Sashimi, uramaki, nigiri e poi poke. Sono alcune delle parole che ormai da diversi anni sono entrate a far parte del lessico quotidiano di larga parte della popolazione occidentale, siciliani compresi. L’apertura del mercato gastronomico al pesce crudo, un tempo esclusiva o quasi dell’Estremo Oriente, negli ultimi decenni ha cambiato non solo le abitudini culinarie ma, di riflesso, inciso anche nell’economia. L’offerta di ristoranti che puntano la propria proposta sul sushi, magari rivisitato tenendo conto dei gusti locali, è un fenomeno in crescita. Per accorgersene, basta farsi una passeggiata nelle grandi città, ma a volte anche nei piccoli centri.
Risalendo la filiera, sono aumentati anche gli affari dei commercianti ittici e, ancora più a monte, la richiesta nei confronti dei pescatori. Per questi ultimi, tuttavia, non è possibile generalizzare le riflessioni, anzi, proprio l’aumento del consumo di sushi ha determinato cambiamenti profondi negli equilibri del settore, favorendo pochi a discapito di molti.
Tonno rosso, in passato si è temuto per la sua estinzione
Tale fenomeno emerge in maniera lampante quando si parla del tonno rosso. Noto a livello scientifico con il nome Thunnus thynnus, è la specie più ricercata al mondo. Specialmente quella che viene pescata nel Mediterraneo. Tuttavia, proprio per questa specialità, la sua cattura è regolata da un sistema di norme particolarmente stringenti, ma che al contempo – come sempre accade in questi casi – negli anni ha dato vita a polemiche e anche scandali riguardanti i casi, non pochi, in cui le regole vengono piegate sconfinando nell’illegalità. Ciò che si deve sapere quando si parla di tonno rosso è innanzitutto il fatto che negli anni Novanta, dopo decenni in cui l’industria ittica aveva lavorato in maniera massiva, gli esperti hanno seriamente temuto per la sua estinzione. È a partire dalla metà del decennio e con i primi anni Duemila che a livello internazionale vengono stilate dei protocolli per disciplinare la pesca al tonno rosso. All’epoca si è partiti da un principio: per tutelare la permanenza della specie non era più pensabile lasciare al mercato la possibilità di stabilire quanti esemplari pescare. Serviva mettere un tetto e, di conseguenza, stabilire anche chi e come potesse ambire a tirare a bordo i tonni.
Nasce così il sistema delle quote, ideato innanzitutto dall’International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas (Iccat), e cui l’Unione europea si è rapportata gestendo la ripartizione degli stock che ogni Paese membro che si affaccia sul mare può ambire. A propria volta sono stati i singoli Stati a stabilire come distribuire, all’interno del proprio mercato nazionale, la quota. Di pari passo sono stati creati i sistemi di controllo, con l’istituzione di due figure – osservatori di Iccat che operano su macro-aree e altri invece incaricati dai singoli Stati – che hanno il compito di monitorare ciò che avviene a bordo dei pescherecci, tenendo traccia del numero di tonni pescati ma anche delle loro dimensioni. Perché ciò che non bisogna superare è il peso complessivo autorizzato a inizio stagione.
Come avviene la pesca del tonno rosso
La pesca al tonno rosso, se si esclude quella “sportiva” che occupa una parte residuale, avviene sostanzialmente con tre tecniche diverse: la circuizione, ovvero l’utilizzo di gigantesche reti in cui i banchi di tonni rimangono imprigionati e che prevede il successivo trasferimento in gabbie; il palangaro, uno strumento che si caratterizza per l’utilizzo di migliaia di ami e di altrettante esche; e infine le tonnare fisse, un tempo simbolo della pesca al tonno con la cosiddetta mattanza e oggi invece scivolate in secondo piano. Dal punto di vista del mercato, mentre i tonni pescati con il palangaro o la tonnara sono diretti alle rivendite cittadine, al dettaglio o all’ingrosso, per quelli catturati con la circuizione il passaggio successivo è l’ingrasso nelle cosiddette farm, centri di allevamento in mare.
