Basta lecchinaggio
Jinmu Tenno, discendente della dea Amaterasu , l’11 febbraio del 660 a. C. avrebbe fondato l’impero giapponese come primo imperatore, una lunga catena che ha ancora oggi al vertice di quel Paese un imperatore, con la differenza che prima esso veniva “nominato” dal loro dio, mentre ora non è più così.
Perché questo incipit? Per spiegare che quel popolo da 2660 anni è sempre rimasto unito, ha coltivato i propri valori mediante una cultura sempre più arricchita e sempre più diffusa. Tale cultura deriva dalla stesura, conservazione e lettura di libri, anche finemente manoscritti.
Una cultura che è rimasta sempre viva nella mente dei/delle giapponesi e che li/le porta a oggi, con un balzo di quasi ventisette secoli, a comprare l’informazione giornaliera portata dai quotidiani. Il primo di essi è Yomiuri Shimbun, con sede a Tokyo, che ha una tiratura di oltre nove milioni di copie: numeri che fanno comprendere quanto quella gente tenga conto di ciò che oggi può considerarsi la vera informazione.
Ci scusiamo con gli/le editori/trici di radio e televisioni se non consideriamo quell’informazione sufficientemente approfondita e comprensibile per i/le cittadini/e, in quanto in quelle reti si cercano più effetto e audience che la sostanza di quanto si trasmette.
Ecco perché – e non per questioni di parte – arriviamo a bomba all’argomento dell’odierno commento e cioè la valorizzazione dell’informazione portata tutti i giorni sul centinaio di quotidiani diffusi in Italia. Un’informazione fatta di notizie, ma soprattutto di approfondimenti e di inchieste che mettono in luce i problemi del nostro Paese nel settore pubblico e privato.
Ricordiamo che l’articolo 21 della nostra Costituzione tutela l’informazione in senso lato, un’informazione che non è solo portata dai/dalle giornalisti/e, ma da chiunque ne diffonda il contenuto. Tuttavia, il corpo dei/delle giornalisti/e dovrebbe essere quello più qualificato per diffondere un’informazione completa, imparziale, obiettiva. Essa lo è solo se bilanciata fra fonti diverse, da notizie controllate e raffrontate con altre. Insomma, non è quella che purtroppo leggiamo oggi, quando chi scrive dimentica il Testo Unico dei Doveri del Giornalista.
Vi è un’altra questione che portiamo all’evidenza dei/delle cortesi lettori/trici e cioè quella sorta di lecchinaggio che fanno tanti/e conduttori/trici radio-televisivi, i/le quali, interpellando questo/a o quel/la giornalista che è stato/a direttore/trice di qualche testata o di qualche agenzia di informazione – magari per breve tempo – continua a essere interpellato come “direttore” o “direttrice”.
Si tratta di un vizio italico, per cui si continuano a chiamare “senatore” o “deputato” gli/le ex e tutti gli altri ex che continuano a mantenere il titolo nonostante non esercitino più la loro attività.
Ma vi è un altro vizio italico, che è quello di chiamare dottore, professore, ingegnere o altro cittadini e cittadine in qualunque momento e non solo quando esercitano la loro professione.
Come ci insegnano le culture francesi e anglosassoni fra le altre, i/le cittadini/e vengono sempre interpellati/e con mister e miss, ovvero monsieur e madame.
Personalmente ho sempre vietato a chicchessia di chiamarmi con i miei diversi titoli professionali (professore, dottore, revisore, direttore), quando agivo come privato cittadino o nei luoghi in cui ero come tale, perché ritengo che i titoli di qualunque tipo vadano usati solo nell’ambito delle relative attività.
Ma torniamo ai “direttori” e “direttrici” per precisare che solo essi/e nella loro qualità scrivono gli “editoriali”.
Che significa editoriale? Che è stato scritto dal direttore/trice responsabile e solo da egli/ella in quanto riflette la linea che ha indicato l’editore/trice del giornale.
Ricordiamo che il direttore/trice responsabile, quando viene assunto/a, concorda la linea informativa che dovrà seguire il quotidiano. Infatti, nel momento in cui se ne discosta, può essere licenziato/a in tronco dall’editore/trice perché il rapporto è esclusivamente fiduciario. Costoro non sono indipendenti, come alcuni dicono, ma fiduciari.
Altra forma di lecchinaggio di molti conduttori/trici quando presentano i/le giornalisti/e come “editorialisti”. Mentono perché editorialista è solo il/la direttore/trice, gli altri sono fondisti o rubrichisti.