L'intervista a Concetta Balistreri, segretario generale Sindacato Pensionati Italiani-Cgil Sicilia
“Pochi ultrasessantenni in pensione: l’81,5% contro il 97,1% nazionale”, è questo lo scenario futuro delineato da una previsione non di certo ottimistica, da parte di Concetta Balistreri, segretario generale Sindacato Pensionati Italiani-Cgil Sicilia. Ecco l’intervista completa rilasciata al Quotidiano di Sicilia.
La Sicilia ha un importo medio di pensioni nettamente più basso rispetto a quella italiano. Perché? Quali le conseguenze sul piano socioeconomico?
“L’Italia è un Paese diviso in due , con condizioni economiche e sociali molto diverse tra Nord e Sud. La cronica mancanza di lavoro, la discontinuità lavorativa, il lavoro sommerso, l’assenza di controlli sul rispetto e l’applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro incidono pesantemente sulla determinazione dell’importo delle pensioni.
In Sicilia non c’è mai stato un vero e proprio benessere e le diseguaglianze sono sempre state molto evidenti rispetto al resto del Paese, basti pensare che circa il 30%delle famiglie dell’Isola vive in condizioni di povertà relativa e la spesa sociale regionale è tra le più basse d’Italia. Da una ricerca del 2018, realizzata dell’Istituto di Studi e Ricerche ‘Lucia Morosini’ è emerso che in Italia sono pensionati il 97,1% degli ultra sessantenni mentre in Sicilia solo l’81,5%. Il che significa che c’è una parte consistente di anziani senza coperture. Inoltre l’attuale sistema pensionistico (elevata età pensionabile, nessuna differenza per le condizioni di lavoro e di salute per molti lavoratori, calcolo interamente contributivo) rischia di fare aumentare le diseguaglianze e lo svantaggio dei lavoratori e delle lavoratrici siciliane che andranno in pensione nel prossimo futuro.
Lavoro povero e mal pagato, poca o quasi nessuna garanzia di rispetto dei contratti, lavoro grigio e sommerso genereranno, ancora, pensionati più poveri”.
Le pensioni siciliane sono oltretutto in netto calo rispetto alla media 2021, di per sé comunque inferiore a quella nazionale. Pensionati sempre più poveri?
“Il fatto che le pensioni dei dipendenti pubblici sono quasi in linea con la media nazionale è la rappresentazione plastica che se si rispetta il Ccnl le pensioni raggiungono lo stesso livello
che nelle altre regioni. La leggera differenza può derivare da elementi della retribuzione che si ottengono con la contrattazione di 2° livello, che spesso le amministrazioni locali siciliane negano adducendo i limiti imposti dai bilanci.
I lavoratori autonomi versano aliquote contributive più basse dei lavoratori dipendenti.
Se questi, infatti, sono chiamati a versare un’aliquota contributiva del 33%, per artigiani e commercianti l’aliquota si attesta al 24%, quindi a parità di retribuzione ensile la pensione di un lavoratore autonomo è più bassa d quella di un lavoratore dipendente.
Dato che l’aliquot si calcola su reddito da lavoro prodott (quello dichiarato immagino che molti autonom dichiarino meno di quello che producono, ma farei un distinguo sui parasubordinati iscritti alla gestione separata Inps: spesso dietro le partite iva, le collaborazioni coordinate e continuative, il lavoro a prestazione si nasconde un rapporto di lavoro subordinato. In questo modo il committente, alias datore di lavoro, risparmia sull’aliquota e sull’applicazione del contratto, su fisco e oneri sociali mentre le lavoratrici e i lavoratori, pur facendo lo stesso lavoro dei colleghi dipendenti, non hanno le stesse tutele e gli stessi diritti ed in seguito avranno pensioni basse”.
Un po’ più equilibrate le pensioni per dipendenti pubblici. Terribili i numeri invece per autonomi, parasubordinati e lavoratori privati. Ci può dare anche qui una sua chiave di lettura?
“Il lavoro nero (e grigio), la precarietà, l’illegalità diffusa, appalti, subappalti, esternalizzazioni sono gli elementi che penalizzano i lavoratori siciliani e disegnano per loro un futuro da pensionati poveri. Bisogna arrestare il declino del sistema di protezioni sociali a partire dal welfare, dalla sanità ed intervenire nel campo pensionistico sia per tutelare coloro che sono e saranno più a rischio di povertà da anziani sia per tutelare il potere di acquisto delle pensioni, fortemente indebolito soprattutto negli ultimi mesi.
La piattaforma previdenziale di Cgil Cisl e Uil prevede, ad esempio, una ‘pensione contributiva di garanzia’ che tenga conto delle discontinuità delle carriere lavorative e la valorizzazione contributiva del lavoro di cura che penalizza soprattutto le donne”.
Secondo lei necessita intervenire e in che modo?
“Il Pnrr, con la missione 5 e la missione 6, prevede investimenti nel campo del sociale e della sanità molto consistenti per la Sicilia che potrebbero innescare un processo di contrasto alle diseguaglianze e di superamento dei divari con il resto del Paese, ma devo amaramente rilevare che il governo regionale non ha mai aperto il confronto con le organizzazioni sindacali su questi temi, seppure da noi richiesto.
La pandemia ha messo a nudo drammaticamente le carenze della sanità e dell’assistenza sociale della mancata integrazione soci sanitaria. I tagli al sistema sanitari pubblico sono stati pagati a caro prezzo dai siciliani, soprattutto gli anziani e i pensionati. Il Pnrr è una occasione per superare le fragilità siciliane con i suoi investimenti, ma occorrono anche nuove politiche industriali, servizi pubblici di qualità, politiche economiche e sociali.
Per superare la frattura sociale con il resto del Paese il governo regionale deve assumere e rappresentare gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, delle cittadine e dei cittadini siciliani. Noi, il sindacato, non mancheremo di sviluppare una azione di pressione, di critica e di sfida progettuale nei confronti del sistema politico. Ma il governo siciliano mi pare che pensi ad altro”.