Terremoto, la prevenzione resta semisconosciuta - QdS

Terremoto, la prevenzione resta semisconosciuta

redazione

Terremoto, la prevenzione resta semisconosciuta

Vittorio Sangiorgi  |
martedì 10 Gennaio 2023

Dal sisma di 55 anni fa nel Belice a quelli più recenti del Centro Italia, si continuano a sottovalutare i pericoli: solo il 5% delle abitazioni ha attiva una polizza, meno del 2% nel Mezzogiorno

Il mese di gennaio, in Sicilia, riporta alla memoria due degli eventi sismici più distruttivi che abbiano mai colpito l’isola. Sebbene si siano verificati in epoche storiche distanti ed abbiano avuto caratteristiche geologiche profondamente diverse, i terremoti della Val di Noto (11 gennaio 1693) e quello del Belice (14-25 gennaio 1968) possono essere accomunati non soltanto per la vicinanza temporale dei loro anniversari e per gli esiti tragici che ebbero, ma anche per la forte valenza simbolica che hanno avuto e che, soprattutto, dovrebbero avere in ottica futura. Perché, ne siamo fermamente convinti, certe ricorrenze non possono ridursi al ricordo delle vittime e dei lutti, ma devono spronare tutti – dai vertici istituzionali ai cittadini – a farsi trovare pronti “domani”, ad agire rapidamente e con efficacia al fine di ridurre ai minimi termini le tragiche conseguenze di ineluttabili catastrofi naturali come i sismi.

Un argomento che il Quotidiano di Sicilia approfondisce – periodicamente – da anni nella consapevolezza che il territorio italiano e quello siciliano in particolare, sono tra quelli maggiormente esposti su scala globale al rischio terremoti. Tanti sono, infatti, i fattori che concorrono alle insidie sismiche. Guardando alla Sicilia, ad esempio, diversi eventi “tettonici”, è la storia a dirlo, sono stati causati dalla collisione tra la placca africana (a Sud) e quella euro-asiatica (a Nord), responsabile di tre grandi terremoti. Si tratta di quello di Messina (28 dicembre 1908, magnitudo 7.1) che rase al suolo la città peloritana e si riverberò anche su Reggio Calabria e Catanzaro causando oltre 300 mila vittime, quello già citato del Belice (6.4 di magnitudo) che costò la vita ad almeno 352 persone e che causò 100 mila sfollati e quello di Santa Lucia (13 dicembre 1990, 5.6 di magnitudo) che colpì la Sicilia centrorientale, con un doloroso tributo di 18 vittime, 300 feriti e 15 mila sfollati.

Quello appena elencato, insieme ad altri fattori di rischio di cui parleremo, rendono evidente che la nostra regione – come ha recentemente ricordato Carmelo Monaco, professore del dipartimento di Scienze biologiche geologiche e ambientali dell’Università di Catania, – si trova “al centro di importanti processi vulcano-tettonici attivi tra i più distruttivi del Mediterraneo”. Nel calcolo dei rischi, infatti, vanno compresi anche i numerosi vulcani presenti sull’isola, il pericolo connesso di maremoti e la forte antropizzazione dei territori ed in particolare delle coste. Questa lunga premessa consente di capire quanto reale e concreto sia l’opportunità che, in futuro, l’isola – specialmente nell’area sudorientale – venga colpita da un sisma di notevole entità e potenzialmente distruttivo in assenza di un’adeguata politica della prevenzione.

Un tema, lo ribadiamo, affrontato più volte dal nostro quotidiano, anche grazie al valido contributo di esperti e addetti ai lavori, come Fabio Tortorici, geologo del consiglio nazionale che – qualche mese fa – aveva detto ai nostri microfoni: “Senza volere creare allarmismo, le statistiche e gli studi condotti dagli scienziati suggeriscono che nella Sicilia sud-orientale è atteso un big one, cioè un terremoto catastrofico affine a quello che nel 1693 rase al suolo oltre 45 centri abitati e registrò oltre 60 mila vittime”. Chiaramente è pressocché impossibile fare previsioni esatte su data e localizzazione di simili eventi, ed ecco che la priorità diventa quindi quella di farsi trovare pronti. Come? “Educando” la popolazione ai rischi che si corrono, agli accorgimenti per mitigarli, ai comportamenti da attuare nell’immediatezza e nelle fasi successive al sisma, ma anche predisponendo adeguati piani d’azione per ciò che concerne la ricostruzione, vero e proprio tallone d’Achille per il nostro paese.

