Milano, 29 set. (askanews) – In Sardegna prende forma un nuovo itinerario tematico: i ‘Sentieri del Carignano’, un percorso che si innesta nel tracciato dello splendido Cammino Minerario di Santa Barbara e che attraversa la parte Sud-Occidentale dell’isola, il Sulcis Iglesiente. Un percorso che unisce storia mineraria, paesaggi naturali e viticoltura, proponendo un modello di turismo lento che valorizza la cultura locale e le comunità del territorio, arricchendo ancora di più un Cammino ad anello lungo oltre 500 chilometri, che ripercorre le antiche vie utilizzate dai minatori, per collegare borghi, miniere e siti archeologici. I Sentieri del Carignano ne rappresentano una sorta di declinazione enogastronomica e culturale che va ben oltre l’enoturismo, capace di intrecciare la memoria del lavoro con la sorprendente viticoltura a piede franco su sabbia da cui nasce il Carignano del Sulcis Doc.
Questa Denominazione, introdotta nel 1977, riguarda i vini rossi e rosati ottenuti dal Carignano, un vitigno a bacca rossa oramai autoctono, qui si coltiva dal 1.300 quando fu introdotto dalla Spagna dagli aragonesi. L’area di produzione si estende nelle province di Carbonia, Iglesias e Cagliari e comprende l’isola di Sant’Antioco, zone dove ha trovato un ambiente ideale per svilupparsi grazie ai terreni sabbiosi che lo hanno salvato dalla fillossera, permettendoci oggi di avere in produzione piante a piede franco di oltre cent’anni coltivate per lo più ad alberello: vigneti sorprendenti che sono un’emozione per gli occhi. Dal rosso profondo, dalla struttura importante e dal carattere arcigno, di buona tannicità e acidità, il Carignano si ‘alimenta’ di caldo e di venti salmastri. Di germogliazione e maturazione tardiva, i suoi grappoli compatti di medie dimensioni e dalla buccia blu-nera ricca di pruina, danno vita a vini autentici e di carattere, simbolo della resilienza agricola e sociale del Sulcis Iglesiente. Un vino che sembra però pagare ancora lo scotto culturale di provenire da un vitigno a lungo diffuso come uva da taglio per la sua straordinaria produttività, e che in generale (ma ci sono anche ottimi prodotti come quelli della storica Cantina sociale Santadi o il sorprendente ‘Bellesa’ dell’Azienda agricola Piede Franco) porta ancora con sé un equilibrio non sempre compiuto che ne condiziona eleganza e portamento. Un vino difficile a farsi, che è il paradigma di questo territorio tutt’altro che semplice ma sempre vero, dalla lunga storia di fatica e alla ricerca di un riscatto finalmente sostenibile ed equo.
Non bisogna infatti dimenticarsi che il Sulcis Iglesiente ha una lunga storia segnata da stratificazioni culturali e da un forte legame con le sue risorse naturali non sempre virtuosa. Solo per rimanere in epoca contemporanea, a partire dall’Ottocento e soprattutto nel Novecento questo territorio divenne uno dei principali distretti minerari d’Italia: Iglesias, Monteponi, Buggerru, Gonnesa e Carbonia furono centri vitali di estrazione di carbone, piombo e zinco. Le miniere segnarono profondamente la vita sociale, con condizioni di lavoro durissime, lotte sindacali e, in alcuni casi, episodi drammatici come i moti di Buggerru del 1904, ricordati come la prima strage operaia d’Italia. Nel secondo dopoguerra venne fondata Carbonia come città mineraria, destinata a ospitare migliaia di famiglie legate al bacino carbonifero. Ma la crisi del settore, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, portò a un progressivo declino economico e demografico, sostituito solo in parte dalle nuove attività metallurgiche e petrolchimiche. Negli ultimi decenni il Sulcis Iglesiente ha però dovuto affrontare anche le conseguenze ambientali di tutto questo: le aree di Portovesme, Sarroch e Macchiareddu, assieme a numerosi siti minerari dismessi, rientrano infatti nel Sito di interesse nazionale per le bonifiche a causa della diffusa contaminazione di suoli e acque sotterranee. Metalli pesanti, idrocarburi e altri residui delle lavorazioni si sono accumulati nel tempo, lasciando un’eredità complessa che ancora oggi condiziona il territorio, dove, tra l’altro, la disoccupazione giovanile resta tra le più elevate della Sardegna e il reddito medio è tra i più bassi dell’Isola.
