L’uomo è non solo responsabile, principalmente, dell’inquinamento atmosferico le cui cause principali sono da attribuire agli impianti di riscaldamento, ai motori dei veicoli di trasporto, agli impianti termici industriali che rilasciano nell’aria diossido di carbonio, piombo, diossido di zolfo e piombo. L’impatto delle azioni negative dell’uomo sul pianeta sono riconducibili anche all’enorme quantità di rifiuti che produciamo e che, inevitabilmente, finiscono in natura.
Per quanto riguarda i rifiuti, sono principalmente due sono i fattori che contribuiscono all’aumento dell’inquinamento: da un lato la nostra non educazione al corretto riciclo e dall’altro l’inadeguatezza dei sistemi di smaltimento. Nel mondo ci sono oltre 7 miliardi di abitanti e circa 3 miliardi di questi risiedono in aeree urbane producendo, indicativamente, 1,3 miliardi di tonnellate di rifiuti solidi ogni anno. Si stima che nel 2025 la produzione di rifiuti salirà a 2,2 miliardi di tonnellate annue.
In Italia, sulla base dei dati del “Rapporto rifiuti urbani 2023” presentato ieri 21 dicembre a Roma da Ispra e Utilitalia, nel 2022 la produzione nazionale dei rifiuti urbani si è attestata a circa 29,1 milioni di tonnellate con un calo dell’1,8% rispetto all’anno precedente. La produzione di rifiuti urbani è diminuita in tutte le macroaree geografiche: il Nord fa registrare il calo percentuale più consistente (-2,2%), seguono il Centro e il Sud (-1,5% per entrambe). In valore assoluto, il nord Italia produce oltre 13,8 milioni di tonnellate di rifiuti, il Centro 6,2 milioni di tonnellate e il Sud quasi 9 milioni di tonnellate.
La produzione pro capite a livello nazionale si attesta, nel 2022, a 494 Kg/abitante e i valori più alti di produzione pro capite sono quelli del Centro Italia con 532 Kg/abitante mentre il valore medio del Nord Italia si attesta a 506 Kg/abitante e il dato del Sud è pari a 454 Kg/abitante. I più bassi valori di produzione pro capite, inferiori a 400 Kg/abitante, si rilevano per diverse province del Sud Italia e in due province del Centro, Rieti e Frosinone. In particolare, Potenza ed Enna si collocano al di sotto di 350 chilogrammi per abitante per anno.
Nel 2022, la media nazionale percentuale di raccolta differenziata è stata pari al 65,2% della produzione nazionale, con una crescita dell’1,2% rispetto al 2021 anche se, in termini quantitativi, la raccolta si mantiene pressoché invariata attestandosi a 18,9 milioni di tonnellate. Nel Nord, la raccolta complessiva si attesta intorno ai 9,9 milioni di tonnellate, nel Centro a poco più di 3,8 milioni e nel Sud a quasi 5,2 milioni.
Rispetto al 2021, tutte le macroaree geografiche mostrano incrementi della percentuale di raccolta differenziata: nelle regioni del Sud la crescita è dell’1,7%, in quelle centrali dell’1,1% e nelle regioni del Nord dello 0,8%. La raccolta pro capite nazionale è di 322 Kg/abitante per anno, con valori di 363 Kg/abitante nel Nord, 327 Kg/abitante nel Centro e 261 Kg/abitante nel Sud.
Supera per la prima volta la soglia del 50% la Regione Siciliana attestandosi al 51,5% con un aumento del 3,9% rispetto al dato del 2021. Per quanto riguarda le città della Sicilia, si rileva per Messina e Catania crescite di circa il 10%: la prima passa dal 43% al 53,5%, la seconda dall’11,3% al 22%. Maglia nera, invece per Palermo che fa rilevare la percentuale più bassa di raccolta differenziata tra le città siciliane raggiungendo solo il 15,2% con una leggera crescita rispetto al 13,6% del 2021.