Attualmente le farm sono diffuse soprattutto in Spagna e a Malta. È lì che i pescherecci che operano nel Mediterraneo, compresi quelli italiani, portano gli esemplari. Le aziende che gestiscono le farm si occupano di allevare i tonni, facendo aumentare la massa grassa dei pesci fino a rispondere alla domanda che arriva dall’Estremo Oriente. Sono infatti i mercati asiatici, su tutti quello giapponese, i principali clienti delle farm. A operare sono i giganti del settore, come Mitsubishi, che compra a prezzi elevati i tonni del Mediterraneo per poi riuscire a venderli a cifre da capogiro nelle aste che ogni giorno si organizzano nei grandi mercati ittici, come quello di Tokyo.
La conseguenza di un sistema di questo tipo è chiara e un po’ grottesca: difficilmente, quando ci sediamo in un ristorante giapponese in Sicilia, quello che prenderemo con le bacchette sarà un tonno rosso pescato nel Mediterraneo. Con il sistema delle quote, e dunque ponendo un tetto alla pesca al tonno, gli stock ittici presenti nei mari – non solo il Mediterraneo – negli ultimi anni hanno registrato una crescita, che ha portato Iccat ad aumentare i contingenti a disposizione dei singoli Stati.
Nella stagione 2025, da poco chiusa, l’Italia ha avuto a disposizione 5.283 tonnellate, delle quali 3.646 per la circuizione, quasi 700 per il palangaro e più di 415 destinate alle tonnare fisse. Già i numeri testimoniano il ruolo centrale della circuizione nell’attuale industria ittica. Nel nostro Paese sono 19 i pescherecci che hanno accesso a questa particolare quota, la maggior parte dei quali di proprietà di società campane e siciliane. In alcuni casi le stesse aziende hanno più pescherecci. Uno scenario che di fatto descrive un oligopolio che negli anni si è rafforzato: anche quando l’Iccat ha autorizzato ad aumentare i contingenti spettanti ai singoli Stati, il governo italiano ha deciso non di ampliare il mercato ma di distribuire l’ulteriore quota a chi già ne era in possesso. La motivazione ufficiale è quella di rafforzare l’industrializzazione del settore. A fronte di ciò, però, non mancano le storture e gli episodi che mettono in discussione l’intero approccio delle istituzioni italiane. In molti casi queste vicende si intrecciano con questioni che hanno anche risvolti giudiziari.
Il più eclatante è emerso nei mesi scorsi. A maggio, il tribunale di Caltanissetta ha disposto il sequestro di beni per Emanuele Catania, noto imprenditore del settore ittico che con i propri fratelli si è affermato a partire dagli anni Ottanta. Tale crescita, però, è stata possibile grazie anche al rapporto con Cosa Nostra. Di contatti tra Catania gli uomini del clan Rinzivillo, una delle famiglie che storicamente sono legate a Gela, hanno parlato già a inizio anni Duemila diversi collaboratori di giustizia. Catania è stato più volte indagato – in un caso l’accusa di intestazione fittizia di beni nell’interesse dei Rinzivillo è caduta soltanto perché i fatti imputati risalivano a un periodo in cui in Italia non esisteva ancora la legge che ha introdotto il reato – ma per arrivare a una condanna definitiva si è dovuto attendere il 2023. Da quel momento, l’uomo è stato dichiarato un esponente della cosca Rinzivillo, nel ruolo di braccio imprenditoriale della famiglia. Il nome di Emanuele Catania è legato a doppio filo alla società Azzurrapesca, proprietaria del peschereccio Angelo Catania. Quest’ultimo da anni è l’imbarcazione con la quota più grande in Italia: oltre 319 tonnellate.
Il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste (Masaf), responsabile anche per la pesca, ha confermato la quota della Angelo Catania anche nelle stagioni 2024 e 2025, quando Emanuele Catania era già condannato definitivamente. Ciò è stato possibile grazie a un semplice passaggio di consegne tra l’uomo e i più stretti parenti: la figlia, il genere e il nipote sono entrati a far parte del consiglio d’amministrazione.
La storia della Angelo Catania non è però l’unica in cui emergono ombre nella gestione della pesca al tonno. Sono tante, infatti, le testimonianze riguardanti il mancato rispetto dei limiti delle quote. In alcuni casi le accuse hanno riguardato anche i titolari delle farm: a Malta un’inchiesta giudiziaria ha acceso i riflettori sul presunto raggiro che, qualche anno fa, avrebbe consentito ai proprietari di un importante allevamento in mare di ricevere molti più esemplari di quelli previsti, grazie – secondo gli inquirenti – a false dichiarazioni rispetto all’aumento di peso dei pesci all’interno delle gabbie e che invece celerebbero l’introduzione di un numero di pesci superiore a quello consentito.