Il flop del “sismabonus”

Ma andiamo con ordine e partiamo, per rendere l’idea, da quello che è stato definito flop sismabonus, dato che tale agevolazione è stata infinitamente meno richiesta rispetto ai “parenti nobili” superbonus 110 e bonus facciate. Un’occasione persa, al netto delle difficoltà tecniche e burocratiche che però hanno riguardato anche le altre agevolazioni, probabilmente perché manca la percezione di quanto sia importante l’ammodernamento antisismico di abitazioni ed edifici vari. La condizione di partenza, dunque, non è delle migliori visto che la maggior parte degli immobili italiani è al di sotto degli standard di sicurezza in ottica terremoti.

Un altro aspetto deficitario è quello inerente alle assicurazioni antisismiche e, più in generale, contro le catastrofi naturali. A fotografare lo stato dell’arte è l’Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicurative) attraverso rapporti e analisi annuali. In particolare, spulciando i numeri del Trends Focus antincendi emergono diversi dati emblematici. Al 31 marzo 2022 le polizze attive sugli immobili civili sono 11,9 milioni (in leggero aumento del 5,9 % e del 14% rispetto alle rilevazioni degli anni 2020 e 2021). Di queste lo 44.557 (0,4%) riguardano solo il rischio terremoto e ulteriori 97.462 (0,8%) coprono i danni da sisma e alluvione.

Altre risultanze degne di nota sono quelle inerenti alle polizze aventi estensione per le catastrofi naturali, che sono soltanto l’11,3% del totale ovvero 1,4 milioni. Di queste 579.337 (4,9%) coprono solo il rischio terremoto e altre 495.801 (4,2%) tutelano chi le ha stipulate da sismi e alluvioni. La riduzione di incidenza di entrambe rispetto all’anno precedente è data dall’aumento delle polizze totali sottoscritte ma – sottolinea l’Ania in merito alle polizze con l’estensione già menzionata – “la percentuale risulta comunque più che raddoppiata rispetto a settembre del 2016, quando era pari a 5,1%”.

Analizzando ancor più nel dettaglio i singoli dati emerge che “rispetto a quanto rilevato a marzo 2020 le polizze che presentano la copertura del solo rischio terremoto sono diminuite del 12,5% a favore di quelle che hanno la copertura per entrambi i rischi alluvione e terremoto (+57,8%). Un impulso sembrerebbe arrivare anche dalla legge n. 205/2017 che ha previsto, dall’anno 2018, delle agevolazioni fiscali per tutti coloro che stipulano tali coperture per la propria abitazione.

Calcolando soltanto le polizze con estensione alle calamità naturali sottoscritte a partire dal 2018 fino a marzo 2022, si osserva che queste rappresentano circa il 77% delle polizze attive (1,4 milioni). È chiaro, però, che si tratta soltanto di piccoli miglioramenti e che quindi sono necessari ulteriori stimoli di questa natura. Chiudendo il cerchio in totale “si stima che il numero di unità abitative assicurate contro i rischi catastrofali al 31 marzo 2022 sia pari a 1,5 milioni (erano circa 1,6 nel 2021, 1,4 milioni nel 2020, poco meno di un milione nel 2019 ma solo 600 mila nel 2016).

Rapportando questo numero al totale delle abitazioni censite da Istat (31,2 milioni) risulterebbe una penetrazione assicurativa, tuttavia, ancora contenuta e pari al 4,9%, appena in lieve diminuzione rispetto al 5,1% del 2021, ma superiore al 4,5% del 2020, al 3,2% del 2019 e soprattutto al 2,0% del 2016.

Decisamente più sconfortante il bilancio di questi dati al Sud e in Sicilia, dove i valori percentuali scendono decisamente rispetto alle medie nazionali. Nel Meridione, infatti, la percentuale di abitazioni assicurate contro le calamità naturali è pari al 1,6% a fronte del 4,9% nazionale e del 6,2% del Nord. Tra le province meno “sensibili” alla sottoscrizione di questo tipo di polizze troviamo, inevitabilmente, quelle del Mezzogiorno. Se città come Firenze, Trento e Brescia raggiungono la doppia cifra (10%), Catania resta ferma nella forbice del 3-4%. Non va meglio a Messina e Palermo, dove il valore è pari all’1-2%, addirittura vicine allo zero le province di Enna e Caltanissetta. Guardando ad altre regioni emergono i dati di province come Avellino e Salerno (3-4%) o l’Aquila (1-2%), aree queste colpite da devastanti sismi in epoche relativamente recenti.

