CATANIA – “La completa libertà dallo stress è la morte”, diceva Hans Selye, pioniere degli studi sullo stress. Una frase che è riecheggiata – anche tra qualche sorriso – durante la presentazione del monitoraggio triennale sulla valutazione dello stress lavoro-correlato realizzato dall’Università di Catania in collaborazione con Inail. La bilancia tra richiesta lavorativa e ricompensa non è ancora in equilibrio all’interno dell’Ateneo, come accade in una larga parte dei luoghi di lavoro in Italia.
Il precariato tra le principali cause di stress
Il precariato è una delle condizioni che generano maggiore stress tra i lavoratori dell’Università di Catania: è questo il dato principale emerso dal monitoraggio, pensato per individuare le cause di disagio e consolidare una cultura della prevenzione e del benessere organizzativo anche all’interno dell’ente.
Durante la giornata “Risultati e prospettive sulla valutazione dello stress lavoro-correlato”, organizzata a Palazzo centrale, si è discusso a lungo di quella che è considerata la prima causa di stress sul posto di lavoro: lo stress lavoro-correlato stesso. Un primato certificato da Inail. “Secondo le ultime indagini – mi riferisco a quella del 2021, che ha coinvolto 45 mila lavoratori a livello globale – risulta essere il primo rischio psicosociale percepito. Su una scala da uno a cinque, il livello medio si attesta a 2,43” ha spiegato Diana Artuso, direttrice della Direzione Inail di Catania.
Più stress tra figure precarie e studenti di Medicina
I risultati del lavoro, avviato durante il rettorato di Francesco Priolo e concluso a pochi mesi dall’insediamento del rettore Enrico Foti, hanno evidenziato un maggior carico di stress tra tutte le figure impiegate in Ateneo prive di un contratto stabile, fino ad arrivare agli studenti, in particolare quelli di Medicina, che già operano come specializzandi.
L’indagine è stata condotta in modo sistematico, “dipartimento dopo dipartimento”, ha spiegato la professoressa associata di Medicina del Lavoro Caterina Ledda, grazie all’impegno di Clelia Zarbà, addetta al Servizio di Prevenzione e Protezione dell’Università e degli studenti del corso di laurea in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro del Dipartimento di Medicina clinica.
“Sicuramente occorre prestare attenzione alle figure precarie (ce ne sono molte) e supportarle, perché lo stress spesso nasce proprio dall’avere un contratto di lavoro a termine – ha dichiarato Ledda -. Per quanto riguarda gli uffici, la situazione appare simile, e serve rivolgere un’attenzione particolare anche agli studenti, in particolare agli specializzandi, che sono lavoratori a tutti gli effetti”.
Verso una nuova governance e una cultura del benessere
Risultati come questi potranno andare all’attenzione del nuovo rettore Enrico Foti. “C’è da registrare un passaggio di governance, e ciò che abbiamo presentato è la fotografia del triennio 2022-2024. La nuova governance ha tutto l’interesse a valutare in modo accurato i risultati, per intervenire dove sono emerse criticità e favorire un miglioramento, senza però trascurare le cosiddette aree verdi, che vanno mantenute e valorizzate”.
La collaborazione con Inail e l’importanza della prevenzione
La collaborazione con Inail nasce dall’attività che l’Istituto porta avanti ogni anno attraverso il rilascio dei moduli integrativi per la valutazione dello stress lavoro-correlato e la proposta di linee guida utilizzabili sia dai privati sia dalle amministrazioni pubbliche.
“Si parla spesso di stress, ma è necessario saperlo valutare, fornendo indicazioni alle aziende e alle amministrazioni pubbliche – ha dichiarato la direttrice Artuso -. In questo ambito le università rivestono un ruolo importante, perché possono orientare e condurre indagini garantendo la serietà dell’approccio e l’attendibilità dei risultati. L’utilizzo della metodologia Inail consente di inserire i dati in modo semplice e di essere supportati nella valutazione di un rischio psicosociale che, secondo le più recenti indagini, mi riferisco a quella del 2021, che ha coinvolto 45 mila lavoratori a livello globale, risulta essere il primo rischio psicosociale percepito. Su una scala da uno a cinque, il livello medio si attesta a 2,43. La consapevolezza della propria condizione – ha concluso la direttrice Artuso – è fondamentale per iniziare ad adottare misure di prevenzione e contenimento e fare del lavoro un momento sano”.

