Un business fondato sulle discariche che avvantaggia la mafia, inquinando e gravando sulle tasche dei cittadini
PALERMO – Nell’illogicità del sistema di gestione dei rifiuti siciliano, c’è tuttavia un copione ben conosciuto che ormai, oltre alle parti, distribuisce anche i numeri: l’assenza di impiantistica, 700 mila tonnellate all’anno di rifiuti da smaltire in deficit, impone il sovraccarico delle discariche e l’esportazione (78 al giorno i Tir impegnati in Sicilia), facendo crescere l’inquinamento derivato dai trasporti, aggravando i costi (i siciliani sono tra quelli che pagano di più in Italia) e portando il sistema costantemente sull’orlo del nulla. Lo dicono due report di Ref Ricerche diffusi nei giorni scorsi che sintetizzano le gravi criticità presenti in Sicilia e che, in qualche modo, fanno da prologo a quanto si agita in acque così confuse.
Nelle larghe maglie della gestione s’infilano, infatti, gli uomini della criminalità organizzata che, in collaborazione o con la connivenza dei colletti bianchi della pubblica amministrazione, esercitano un potere occulto sul sistema, secondo quanto riportato anche nel focus sui rifiuti dell’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia relativa al primo semestre del 2019.
DEFICIT SICILIANO DI SMALTIMENTO DA 700 MILA TONNELLATE
In Sicilia “c’è un deficit a smaltimento e a recupero energetico di poco meno di 700 mila tonnellate/anno” e “da un primo sguardo appare immediatamente chiaro come i deficit impiantistici nello smaltimento e nell’avvio a recupero energetico delle tre regioni a maggiore squilibrio, Lazio Campania e Sicilia, siano essi stessi la principale causa delle tensioni e delle emergenze nella gestione dei rifiuti del Paese”. Una sintesi perfetta, contenuta nel report rifiuti numero 140 del Laboratorio Ref Ricerche, pubblicato nei giorni scorsi, che nei fatti riprende anche un dato, quelle 700 mila tonnellate annue, che era stato indicato nello Sblocca Italia come quota da assegnare ai termovalorizzatori siciliani, il cui iter, com’è noto, non è mai stato avviato e le recenti aperture del governo regionale suonano ormai del tutto scariche.
Non bastano una differenziata in crescita e l’impegno sul fronte dell’impiantistica, che peraltro risulta ancora largamente inadeguata e senza un’idea di recupero energetico e termico. Lo dicono anche gli esperti che hanno stilato il report, facendo un focus proprio sulla Sicilia come esempio di regione inadeguata a trovare soluzioni virtuose, nel nome dell’economia circolare, limitandosi a derubricare i problemi e le esigenze di un moderno sistema di gestione: “emblematico, in questo senso, è il caso della Regione siciliana – scrivono gli autori – che con uno smaltimento in discarica al 73% dei rifiuti urbani ed una raccolta differenziata ferma al 22%, ha di recente inviato al Ministero dell’Ambiente una bozza di Piano regionale di gestione dei rifiuti che non prevede la realizzazione di impianti per il recupero energetico”. Questi ultimi, tra le altre cose, sono duramente osteggiati anche dal ministro Costa. I modelli virtuosi, dotati di tutti gli impianti necessari per chiudere il ciclo, stanno da tutt’altra parte: si chiamano Lombardia ed Emilia-Romagna, nelle quali in una fase storica quasi “eccezionale” gli impianti sono stati pianificati e realizzati. In particolare, l’Emilia-Romagna è stata tra le poche regioni ad aver “misurato per prima i fabbisogni che originano dalle attività produttive, valutando la coerenza dell’impiantistica rispetto al complesso dei rifiuti prodotti”.
78 TIR AL GIORNO PER SALVARE L’ISOLA DALL’IMMONDIZIA
Senza impianti adeguati, e con le discariche che strabordano di rifiuti – alcune sono addirittura in fase di ampliamento per scongiurare l’emergenza sanitaria – la Sicilia è una di quelle regione che ricorre maggiormente al trasporto fuori dai confini regionali. All’inizio dell’anno, Musumeci aveva esplicitamente dichiarato di aver evitato di “mandare all’estero un solo chilogrammo di spazzatura”, anche se queste parole andrebbero verificate nei dati ufficiali del ministero, visto che l’ultimo aggiornamento, che si riferisce all’anno precedente a quello indicato dal governatore, dice che le regioni italiane di rifiuti siciliani ne devono aver ricevuto pure parecchi.
Uno studio di Ref Ricerche, basato su dati Ispra, ha elaborato il numero di Tir necessari ogni anno a trasportare i rifiuti prodotti dalle regioni che non hanno abbastanza impianti per smaltirli e perciò li destinano alle discariche o ai termovalorizzatori situati in altre regioni o all’estero. Ogni giorno, per svolgere questo compito, ci sono 550 TIR che inquinano (emissioni di CO2 e polveri sottili) e costano alle imprese perché fanno lievitare il prezzo dello smaltimento. La Sicilia è appunto sul podio con 78 Tir al giorno – riescono a fare peggio solo il Lazio (162) e la Campania (142). Le conseguenze sono ben note: “in mancanza di impianti, lo smaltimento avviene trasportando, appunto, altrove i rifiuti. Quando non finiscono per accumularsi nelle strade, con problemi di natura sanitaria e ambientale, e diventare una emergenza, terreno fertile per le organizzazioni criminali. I costi diretti e indiretti gravano sulle spalle dei cittadini e delle imprese”.
PAGANO I CITTADINI
C’è una logica, purtroppo, in questo caos: laddove le cose vanno male, pagano i cittadini. Non è un caso che le tre realtà che hanno fatto registrare il maggior deficit impiantistico a livello regionale, sono anche quelle che si piazzano in cima alla graduatoria del costo del servizio. Secondo la stima effettuata da Ref, una famiglia di tre componenti, con un immobile da 108 mq, nel 2019 avrà pagato 382 euro in Sicilia – solo Campania (447) e Lazio (383) davanti –, un centinaio di euro in più rispetto alla Lombardia e al Veneto (246 euro).
CHI CI GUADAGNA
Di sicuro il caos, i ritardi, l’assenza di un sistema virtuoso, non convengono ai cittadini. A interessarsi a questo perverso ciclo dei rifiuti, come descrive l’ultimo rapporto della Direzione Investigativa Antimafia, relativo al primo semestre del 2019, sono appunto le organizzazioni criminali: “in questa Regione, l’infiltrazione nel settore dei rifiuti si realizza ancora oggi in vari modi: nella maggioranza dei casi, attraverso il diretto affidamento, da parte degli Enti locali, dei servizi di raccolta, trasporto, trattamento e conferimento (cioè l’intera filiera) a ditte e società riconducibili ad affiliati a Cosa nostra e, in taluni casi, alla stidda; in altre circostanze, le consorterie ricorrono a pratiche estorsive e/o intimidatorie nei confronti delle imprese ‘sane’ che vengono ‘fidelizzate’, in modo da acquisirne il controllo”. Diverse le operazioni elencate nel rapporto della Dia, che in altri termini lavora su un fronte aperto perché “la complessità, l’incompiutezza e il frazionamento del sistema di gestione dei rifiuti ha, quindi, sino ad oggi contribuito nell’offrire ai sodalizi mafiosi siciliani opportunità di infiltrazione”.