Spiagge, un business “riservato” anche in Sicilia e la Regione incassa dai canoni meno della Basilicata - QdS

Spiagge, un business “riservato” anche in Sicilia e la Regione incassa dai canoni meno della Basilicata

Rosario Battiato

Spiagge, un business “riservato” anche in Sicilia e la Regione incassa dai canoni meno della Basilicata

sabato 30 Marzo 2019


Ormai è cosa fatta per il recepimento della proroga di 15 anni delle concessioni demaniali: un affare solo per i privati

PALERMO – Non c’è l’ufficialità, ma la proroga di quindici anni delle concessioni demaniali siciliane, come previsto dalla legge di stabilità nazionale (a partire dal 2019), è ormai cosa praticamente fatta. Lo ha espressamente dichiarato l’assessore Cordaro davanti all’assemblea dei balneari isolani, rinviando, ancora una volta, la decisione sul tema della liberalizzazione del mercato dei servizi che ormai da 13 anni, cioè dall’approvazione della Bolkestein, resta sospeso sul futuro di tante attività e di un settore strategico per la Regione e del Paese.

COSA DICE LA BOLKESTEIN
La direttiva Bolkestein venne definita e approvata tra il 2004 e il 2006, dando vita, almeno teoricamente, al libero mercato dei servizi. Recepita in Italia solo quattro anni dopo, cioè nel 2010, fissa la libera circolazione dei servizi e l’abbattimento delle barriere tra i i vari Paesi dell’Ue. Tra le varie tematiche affrontate all’interno della direttiva, al centro del dibattito si trova il tema delle concessioni dei balneari che, sulla base dei contenuti della direttiva, dovrebbero finire all’asta.

TANTI ATTORI
PER DIVERSE ESIGENZE
Una situazione che ha visto in gioco diversi attori protagonisti con interessi molto differenti: i balneari che mantengono da decenni le licenze sulla base dei rinnovi automatici, una labile certezza che però ha portato molti di loro a investire concretamente nell’attività, i balneari esclusi dalle concessioni (anche stranieri, visto che la direttiva apre anche agli operatori di altri Paesi di partecipare alle gare) che vorrebbero entrare in gioco, l’Ue che continua a pressare l’Italia (nel 2009 aveva avviato una procedura di infrazione chiedendo la messa a gara delle concessioni), e quest’ultima, così come le Regioni coinvolte, che continua a nicchiare, prolungando, apparentemente sine die, le scadenze, fino a quella che potrebbe essere l’ultima.

L’ULTIMA PROROGA
Un sospirone di sollievo tanto atteso. In occasione dell’assemblea promossa da Cna Balneari Sicilia di venerdì scorso, l’assessore al Territorio e all’Ambiente della Regione, Totò Cordaro, ha assicurato tutti spiegando che si procederà, come si legge in una nota di Cna Balneari Sicilia, al “recepimento dell’estensione quindicinale delle concessioni demaniali prevista dalla legge di stabilità nazionale per gli stabilimenti balneari, accompagnata da una semplificazione per i procedimenti autorizzativi e da un riordino della materia attraverso un autentico testo unico”. La road map tracciata dall’assessore prevede “concreti provvedimenti a sostegno del segmento produttivo degli stabilimenti balneari, ritenuto nodale per il territorio e per lo sviluppo”.

UN SETTORE
FONDAMENTALE
I numeri cantano: in tutta Italia ci sono ottomila chilometri di coste, più di 52 mila concessioni, oltre 30 mila imprese del settore. A definire il giro d’affari di questo settore lucrosissimo ed “esclusivo” ci ha pensato Nomisma: vale 15 miliardi all’anno. Eppure nel 2016, secondo i dati riportati da Legambiente, lo Stato incassava solo 103 milioni dalle concessioni, mediamente circa 4 mila euro all’anno a stabilimento. Ancora più incredibili le distribuzioni per Regione: l’associazione del Cigno ha piazzato in cima alla lista Toscana e Liguria, con circa 11 milioni di euro all’anno, a seguire ci sono Lazio, con 10,4 milioni di euro, Veneto, che si è fermato a 9,5 milioni, e quindi Emilia-Romagna, che sfiora i nove milioni di euro. Ancora più in basso ci sono Sardegna, Puglia e Campania e che superano i 7 milioni di euro, seguite alla Calabria con circa 5 milioni. E la Sicilia? La Regione col più lungo litorale d’Italia (1.637 km contro i 397 della Toscana e i 330 della Liguria) si trova sul fondo della classifica, addirittura dietro la Basilicata (solo 40 km), con appena 81.491 euro di incassi. Lo scorso ottobre la Corte dei Conti ha aperto un’inchiesta proprio sui canoni demaniali in Sicilia: la Guardia di finanza e la Capitaneria di Porto si sono recati negli uffici della Ragioneria generale della Regione per acquisire i faldoni e accertare le responsabilità. In quell’occasione l’assessore Cordaro dichiarò che all’appello “mancano almeno 40 milioni di incassi”.

Nell’Isola le imprese del settore sono circa 3 mila, una bella quota nell’ottica delle oltre 20 mila aziende che complessivamente riguardano la cosiddetta economia del mare. Per la Sicilia, l’associazione del Cigno ha stimato incassi da poco più di 80 mila euro, praticamente sul fondo della classifica, nonostante anche da queste parti le spiagge libere stiano cominciando a diventare un miraggio. Nell’Isola, infatti, non esiste una norma specifica come avviene altrove: in Puglia si è fissata la quota del 60% di spiagge libere sul totale, così come in Sardegna, una porzione che si abbassa al 50% nel Lazio e al 20% in Emilia Romagna.
Rosario Battiato

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