Insomma, da queste parti è ancora forte l’idea che sarà poi lo Stato ad intervenire e a “metterci una pezza”, nonostante ciò che hanno raccontato decenni di storia italiana. Questo il quadro relativo agli aspetti di carattere materiale, ma ovviamente simili calamità portano con sé soprattutto un tributo di vite umane, la cui entità può essere ridotta e mitigata applicando i giusti accorgimenti, attuando determinati protocolli e trasferendo adeguati modelli di comportamento alla popolazione. Concetti, questi, che possono essere condensati in maniera armonica ed efficace dai piani di Protezione Civile. Strumenti fondamentali, soprattutto a livello locale, perché tarati su esigenze e specificità dei territori di riferimento. Le varie Amministrazioni comunali hanno il compito di redigere ed aggiornare periodicamente tali piani, oltre che potenziare la comunicazione ai loro cittadini e programmare esercitazioni. Purtroppo, però, in molti casi il percorso virtuoso appena descritto resta una chimera.

Infatti, come recentemente denunciato dallo stesso ministro della Protezione civile Nello Musumeci, “sono un migliaio i Comuni italiani che non si sono ancora dotati di un piano comunale di Protezione civile”. I motivi sono molteplici e, spesso, non hanno a che fare con mancanze ed errori da parte degli amministratori, ma sono invece determinati dall’assenza di risorse. Insomma, questa fondamentale realtà va potenziata e supportata con interventi strutturali e di lunga durata. Un punto che sembra essere “segnato in rosso” sull’agenda dell’ex governatore siciliano. Vedremo prossimamente se i buoni propositi diverranno realtà. È chiaro, in conclusione, quanto siano importanti la consapevolezza dei rischi e l’assunzione di responsabilità da parte di tutti, nessuno escluso. Dal singolo amministratore “all’ultimo” cittadino, ognuno deve fare la sua parte. Altrimenti si rischia, come da triste “tradizione” italiana, di attendere inermi la prossima tragedia, di piangere lacrime amare e di giurare e spergiurare che da quel momento cambierà, salvo poi lasciare tutto immutato.  

“Dotare l’Italia di un sistema misto di gestione dei rischi catastrofali”

Sul tema assicurazioni antisismiche vogliamo proporre un ulteriore spunto di riflessione, sviluppato già nell’editoriale dello scorso 12 novembre dal nostro direttore, Carlo Alberto Tregua. Analizzando, appunto, la storia dei più gravi terremoti italiani e della mancata o deficitaria ricostruzione, determinata oltre che dalla tentacolare burocrazia tricolore (superabile con adeguati interventi normativi) dall’assenza di risorse, il direttore proponeva questa idea: “Lo stato assicuri il territorio con le migliori compagnie del mondo, tra cui i Loyd’s di Londra. Siamo convinti che pagare i premi, ma sapendo che qualunque evento straordinario come i terremoti non avrà conseguenze sul piano materiale, sarebbe un grave conforto non solo per i governanti ma anche per la popolazione”.

Una strategia adottata da tempo in nazioni altrettanto esposte ai rischi naturali come Giappone, Spagna, Francia e Stati Uniti. In queste realtà – si legge nel già citato rapporto Ania – “al di là delle differenze legate alle singole specificità nazionali, questi sistemi hanno in comune la partecipazione congiunta del settore assicurativo privato, e a vario titolo, dello Stato, e l’impiego di meccanismi che facilitano la mutualizzazione dei rischi attraverso l’aumento della platea di assicurati”. Dei modelli virtuosi, dunque, esistono e ciò che serve probabilmente è creare una cultura della prevenzione, superando quella “forma mentis” ahinoi tutta italiana che prevede di agire solo a cose fatte. Un tema, questo, sul quale ci sembra opportuno che lo stato lavori, anche per vagliare le migliori soluzioni possibili. Un tema su cui abbiamo chiesto il parere di esperti ed addetti ai lavori, come il presidente della Società italiana di geologia italiana Antonello Fiore e il commissario straordinario per la ricostruzione post sisma di Santo Stefano Salvatore Scalia, nelle interviste che potete leggere qui a fianco.

