porosità spennellando con un sottile velo di cioccolato l’interno del cannolo: è più gustoso e non dà i problemi che la glicerina, anche in minime quantità, potrebbe indurre”.

Renna, “Nell’agroalimentare, meno invenzioni e più tradizione”

“Il nostro settore agroalimentare – aggiunge – non ha certo bisogno di invenzioni scientifiche, ma piuttosto di preservare le tradizioni. Mi dispiace davvero dirlo, ma a Palermo quasi tutti ormai usano cialde industriali e ricotta vaccina: si lavori dunque piuttosto sulla qualità”.

“Mio padre, Gaetano, che è stato il mio maestro – racconta Marco Renna – ha cominciato a lavorare a dieci anni, come si usava allora, andando a bottega da Savia. E aveva un gusto talmente raffinato che il titolare affidava a lui, bambino, il compito di scegliere la ricotta portata dai pastori: non sbagliava mai. Ancora adesso è lui, ormai in pensione, a scegliere per noi le materie prime”.

Nessuna polemica sulla “guerra” arancino-arancina

Renna non vuole discutere della polemica arancino-arancina: “Sono due pietanze diverse – afferma -, quella palermitana, che esiste solo a Palermo, per il fatto stesso di esser preparata con un ragù alla bolognese denota una nascita più tarda, probabilmente riconducibile a una rivisitazione del piatto popolare nel periodo ottocentesco della cosiddetta ‘cucina dei Monsù’. L’arancino del resto della Sicilia è invece legato alla tradizione di quegli aragonesi che scelsero Catania come capitale dell’Isola”.

Un invito all’alleanza a pasticceri, politici e scienziati

“Ai tanti bravi pasticceri palermitani però – conclude Marco Renna – vorrei proporre un patto: la normativa europea ci impone l’uso di canne d’acciaio per friggere le scorze dei cannoli. Perché non proponiamo ai nostri politici, a cominciare dal presidente della Regione, Nello Musumeci, da sempre impegnato nella difesa delle nostre tradizioni, di ottenere una deroga a questa imposizione e tornare alle canne di fiume?”.

Tornare alle canne di fiume per friggere le scorze

Secondo il dolciere, le canne d’acciaio utilizzate oggi, variano le qualità organolettiche della cialda e sarebbe auspicabile tornare a quelle di fiume.

Le tradizionali canne di fiume, oggi non più utilizzate

Peraltro, secondo un’indagine commissionata da Coldiretti qualche anno fa, più di un italiano su tre ritiene che le norme varate dall’Ue abbiano peggiorato l’alimentazione, in particolare riguardo a certe specialità.

“In quasi mille anni – sottolinea Renna -, nessuno mai ha segnalato problemi di salute legati a questo tipo di preparazione. E poi si potrebbe studiare, magari con gli scienziati del Cnr di Palermo, la maniera di rendere le canne di fiume compatibili con la normativa”.

Una proposta che potrebbe mettere d’accordo tutti nel segno di una tradizione, quella della dolceria siciliana, che non deve andare perduta.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta

Ediservice s.r.l. 95126 Catania - Via Principe Nicola, 22

P.IVA: 01153210875 - Cciaa Catania n. 01153210875


SERVIZIO ABBONAMENTI:
servizioabbonamenti@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/372217

DIREZIONE VENDITE - Pubblicità locale, regionale e nazionale:
direzionevendite@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/388268-095/383691 - Fax 095/7221147

AMMINISTRAZIONE, CLIENTI E FORNITORI
amministrazione@quotidianodisicilia.it
PEC: ediservicesrl@legalmail.it
Tel. 095/7222550- Fax 095/7374001
Change privacy settings
Quotidiano di Sicilia usufruisce dei contributi di cui al D.lgs n. 70/2017