A ciò si aggiungono i problemi dal punto di vista ambientale: l’industrializzazione della pesca al tonno, a partire dalla stessa circuizione, causerebbero ingenti perdite di risorsa ittica. Esistono testimonianze di sub che, lavorando nelle fasi di cattura dei tonni, hanno assistito a vere mattanze nelle reti a circuizione che hanno portato al rilascio nei fondali di centinaia di pesci morti. Una decisione dettata dall’evitare di “consumare” la quota per esemplari ormai “inutili” sia per le farm che per i mercati cittadini.
“Ci resta solo demolire la barca”: la resa amara dei pescatori siciliani
“Stiamo cercando di trovare un modo per demolire la barca e abbandonare tutto. Ormai per noi uscire in mare è un costo e un motivo di frustrazione. Non ne vale la pena”. Ascoltando le parole di Salvatore Di Mercurio, pescatore di lungo corso del Siracusano, è difficile trovare un elemento a cui fare un nodo alla speranza. Insieme ai familiari Di Mercurio pesca da decenni nel Mediterraneo, ma rispetto al passato oggi le cose sono cambiate. “Pesce azzurro in mare sembra non essercene più, non ho idea di quale possa essere la motivazione, ma è così. Dovrebbero investire soldi per capire cosa sta succedendo ai nostri mari. Di questo passo possiamo tutti rimanere a terra, è inutile imbarcarsi”, prosegue.
Di Mercurio un tempo pescava tonno poi però la sua quota si è di fatto volatilizzata. “Pescavamo i tonni, si riusciva a lavorare. Non ci arricchivamo ma lavoravamo bene. Poi però quando hanno introdotto le quote, i requisiti che hanno imposto ci hanno spinti – racconta il pescatore – a decidere di cedere, sotto forma di affitto, la nostra quota a un’azienda più strutturata della nostra. Quest’ultima poi ha avuto problemi giudiziari e la quota è passata al ministero. Noi, nonostante le tante richieste, non siamo mai più riusciti ad averla”.
Qualche anno fa, però, è arrivata la beffa. Quando l’Iccat e l’Unione Europea si sono accorti che la presenza di tonno rosso stava tornando ad aumentare, Di Mercurio ha sperato di poter accedere al mercato. La speranza è stata presto disattesa. “Si è deciso di rafforzare le aziende che già avevano quote, lasciando fuori tutti gli altri. In questi anni abbiamo speso anche tanti soldi per intentare ricorsi alla giustizia amministrativa, ma è sempre stato tutto inutile”.
Scoprire che poi tra i titolari delle quote ci sono anche imprese riconducibili a soggetti condannati per mafia, non ha migliorato l’umore: “Che dire? Noi fatichiamo realmente ad andare avanti. Ma in questo Paese della gente perbene non sembra importare a nessuno”.
A Bruxelles delegazione delle marinerie siciliane
In questi giorni il tema della pesca è tornato centrale anche nel dibattito politico europeo. Ieri a Bruxelles una delegazione delle Marinerie siciliane è stata ricevuta dal commissario europeo alla Pesca Kosta Kadis.
“Oggi apriamo un nuovo percorso finalmente fondato sull’ascolto e sul dialogo tra i pescatori e la Commissione Europea – ha commentato Marco Falcone, vice capo delegazione di Forza Italia nel Gruppo Ppe al Parlamento europeo -. Primo di tutto vogliamo creare un nuovo approccio positivo, nel governo della pesca, fondato su un forte collegamento fra Bruxelles e le comunità locali. Quella distanza che prima era percepita come siderale oggi inizia a ridursi. Contiamo di avere i primi segnali nel nuovo Bilancio UE 28/34, dove ci saranno anche due miliardi in più per le priorità di pesca e acquacoltura al di fuori della dotazione organica, su cui lavoreremo in Parlamento”. “Mi sento molto vicino alla Sicilia, ai pescatori siciliani – così ha affermato il commissario Kadis, di origine cipriota – perché tutte le comunità del Mediterraneo sono sorelle in quanto condividono una comune identità e comuni interessi. Siamo impegnati a elaborare soluzioni sostenibili per il futuro e la resilienza della pesca siciliana. Stiamo lavorando, assieme al Commissario alla Coesione Raffaele Fitto a una nuova Strategia UE di sviluppo per le comunità costiere e isolane”.