Pe risollevarsi in maniera lungimirante da questa difficile eredità, il Carignano del Sulcis oggi non è più solo un vino ma il simbolo di un cammino che intreccia natura e memoria, saperi artigianali e cicli della terra. Un punto di incontro tra la storia mineraria, le pratiche agricole e la vita quotidiana delle comunità locali oggi chiamate a custodire e a trasmettere un patrimonio materiale e immateriale che unisce mare, miniere e vigneti. Perché camminare lungo i Sentieri del Carignano significa attraversare luoghi che custodiscono memoria storica e identità produttiva, come ad esempio il percorso che collega il sito fenicio-punico di Pani Loriga a Santadi, la tonnara seicentesca di Portoscuso (ancora attiva con quella di Carloforte e da cui arriva il tonno rosso che si vende persino agli esigentissimi giapponesi), e la Grande Miniera di Serbariu, oggi riconvertita in centro culturale con l’affascinante Museo del Carbone. I sentieri sono facilmente accessibili a tutti e ben segnalati, con ospitalità diffusa nelle ‘posadas’, le strutture di accoglienza gestite direttamente dalla Fondazione Cammino Minerario di Santa Barbara, che offrono pernottamento e prima colazione a un costo contenuto per i pellegrini. Pellegrini non solo nel senso di devoti guidati dalla spiritualità ma di camminatori, di appassionati della natura, di cercatori di storie. Viaggiatori qui guidati da una modernissima app (attiva anche offline) che li guida lungo l’itinerario, facilitando l’esplorazione e l’incontro con i produttori locali, le Cantine e le comunità, con un alert che avvisa se ci si allontana dal percorso stabilito.
Come detto i ‘Sentieri del Carignano’ sono una parte di quell’itinerario ‘slow’ che è il Cammino minerario di Santa Barbara. A presiederne la Fondazione, è il sindaco di Iglesias, Mauro Usai. ‘Questa straordinaria infrastruttura culturale ha realizzato un miracolo, quello di cogliere le diversità, le complessità, i punti di forza del territorio ma anche le difficoltà che derivano da processi di industrializzazione molto forte. Partendo dal basso, è riuscita a metterle a valore e ad unire in un’azione collettiva di promozione e di valorizzazione culturale e turistica che riconosce le potenzialità e le peculiarità dei singoli territori’. La chiave di lettura del Cammino sta proprio nell’unione di Comuni (21 quelli fondatori, oggi sono ben 28), associazioni come la Pozzo Sella, Diocesi e di tutti gli attori pubblici e privati verso un progetto di custodia che è un’azione di riscatto vera e propria, con il desiderio di valorizzare il territorio in maniera sostenibile’ racconta Usai ad askanews, precisando che ‘la valorizzazione sostenibile del territorio esiste nel momento in cui tutti i soggetti che ne fanno parte si sentono protagonisti’.
‘Il Cammino racchiude nella sua interezza l’identità del Sulcis Iglesiente, un’unicum che parte dalla dalla profonda storia che questo territorio racconta: vigneti secolari, testimonianze di un’epopea mineraria che si perde nel tempo, di boschi preistorici tutelati dalla Sovrintendenza’ prosegue Usai, ricordando che ‘il Cammino ha messo a valore i nostri presidi culturali come Porto Flavia, testimonianza di come una ferita dell’epopea mineraria può diventare un elemento di sviluppo e protagonista di un’offerta turistica importante’.
Turismo lento con l’idea di destagionalizzare l’arrivo di persone di tutte le età e da tutto il mondo, attraverso un cammino dolce e bellissimo inserito in un contesto paesaggistico unico, antico, sicuro e anche accessibile dal punto di vista economico. ‘Così le risorse ricadono non solo nel territorio ma anche in termini culturali nel messaggio che si può fare turismo rispettando i luoghi e il contesto che si visita, arrivando a conoscerne l’identità’ aggiunge Usai, spiegando che ‘dipendenti, collaboratori e volontari della rete di associazioni (come quelle dei minatori in pensione) che contribuiscono a gestire i momenti esperienziali come, ad esempio, la visita alla miniera di Monteponi o monumenti naturali come la grotta di Santa Barbara che ha 600 milioni di anni, accolgono e si fanno carico dei pellegrini, facendo percepire l’entusiasmo e il desiderio anche di riscatto di un popolo che dato tantissimo negli anni e che finalmente sta vedendo la luce in fondo al tunnel grazie proprio alla valorizzazione della propria identità e alla condivisione della sua cultura’.
‘Questo è un territorio veramente antico e come ogni territorio antico la sua ricchezza l’ha fatta con le stratificazioni culturali e con le persone che sono arrivate nei secoli per lavorare e hanno contribuito a crearne l’identità’ evidenzia ad askanews il presidente e sindaco, concludendo che ‘anche questo è un messaggio molto chiaro rispetto a quello che si vuole fare: questo è un posto che nella sua lunghissima storia ha accolto milioni di persone da ogni parte del mondo, perché non possiamo replicare lo stesso modello oggi in chiave turistica?’. (Alessandro Pestalozza)

