“Sappiamo quando uno va a mangiare al bar e anche dove va a dormire, la cosa più importante è la vita. Che senso ha se uno viene ammazzato?”. È con questa minaccia che i referenti di una ditta di facchinaggio hanno cercato di indurre a più miti consigli uno dei dirigenti della Brt – l’ex Bartolini – dopo che l’azienda leader nel settore delle spedizioni, che da fine 2022 è in amministrazione giudiziaria, aveva comunicato la decisione di interrompere il servizio per criticità di natura legale.
Poco meno di un anno dopo, sono quasi tutti finiti in carcere per decisione della gip del tribunale di Catania, Marina Rizza, ma soprattutto grazie alla scelta del dirigente di denunciare la tentata estorsione.
Tentata estorsione alla Brt, la ditta mafiosa
Nonostante nessuno di loro figuri tra i soci o gli amministratori della Gifra srl, Filippo Intelisano, Luigi Calabretta, Francesco Coppola e Virgilio Papotto si muovevano dimostrando di avere particolarmente a cuore le sorti del rapporto con la Brt, società per cui per tanto tempo la Gifra si è occupata del servizio di facchinaggio.
Per gli inquirenti, il motivo è semplice: Intelisano – tanto Filippo quanto il padre Giuseppe, 67anni, attualmente in carcere per scontare un ergastolo per plurime condanne, tra cui quella per associazione mafiosa a causa dell’appartenenza alla famiglia Santapaola-Ercolano – e gli altri, tra loro tutti parenti, erano i soci di fatto della Gifra. Un fatto questo che ha portato la giudice a parlare di “impresa mafiosa”.
La storia
Tutto ha inizio a inizio della scorsa estate, quando i vertici della Brt, dopo avere appreso del mancato superamento della procedura di compliance attivata per stabilire se la Gifra fosse esente da ombre legate alla criminalità organizzata, decidono di revocare la commessa e affidarla a un’altra società.
È il 25 giugno quando il dirigente, in visita nella filiale di Belpasso della Brt, viene avvicinato da Calabretta e Coppola – dipendenti di Gifra – con la scusa di offrirgli un caffè. I tre salgono nell’auto ma non vanno al bar, bensì a casa di Filippo Intelisano.
“Entrato all’interno dell’abitazione – ha raccontato il dirigente una settimana dopo negli uffici della Squadra Mobile – venivo accolto da un soggetto che si presentava come Filippo Intelisano, da me mai incontrato prima di allora. Subito mi diceva di lasciare il cellulare all’ingresso e dopo mi faceva accomodare in cucina”.
Fatti gli onori di casa, Intelisano avrebbe chiesto esplicitamente al dirigente di trovare un modo per far sì che Gifra non venisse estromessa dalle attività gestite dalla Brt: “Sarebbe stata guerra. Avrebbero messo in atto delle ritorsioni colpendo i singoli corrieri privati con la sparizione di mezzi o l’eventuale incendio degli stessi”, si legge nel verbale in cui è stata raccolta la denuncia della tentata estorsione.
A tali avvertimenti, che la settimana prima erano stati preceduti da un tentativo di bloccare le attività aziendali poi rientrato soltanto in seguito all’intervento della Digos, Intelisano aveva aggiunto una riflessione: “Mi riferiva che loro erano più forti e numerosi delle forze dell’ordine: ‘Non ci stanchiamo e non dimentichiamo‘”.
La possibilità di usare altre imprese
Nelle carte dell’inchiesta, che è andata avanti fino all’inizio dell’anno raccogliendo ulteriori elementi anche relativi a minacce a un altro responsabile locale della Brt, si fa riferimento anche alla presunta possibilità per il gruppo di celarsi dietro altre imprese.
“Mi chiedeva di intercedere con la sede centrale per fargli avere degli appalti sulle province di Messina, Ragusa e Siracusa. Al mio diniego mi chiedeva che per lui sarebbe andato anche bene lavorare in altre regioni di Italia ed eventualmente sarebbe stato disponibile anche a eseguire trasporti a lunga percorrenza con autotreni – ha messo a verbale il dirigente –. Mi riferiva, altresì, che non avrebbe avuto problemi a presentare, per tali lavori, ditte pulite in grado di poter lavorare anche con lo Stato”.
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