Tagliare la spesa clientelare, non i servizi - QdS

Tagliare la spesa clientelare, non i servizi

Carlo Alberto Tregua

Tagliare la spesa clientelare, non i servizi

mercoledì 26 Giugno 2019

Premiati i burocrati che demeritano

Al 31 dicembre 2001, un giorno prima dell’entrata in vigore dell’euro, il debito pubblico si attestava sui 1.360 miliardi di euro. A distanza di diciassette anni, cioè al 31 dicembre 2018, esso era diventato di 2.322 miliardi, ben 962 miliardi in più.
Chi parla perché ha la bocca, che usa per muovere l’aria, continua a dire che l’enorme aumento del debito è stato conseguenza della moneta unica. Si tratta di una balla colossale perché è facilmente comprensibile che il debito di una Comunità, o anche di una famiglia, aumenta per la semplice ragione che le uscite sono più delle entrate.
Perché ogni anno si è formato un disavanzo tra le prime e le seconde, con la conseguenza dell’aumento del debito sovrano? La risposta è nei fatti: nonostante i governi abbiano sempre aumentato, di poco o di tanto, le entrate tributarie, non sono stati mai capaci di contrarre le uscite che sono aumentate progressivamente, e con esse il debito.


Perché le uscite sono aumentate? Perché i responsabili dei partiti politici, non essendo statisti capaci di elaborare ed attuare programmi poliennali che i cittadini capiscono poco, hanno seguito la strada dei mediocri, hanno cioè accontentato pezzi della popolazione elargendo contributi, indennità, sussidi.
Hanno avuto l’abilità di mascherare queste gratuità con la classica frase: “Redistribuzione della ricchezza”. Non è vero che la strada dei sussidi sia quella della redistribuzione della ricchezza perché la stessa deve essere effettuata secondo i valori dell’equità e della giustizia, non a pioggia, come invece è stato sempre fatto.
Il danno compiuto al nostro Paese, da politicanti incapaci e mediocri, non è stato conseguente alla spesa in quanto tale ma alla spesa clientelare, cioè quella corrente, cioè quella che va a coprire buchi ed inefficienze, corruzione ed evasione, rapporti con la criminalità organizzata, non solo al Sud, e soddisfacimento della famelicità di lobbies e corporazioni.
Gli statisti, invece, avrebbero dovuto destinare cospicua parte della spesa agli investimenti pubblici e privati, in modo da creare ricchezza, posti di lavoro e servizi atti a semplificare la vita dei cittadini.

Dunque, il problema dei governi passati e di quello attuale, è la capacità di tagliare la spesa clientelare. Ma siccome non sono capaci, urlano che essa sia necessaria per i servizi sociali e di assistenza ai bisognosi.
La spesa sociale è indispensabile, non è quella che si deve tagliare ma l’altra, quella cattiva, utilizzata male dalla Burocrazia, incapace di strutturarsi in maniera efficiente.
Il guaio della questione in esame è che i responsabili del funzionamento della Pubblica amministrazione, cioè i dirigenti, continuano ad essere premiati a prescindere dai risultati che conseguono, per cui aumentano i privilegi, aumentano le discrasie fra i bravi e i fannulloni e la disfunzione pubblica non ha più limiti di sorta.
“Redistribuzione della ricchezza” dovrebbe significare far pagare mediante le imposte i ricchi per destinarla ai poveri mentre non solo nel mondo ma anche in Italia, vi è una ricchezza per pochi e la miseria per tutti. Miseria relativa, si intende.


I dirigenti burocratici e i massimi vertici delle Istituzioni (ministri, vice ministri, sottosegretari) dovrebbero essere nominati in base al loro sapere, non in base alla loro fedeltà. Ma questo non accade perché nel nostro Paese non vigono i principi di equità e di giustizia che sono i presupposti irrinunciabili affinché si stabilisca un’effettiva uguaglianza tra i cittadini, per cui vi sono quelli di serie maggiore e gli altri di serie minore.
La mediocrità dilagante, anche figlia di Internet e Wikipedia, si connette ad una ignoranza che Scuola e Università non riescono a contrastare. Possiamo affermare che l’incultura media dei cittadini italiani è aumentata e con essa l’incapacità di capire il malfunzionamento delle Istituzioni, con la conseguenza letale sul piano politico-sociale che gli elettori non vanno a votare, con ciò venendo meno al loro dovere-diritto di scegliere i parlamentari, nazionali e regionali.
La situazione è grave, ma non seria, diceva Flaiano. Non è seria per il continuo andazzo, che peggiora di giorno in giorno, secondo il quale bisogna essere ignoranti per coprire posti di responsabilità.

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