Tensioni Santapaola-Cappello, le preoccupazioni di Ercolano - QdS

Tensioni tra Santapaola e Cappello, l’ansia del giovane Ercolano: “Loro sparano, noi senza armi”

Tensioni tra Santapaola e Cappello, l’ansia del giovane Ercolano: “Loro sparano, noi senza armi”

Simone Olivelli  |
sabato 23 Dicembre 2023

"Ora capisco perché i cristiani cambiano famiglia, non possiamo dargli niente, né soldi né armi", afferma il giovane rampollo.

“Ora capisco perché i cristiani (le persone, ndr) cambiano famiglia (clan). Non possiamo dargli niente, né soldi né armi”. L’avventatezza di un 20enne – rampollo di una dinastia mafiosa ma comunque figlio del suo tempo, fatto, oltre che di violenza, anche di Tik Tok e desiderio di apparire – potrebbe tornare utile a pesare le forze in campo presenti attualmente a Catania. Il contributo arriva alla fine di un anno in cui per conteggiare le sparatorie in città bisogna ricorrere ai numeri a doppia cifra e mentre, a dispetto delle dichiarazioni fatte in primavera dal ministro degli Interni Matteo Piantedosi e a più riprese dal sindaco Enrico Trantino, il livello di insicurezza percepito da residenti e pendolari ha superato di gran lunga i livelli di guardia.

A parlare, senza sapere di essere intercettato dai carabinieri, è Seby Ercolano, uno dei nove arrestati nel blitz Leonidi, scattato su mandato della Dda di Catania per il timore di un nuovo scontro a fuoco tra due dei gruppi criminali che convivono, sempre meno pacificamente, tra centro e periferia, e a cui ha fatto seguito un’ordinanza da parte del gip Carlo Cannella. Il giovane lamenta la presunta debolezza della famiglia Santapaola-Ercolano in fatto di armi rispetto al clan Cappello.

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Alberi genealogici e nuove generazioni

Per provare a interpretare la selva di conversazioni captate dagli inquirenti negli ultimi mesi, bisogna accantonare la tentazione di fare le considerazioni che verrebbero in maniera più immediata ripercorrendo le vicende dei protagonisti dell’ennesima storia di mafia a Catania. Dall’incapacità di dare un senso alla quotidianità che non passi per il riconoscimento nel branco all’ineluttabilità con cui ci si rapporta alla possibilità di finire in galera, rischiare di essere ammazzati o vedere morire amici e parenti. Fatto questo passo, diventa più semplice comprendere come portare un cognome pesante, come può essere Ercolano, rappresenti fonte di vanto ma anche di stress.

A testimoniarlo è Seby Ercolano, classe 2003 e figlio dell’ergastolano Mario, a sua volta cugino del più rinomato Aldo Ercolano, il killer del giornalista Pippo Fava. Mario Ercolano, che ha anche un fratello di nome Aldo l’anno scorso condannato in un’inchiesta su mafia e massoneria, è uno dei tanti mafiosi costretti a seguire a distanza la crescita dei figli. Sono tanti i rampolli di esponenti di spicco della criminalità organizzata che si trovano liberi di muoversi sul territorio, e che, come sottolineato dal gip, non sono “dotati di expertise mafiosa” per la poco esperienza maturata ma al contempo si mostrano “avvezzi a intraprendere iniziative di impulso”.

Ed è su queste direttrici che si dipana la storia che vede protagonista il giovane Ercolano: a ottobre scorso, insieme ad altri due esponenti della famiglia Santapaola-Ercolano, il 20enne si è trovato coinvolto in uno scontro a fuoco con alcuni soggetti del clan Cappello. I tre si erano recati dalle parti di piazza Palestro per chiarire un’offesa subita in precedenza da un uomo legato al gruppo della Stazione. Quello che però doveva essere un faccia a faccia si è trasformato in una sparatoria, solo per fortuna conclusasi con una ferita di striscio e la successiva fuga.