A tal proposito citiamo anche un passaggio della relazione di luglio di Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania, che in occasione dell’assemblea 2022 dell’associazione ha affrontato anche questo argomento: “È evidente che occorre dotare l’Italia di un sistema misto di gestione dei rischi catastrofali, in analogia con quanto si riscontra all’estero, in modo da accrescere la resilienza di cittadini e imprese di fronte a eventi avversi in fortissimo aumento”.

Certo, tante sono le variabili da considerare non solo dal punto di vista culturale ma anche concreto ed effettivo, come evidenziato dalla docente Donatella Porrini, professore associato di Politica economica presso il dipartimento di Scienze dell’economia dell’Università del Salento. La docente, nell’ambito del volume “Rischio sismico in Italia: analisi e prospettive per una prevenzione efficace in un Paese fragile” edito da Sigea, citava l’impossibilità di applicare tali assicurazioni agli edifici anche parzialmente abusivi. Una questione da tenere in contro, soprattutto alla luce delle statistiche fornite dall’Istat. È evidente che il percorso non è semplice e che esistono pro e contro, ma tuttavia questa ci sembra una strada da seguire nel tentativo di cambiare rotta per evitare che, anche in futuro, si riveda una storia già scritta che si ripete, praticamente allo stesso modo, nonostante cambino i luoghi e i tempi.

Antonello Fiore, presidente della Società italiana di geologia ambientale

Antonello Fiore, presidente della Società italiana di geologia ambientale

“Sì alle assicurazioni come in altri Paesi, ma non sia un diversivo per non fare le opere”

Il Quotidiano di Sicilia ha intervistato Antonello Fiore, presidente nazionale della Società italiana geologia ambientale (Sigea), per affrontare le questioni più significative legate al rischio sismico nel nostro paese, alla cultura ed alla politica della prevenzione.

Presidente, quanto è grave il rischio terremoti in Italia e in Sicilia?  
“La Sicilia come tutta l’Italia è interessata dal rischio sismico, per caratteristiche intrinseche del territorio, per caratteristiche naturali che devono essere analizzate. Questa analisi è stata fatta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che ha redatto una mappa della pericolosità sismica, mappa che è in fase di aggiornamento ormai da diversi anni. In funzione delle sue indicazioni sulle caratteristiche dei territori e dei sismi che si possono verificare, vengono costruiti gli edifici. Uno dei problemi più seri nel nostro paese, da questo punto di vista, è che l’aggiornamento normativo è stato fatto quasi sempre a seguito degli eventi sismici. Vale a dire che, quando si verificava un terremoto, si andavano ad aggiornare la norma e il grado di sismicità. Ciò comporta il fatto che possiamo ‘dare fiducia’ a ciò che è stato progettato, realizzato ed autorizzato dopo gli aggiornamenti. Ma tutto il costruito progresso deve essere verificato. In questo processo di verifica bisogna dare priorità agli edifici pubblici o aperti al pubblico e poi alle strutture private”.  

Qual è la situazione del nostro paese sul tema della prevenzione? 
“Ci sono due aspetti da analizzare. Il primo riguarda la gestione del Paese e quindi l’attività di Governo, Parlamento ed Enti locali. Questi hanno il compito di individuare i fondi per la messa in sicurezza del territorio. Un altro aspetto riguarda, invece, noi cittadini e chiama in causa quella sensibilità e quella conoscenza che dobbiamo avere. Serve la consapevolezza dei rischi che corriamo e, quindi, chiedere a chi ci amministra che tutto sia fatto a regola d’arte, secondo criteri precisi e affidabili. Si tratta di un processo virtuoso che riguarda chi progetta, chi realizza, chi collauda e chi – infine – dà le necessarie autorizzazioni. Tutto parte, lo ribadisco, dalla consapevolezza dei cittadini, ed è per questo che da anni ci battiamo per l’educazione ambientale e per far sì che nella popolazione ci sia la percezione del pericolo e la capacità di auto-protezione. Ovviamente questo concetto non vale solo per i terremoti ma anche per frane, alluvioni e via discorrendo”.  