Tra i rifiuti differenziati, l’organico si conferma la frazione più raccolta in Italia (38,3% del totale), seguita dalla carta e cartone con il 19,3% del totale, dal vetro, 12,3%, e dalla plastica, circa il 9%. In termini quantitativi, la raccolta dei rifiuti organici si attesta a poco più di 7,2 milioni di tonnellate, con una contrazione dell’1,8% rispetto al 2021. L’analisi dei dati evidenzia la necessità di imprimere un’accelerazione nel miglioramento del sistema di gestione, soprattutto in alcune zone del Paese, per consentire il raggiungimento dei nuovi sfidanti obiettivi previsti dalla normativa europea.
Lo smaltimento in discarica dovrà essere quasi dimezzato entro il 2035, anno in cui dovrà essere conseguito l’obiettivo del 10% e la percentuale di rifiuti avviati al recupero di materia dovrà essere notevolmente incrementata per garantire il raggiungimento del 60% di riciclaggio al 2030 e del 65% al 2035. Si rende quindi sempre più necessario un cambio di passo, soprattutto tenendo presente che con i nuovi obiettivi sono state introdotte anche nuove metodologie di calcolo sia per la determinazione del riciclaggio che per la valutazione dello smaltimento in discarica, che appaiono decisamente più restrittive di quelle sino ad oggi utilizzate.
I rifiuti urbani inceneriti, comprensivi del Css (il Combustibile solido secondario, ndr), della frazione secca e del bioessiccato ottenuti dal loro trattamento, sono 5,3 milioni di tonnellate, circa l’1,9% in meno rispetto al 2021. Il 71,4% di questi rifiuti viene trattato al Nord, il 9,5% al Centro ed il 19,1% al Sud. Si rileva che il solo impianto di Acerra (NA) tratta il 72,9% del totale dei rifiuti inceneriti al Sud. “Questo rapporto – spiega Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia – evidenzia come la gestione dei rifiuti sia da un lato un tema di economia circolare e, dall’altro lato, un elemento importante della transizione energetica. Quello relativo agli impianti non è solo un problema quantitativo ma soprattutto di distribuzione geografica: senza impianti non si chiude il ciclo dei rifiuti e non si potranno raggiungere i target Ue. Nei giorni scorsi, oltretutto, nelle conclusioni della Cop 28 è stata ribadita la necessità di limitare entro il 2030 le emissioni di metano e quindi lo smaltimento in discarica, che, come è noto, contribuisce in modo significativo a tali emissioni”.
Il parco impiantistico, in effetti, è prevalentemente localizzato nelle regioni del Nord in cui si trovano 26 impianti. In Lombardia e in Emilia-Romagna sono presenti, rispettivamente, 12 e 7 impianti operativi che, nel 2022, hanno trattato complessivamente circa 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (il 73,3% di quelli inceneriti nel Nord e il 52,3% del totale nazionale). Al Centro e al Sud sono operativi, rispettivamente, 5 e 6 impianti che hanno trattato quasi 505 mila tonnellate e un milione di tonnellate di rifiuti urbani. Nel 2022 sono state esportate 858 mila tonnellate di rifiuti urbani. I rifiuti esportati sono costituiti per il 32,7% da rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti e per il 28,6% da Combustibile Solido Secondario.
La produzione di biometano risulta pari ad oltre 153 milioni di Nm3 ed evidenzia, rispetto alla precedente indagine, un’ulteriore crescita di circa 30 milioni di Nm3, corrispondente al 24,2%. Il 91,9% del totale prodotto viene destinato all’impiego in autotrazione (circa 141 milioni di Nm3), mentre percentuali pari al 5% (circa 7,7 milioni di Nm3) ed al 3,1% (circa 4,8 milioni di Nm3) sono destinate, rispettivamente, alla rete di distribuzione e alla rete di trasporto. La Sicilia, pur vendo recuperato nel 2022, tra biogas e biometano, oltre 3,5 milioni di Nm3 contro gli oltre 200 milioni della Lombardia, non ha trasformato nulle in energia mentre ne ha prodotto oltre 24.000 MWh la Lombardia.
