Sud, non un problema ma un’opportunità - QdS

Sud, non un problema ma un’opportunità

Carlo Alberto Tregua

Sud, non un problema ma un’opportunità

martedì 14 Marzo 2023

Crescita per l’intero Paese

È quasi stomachevole dovere ritornare sulla questione del Sud, su cui sono stati scritti a iosa volumi, articoli, relazioni, oltre che organizzati convegni, tavole rotonde e dibattiti.
È l’Italia delle parole e dei parolai, mentre sarebbe opportuno che si valorizzassero i fatti e i risultati. Ma si sa, a parole sono bravi in tanti, a raggiungere obiettivi solo in pochi.
Il Meridione italiano va considerato come Meridione dell’Europa, insieme a quello della Grecia, della Spagna e delle parti meno sviluppate dell’Europa orientale, come la Romania.

In altri termini, l’Unione europea – attualmente egoista e al servizio dei Paesi più ricchi – non ha mai messo all’ordine del giorno lo sviluppo di tutte le aree più arretrate dell’intero Vecchio Continente, limitatamente al territorio dei Ventisette.
Si tratta di una grave carenza, conseguente alla prevalenza dei più forti rispetto ai più deboli, imponendosi la ragione della forza e non la forza della ragione.

È tempo di cambiare questo squilibrio macroscopico fra le aree ricche e quelle povere nell’Unione dei Ventisette, anche per un’ovvia convenienza. Infatti, come è noto in macroeconomia, gli investimenti effettuati nelle aree arretrate sono suscettibili di promuovere una crescita più elevata rispetto a quelli effettuati nelle aree più avanzate.
È quindi conveniente che il Sud dell’Europa decolli, compreso quello italiano, che non è – ripetiamo – il solo.

Aumentare il livello del basso sviluppo delle aree arretrate e portarlo a quello delle aree avanzate è esattamente ciò che fece la Germania dopo il 9 novembre 1989, giorno in cui cessò la divisione fra le sue due parti.
Cosicché, a distanza di trent’anni, i parametri di reddito pro capite e Pil nel Paese tedesco sono abbastanza livellati. Mentre in Italia, dopo centosessantadue anni dall’Unificazione, il reddito e il Pil della Sicilia sono la metà di quello della Lombardia, il che la dice tutta con chiarezza.
Non è mai troppo tardi per affrontare adeguatamente il gap e ridurlo in un congruo numero di anni, ma non nell’eternità.

Il Governo ha già detto che bisogna aprire un intero cantiere che comprenda strade ferrate ad alta velocità, ponti, autostrade e strade statali a quattro corsie, oltre che riparazione idrogeologica del territorio. Non sappiamo se questo ambizioso programma partirà e dopo quanti anni vedrà una prima conclusione.

Ancora una volta ascoltiamo tante parole, ma né vengono sottoposti alla pubblica opinione dei progetti, né assistiamo all’apertura dei cantieri, i quali dovrebbero consentire la realizzazione delle opere secondo un rigoroso cronoprogramma, soggetto a forti penalità nel caso di mancata realizzazione nei tempi previsti.
Tutte le opere statali sono di competenza del Governo e della sottostante burocrazia, la quale non ha ancora percepito la necessità di operare con competenza, diligenza e fattività. Tutto ciò accade perché essa non agisce in base al Pos (Piano organizzativo dei servizi), ma continua uno stanco e inefficace tran tran privo di innovazione, che resiste anche alla tecnologia digitale.

Nella burocrazia vi è una forte opacità. Quando vengono chiesti i documenti, in base alla legge che prevede il diritto di accesso da parte dei/delle cittadini/e, vengono opposte resistenze per evitare di fare emergere le magagne che si svolgono all’interno di quella macchina infernale. Insomma, la trasparenza non è di casa tra i burocrati.

Inoltre, nella burocrazia non è inserito il sacrosanto principio di produttività, che consente di fare più cose e di migliore qualità nello stesso tempo.
Ancora, manca il principio di concorrenza fra i servizi statali, regionali e locali, che dovrebbero essere posti in una sorta di gara a chi fa di più e meglio.

Perché scriviamo della burocrazia? La risposta è semplice: se essa non funziona a tabella di marcia, qualunque programma governativo si arena nell’insufficienza.

Sapranno l’Europa e l’Italia affrontare la macroquestione che prospettiamo? L’attuale Commissione, presieduta dalla von der Leyen, non sembra occuparsi del Meridione europeo.

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