Quanto sarebbe importante il contributo di figure professionali, come quelle dei geologi, negli uffici pubblici che gestiscono edilizia ed urbanistica?  
“È fondamentale potenziare gli uffici tecnici comunali, regionali o preposti ai controlli con personale qualificato. Serve un cambio generazionale negli uffici pubblici, favorendo l’ingresso di ingegneri e geologi, o anche degli agronomi per quanto riguarda la gestione del territorio. Cito, a tal proposito, un documento della Corte dei Conti risalente allo scorso anno relativo al ritardo italiano sul dissesto idrogeologico. Tale documento, tra le altre cose, evidenziava che occorrono in media cinque anni per realizzare un progetto. È evidente che soprattutto i piccoli Comuni non hanno strutture e risorse adeguate per agire celermente. Serve, quindi, una catena di controllo e se questa è delegata agli Enti locali bisogna potenziarli adeguatamente. Non si tratta di un’eccessiva burocratizzazione, ma di un sistema efficace che garantisca tutti gli standard di sicurezza e quindi la realizzazione di edifici e strutture a regola d’arte. Ritengo si possa affidare questo compito ad un ente sovra territoriale che non sia influenzabile e che possa esprimere il proprio parere, verificando ed eventualmente migliorando gli interventi e i progetti”.  

La ricostruzione post sisma, in Italia, è sempre stato un processo complicato, andato spesso a rilento e che – in alcuni casi – non è mai stato completato. Potrebbe essere reso più rapido ed efficace se lo stato decidesse di assicurare il patrimonio immobiliare?  
“Sì, potrebbe anche essere una soluzione ma non deve diventare un diversivo alla corretta realizzazione delle opere o alla messa in sicurezza del territorio. Inoltre bisognerà capire quali saranno i premi stabiliti dalle compagnie assicurative e come valuteranno i vari edifici. Altro aspetto importante è quello legato a quanto dovrebbe corrispondere lo stato e quanto i soggetti privati a seconda delle varie tipologie di infrastrutture. Non credo sia il caso di rendere questo passaggio obbligatorio, soprattutto se pensiamo alle resistenze che ha incontrato il fascicolo del fabbricato di cui si parla da anni, verrebbe percepito come una nuova tassa. Potrebbe essere, invece, un’opzione facoltativa che dà diritto ad alcune premialità. Sarebbe, è evidente, un vantaggio anche per le compagnie assicurative perché è ovvio che certi eventi non si verificano contemporaneamente su tutto il territorio nazionale. Realtà simili esistono in altri paesi (Francia, Giappone, Stati Uniti), bisogna valutarne la fattibilità in Italia; al momento è poco utilizzato perché lo Stato ha sempre coperto i costi della ricostruzione e anche perché siamo un popolo di fatalisti. È importante, lo ribadisco, che non sia un diversivo ad altri interventi indispensabili di prevenzione, anzi incentivi la prevenzione e la consapevolezza dei pericoli territoriali di dove abbiamo costruito o acquistato la nostra casa”.  

Il ministro Musumeci ha sottolineato che molti Comuni non hanno un piano di Protezione civile. Quanto è importante questo strumento?  
“È importantissimo, aggiungo che non soltanto i Comuni devono dotarsi di questi piani, ma devono altresì aggiornarli periodicamente e far sì che vengano recepiti dalla popolazione. I cittadini devono conoscere il piano e devono sapere come comportarsi, quali pericoli corrono. Bene ha fatto il ministro Musumeci a sollevare la questione. I dati relativi al monitoraggio del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile dicono che sono ancora troppi i comuni Italiani a non essere dotati del Piano di Protezione Civile e in particolare in Sicilia sono circa il 50%. È fondamentale che ci sia un’accelerata sostanzialmente da parte di ogni Comune sia in termini di predisposizione che di aggiornamento di questo fondamentale strumento di prevenzione dei rischi naturali”. 

Il Commissario straordinario Salvatore Scalia

Sisma di Santo Stefano, il commissario Scalia: “Comuni non in grado di evadere rapidamente le istanze”

ZAFFERANA ETNEA (CT) – La ricostruzione post sisma, lo abbiamo detto, è quasi sempre un tasto dolente. Salvo rare eccezioni, infatti, questo processo non è mai del tutto stato ultimato nelle aree italiane colpite da terremoti sin dagli albori del secolo scorso. Per fare il punto della situazione sulla ricostruzione nelle cittadine del catanese colpite dalle scosse del 26 dicembre 2018, abbiamo raggiunto il Commissario straordinario Salvatore Scalia. 