In ultima analisi il costo medio nazionale annuo pro capite di gestione dei rifiuti urbani è pari a 192,3 euro/abitante rispetto ai 194,5 euro/abitante del 2021. Al Centro il costo risulta più elevato con 228,3 euro/abitante, segue il Sud con 202,3 euro/abitante e infine il Nord con un costo pari a 170,3 euro/abitante.
Sono 188 gli impianti tra inceneritori e digestione anaerobica della frazione organica e dei fanghi di depurazione presenti sul territorio italiano nel 2022, che hanno prodotto circa 7 milioni di MWh di energia, un quantitativo in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 2,6 milioni di famiglie. In Italia, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, si registra una carenza impiantistica e se non si inverte questa tendenza, il nostro Paese continuerà a ricorrere in maniera eccessiva allo smaltimento in discarica: attualmente ci attestiamo al 18%, mentre le direttive Ue impongono di scendere sotto al 10% entro il 2035.
Aumentare la capacità di trattamento degli impianti è quindi fondamentale per chiudere il ciclo dei rifiuti, perché la raccolta differenziata produce scarti che vanno smaltiti nella maniera ambientalmente più corretta e perché il recupero energetico – con conseguente produzione di energia, in prevalenza rinnovabile – evita lo smaltimento in discarica.
Nel 2022 erano operativi nel nostro Paese 73 impianti di digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti urbani – 53 al Nord, 9 al Centro e 11 al Sud – che hanno trattato 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti. A questi, nei prossimi anni, se ne aggiungeranno altri 22 impianti. L’organico, con oltre 7,2 milioni di tonnellate raccolte, rappresenta il 38,3% dei rifiuti urbani che entrano nel circuito della raccolta differenziata. Nel 2022 erano invece operativi 36 impianti di incenerimento così dislocati: 25 al Nord, 5 al Centro e 6 al Sud, oltre a un impianto al Sud classificato formalmente come impianto di produzione di energia, ma alimentato esclusivamente con rifiuti di origine urbana che, se incluso, ne porterebbe il numero a 37. Al loro interno sono stati trattati 5,3 milioni di tonnellate di rifiuti, tra rifiuti urbani indifferenziati e rifiuti speciali.
Tali impianti sono ormai saturi e non si prevedono nuove aperture nei prossimi anni, se escludiamo l’impianto a servizio di Roma Capitale per una capacità complessiva di circa 600.000 tonnellate annue. Ben oltre l’80% delle scorie prodotte sono state avviate a recupero di materia, e con la revisione delle direttive europee previste nell’ambito del Pacchetto per l’economia circolare anche i metalli recuperati dalle scorie di incenerimento concorrono inoltre al raggiungimento dei target di riciclo. Per quanto riguarda invece il controllo delle emissioni in atmosfera, per diversi inceneritori i limiti applicati risultano notevolmente più stringenti rispetto a quelli determinati dalla normativa vigente, soprattutto per quanto riguarda le polveri, gli ossidi di zolfo ed il monossido di carbonio. Le emissioni degli impianti di termovalorizzazione sono peraltro poco rilevanti rispetto al totale delle emissioni in atmosfera legate al complesso delle attività civili e industriali.
Il 100% dell’energia prodotta dagli impianti di digestione anaerobica e il 51% di quella prodotta dagli inceneritori, inoltre, è energia rinnovabile: contribuisce pertanto, sostituendo l’utilizzo di combustibili fossili, alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti ed alla lotta ai cambiamenti climatici. Si tratta inoltre di energia prodotta localmente che contribuisce a ridurre la dipendenza dall’estero.
Come emerge dal Rapporto, l’Italia ha urgentemente bisogno di nuovi impianti soprattutto d’incenerimento con recupero di energia delle frazioni non riciclabili, in mancanza dei quali sarà impossibile mantenere lo smaltimento in discarica al di sotto del 10%; anche perché nei prossimi anni il costante aumento delle percentuali di raccolta differenziata porterà anche a un inevitabile incremento degli scarti di lavorazione e dei rifiuti organici da trattare.
Nel corso del convegno Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia, ha ribadito l’importanza che la Regione Siciliana si doti di impianti di termovalizzazione e ha dichiarato: “So che quanto prima saranno concessi poteri speciali al presidente Schifani”.