La ricerca di armi: “Siamo nel Far West”

L’ulteriore affronto subito da Ercolano, che nelle intercettazioni ammette di essere stato coinvolto in in alcune delle azioni violente verificatesi all’interno del locale Ecs Dogana, porta il ragazzo a meditare vendetta. Un proposito che nel giro di un mese si concretizza sotto forma di un primo sopralluogo dalle parti in cui vive la vittima designata – il 26enne Piero Gagliano, ritenuto legato ai Cappello e pure lui arrestato nel blitz – e che viene preceduto da una costante ricerca di armi. Tra coloro che gli fanno da consigliere c’è Davide Finocchiaro, 35enne arrestato con l’accusa di essere responsabile del gruppo del Villaggio Sant’Agata. “Tu non lo stai capendo che ci stai mettendo la faccia, Seby. Vedi che la tua famiglia, quando ci metteva la faccia, gli spaccava la testa alle persone”, dice l’uomo al giovane, dopo averlo rimproverato per essersi presentato davanti ai rivali privo di armi.

Dal canto suo, il 20enne si mostra risoluto a prendere in mano le cose. Già nei mesi precedenti all’alterco con i Cappello, aveva manifestato la voglia di essere designato dal padre come nuovo responsabile: “Mio papà mi deve fare un favore: si deve mettere in una sedia e mi deve dire sbrigati tutte cose tu e basta”, dichiarava Ercolano a Finocchiaro, dicendosi pronto anche a dare prova al genitore della propria risolutezza. “Te ne siedo uno nella sedie a rotelle, così lui capisce chi è suo figlio”. L’esigenza di ricevere un segnale dal carcere si fa più pressante nei giorni successivi alla sparatoria. Seby Ercolano discute, in videochiamata, con un uomo detenuto nello stesso carcere del padre.

Chiede un consiglio su come recuperare un’arma ed è in questa circostanza che arriva lo sfogo: “Glielo devi dire a mio padre – dice il giovane – Ieri sono dovuto restare a casa e non ci rimango un’altra sera perché io non ho paura di nessuno. Qua non siamo nei videogiochi – continua il 20enne facendo riferimento alla passione del padre –. Siamo nel Far West, mettiamocelo in testa, la parte dei Cappello spara. Gli devi dire dove devo andare, cosa devo fare, perché mi giova per forza (un’arma, ndr). Ora capisco perché i cristiani cambiano famiglia, non possiamo dargli niente, né soldi né armi”.

La pista calabrese: “In dieci giorni arriva una pistola”

Mentre dal carcere non arrivano rassicurazioni, il giovane Ercolano cerca un aiuto dalle persone di fiducia. Ancora una volta l’interlocutore è Davide Finocchiaro. “Là sotto – dice Ercolano parlando dei Cappello – hanno armi da guerra per davvero. In discoteca non camminano con il 9×21, camminano con la mini-uzi, con la mitraglietta. Non ci possiamo litigare se non abbiamo le armi”. In un’altra circostanza lo stesso Finocchiaro mostra quelle di cui è in possesso: “Io per comprarmi queste sai cosa mi sono venduto?”, chiede. La risposta arriva dalla moglie che assiste alla conversazione: “L’Sh 350, l’ultimo”.

Finocchiaro dà informazioni sui prezzi: per una pistola mitragliatrice servono almeno 1.300 euro, mentre le cifre si abbassano per armi meno potenti. “Quanto vuole per questa?”, domanda il 20enne. L’altro gli fa presente che non ne vale la pena: “Che devi fare con questa? Con questa devi spararglieli tutti quanti in testa. All’epoca gliel’ho pagata 300 euro”. Il fornitore, stando a quanto afferma Finocchiaro, arriverebbe dalla Calabria: “Entro dieci-dodici giorni è qua”, assicura. E così, mentre il giovane Ercolano valuta con i propri sodali di investire il denaro utile a comprare almeno tre pistole, a mostrare apprezzamento verso le armi è anche la moglie di Finocchiaro: “Per Capodanno voglio fare il botto. Sbrogliale, se sono sotterrate”, fa presente la donna.

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