Commissario, come procede la ricostruzione? 
“Abbiamo anzitutto fatto una ricognizione degli immobili colpiti dal sisma, perché è una cosa fondamentale. Il dato di base era diverso da quello reale, perché è stato fatto nell’immediatezza dagli equipaggi della Protezione civile che sono intervenuti ed aveva, ovviamente, carattere generico. Per circa la metà degli edifici è già stata evasa l’istanza, la realtà è che molte istanze sono state presentate da poco tempo ed è in corso la loro valutazione. L’86% delle istanze totali, infatti, sta al momento ‘transitando’ dai Comuni. Quest’ultimi, inoltre, trovano molte difficoltà a risolvere le problematiche connesse alle lievi difformità esistenti tra l’edifico com’era previsto e com’è stato effettivamente realizzato. Abbiamo chiesto più volte che, anche per noi, fosse applicata una legge che ha molto facilitato il superamento di questi problemi ma ancora non è stato fatto. Ne riparlerò con il ministro Musumeci che dovrebbe incontrare la struttura a breve. In sintesi una buona parte delle istanze presentate sono state adottate e, soprattutto i danni di lieve momento, già riparati. Per gli edifici per i quali, nonostante il danno non è stata presentata istanza, si adotterà una nuova ordinanza non appena la figura del commissario verrà confermata (cosa che dovrebbe entro 15 giorni circa, nda). Tale ordinanza, che sarà l’ultima, consentirà ai ritardatari di presentare istanza entro il mese di giugno, dopo non ci saranno ulteriori rinvii. Sulla ricostruzione privata, quella cioè più attardata il problema è proprio questo. Andando a fondo della questione i nostri veri ‘nemici’ sono stati due. Uno il Covid, che ha bloccato tutto a lungo, tanto che il personale nei Comuni finanziato dal Commissario è stato assunto previo concorso ne 2021. Fino ad allora, quindi, si potevano evadere solo le istanze più semplici. Il secondo problema, anche se sembra incredibile, è stata la coincidenza con il sismabonus che ha assorbito la quasi totalità delle forze di ingeneri ed imprese. Questi si sono dedicati a tale agevolazione, molto più remunerativa di quanto non sia la ricostruzione. In seguito alle evoluzioni sul bonus adesso la situazione sta cambiando, ma sussiste ancora una discrasia tra il numero di istanze già evase e il numero degli immobili riparati, che dà una cattiva immagine della ricostruzione. Per quanto riguarda, infine, la ricostruzione pubblica ed ecclesiastica è stata tutta finanziata e si attendono soltanto gli adempimenti burocratici connessi alla normativa per gli appalti. Inoltre, in tempi brevi, sono stati risarciti tutti i danni subiti dai privati ai mobili e quelli subiti dalle strutture delle imprese”. 

Il 2023 può davvero essere l’anno decisivo per la ricostruzione? 
“Molto dipenderà dalla disponibilità degli ingeneri privati di fare bene e concludere tutti i progetti presentati perché molti, forse a causa della fretta, non sono a norma e dalle imprese che eseguiranno i lavori. Poi senz’altro, qualora fossi confermato come Commissario, bisognerà trovare una soluzione al fatto che i Comuni, nonostante l’alto numero di personale da noi finanziato e da loro assunto, non sono in grado di evadere rapidamente tutte le istanze. Delle circa 400 istanze pendenti come si diceva prima, l’86% è ai Comuni e il 10% circa è in carico a Sovrintendenza, Genio civile e Parco dell’Etna. Dovremo trovare una soluzione normativa per rendere più celere il lavoro delle Amministrazioni locali, perché non si tratta di ‘cattiva volontà’”. 

Come valuta l’ipotesi che lo stato stipuli polizze con le grandi compagnie assicurative per tutelare il territorio e il patrimonio immobiliare? Può velocizzare il processo di ricostruzione? 
“Non la vedo positivamente perché, guardando alla realtà di cui mi occupo, rilevo che – nel caso della chiesa di Fleri che era assicurata allo stato – la ricostruzione non è partita. E poi si tratta di un onore tanto ingente per lo stato che, al massimo, si possono avere una serie di accordi alle compagnie assicuratrici che potrebbero offrire, a quanti lo volessero, contratti più favorevoli. Inoltre è stata già inoltrata una proposta per una normativa in tema di sismi che sia sempre valida e che consenta di intervenire immediatamente. Mentre invece, come avvenuto nel nostro ed in altri casi, l’attesa di una norma specifica per il singolo terremoto dilata i tempi. Io, ad esempio, sono stato nominato un anno dopo l’evento”.   

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