Le risorse ci sono, solo che vengono utilizzate male. Mentre i bilanci sono sempre approvati con enorme ritardo. Mario Emanuele Alvano, segretario generale dell’Associazione dei Comuni siciliani, "Concentrarsi sulla lotta all’evasione, migliorando l’organizzazione del servizio di riscossione"
PALERMO – Nei conti degli Enti locali dell’Isola qualcosa non quadra. I Comuni siciliani hanno incamerato nel 2018 la fetta più cospicua di trasferimenti a livello nazionale: quasi 2 miliardi di euro. Cento milioni in più della Lombardia – che però ha un numero di Comuni quattro volte più alto rispetto ai 390 dell’Isola – e più del doppio rispetto al Veneto, pur contando esso 563 Enti locali, ovvero 173 in più di quelli siciliani.
A rilevarlo è il rapporto 2019 “La finanza comunale in sintesi” realizzato dall’Istituto per la finanza e l’economia locale (Ifel), che riporta anche il valore pro capite di quei 2 miliardi di trasferimenti: 393,4 euro a siciliano, quinta cifra più alta in Italia dopo quelle di Valle d’Aosta, Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige.
Se l’Isola vanta la più alta quota di trasferimenti accertati d’Italia, peraltro cresciuta del 6 per cento rispetto all’anno precedente, al contempo possiede uno dei numeri più alti di Comuni dissestati: sono una quarantina gli Enti locali siciliani iscritti nella lista nera del ministero dell’Interno al 15 gennaio 2020. Un numero che, sommato ai Comuni che si trovano in predissesto o che sono ritenuti strutturalmente deficitari sale vertiginosamente: sono infatti complessivamente un centinaio gli Enti locali isolani che si trovano in una situazione conclamata di difficoltà finanziaria.
C’è qualcosa che torna, dunque. Non tanto a monte, visto che, appunto, i trasferimenti che finiscono nelle casse dei Comuni isolani sono più che nelle altre regioni, quanto più probabilmente a valle, vale a dire nella gestione delle finanze locali. “Ci sono – ci rivela il segretario di Anci Sicilia, Mario Emanuele Alvano – tanti altri Comuni che presentano delle difficoltà finanziaria di varia natura, per esempio sul fronte della liquidità, e che però non si trovano in una posizione formale di difficoltà finanziaria: non hanno dichiarato il dissesto, non hanno fatto Piano di riequilibrio e così via. Il dato si può ricavare in maniera più oggettiva dal numero dei Comuni che a oggi non hanno ancora approvato gli strumenti di bilancio del passato, il Bilancio consuntivo del 2018 addirittura, o quelli Previsionali 2019/2021”.
Secondo gli ultimi dati del Dipartimento delle Autonomie locali dell’Assessorato regionale delle Autonomie locali e della Funzione pubblica, aggiornati al 15 gennaio 2020, sono 87 i Comuni che non hanno ancora chiuso i conti con il bilancio del 2018 e 68 sono gli Enti che non hanno ancora un bilancio di previsione 2019/2021.
Segnali, questi, che il meccanismo di gestione delle finanze locali non è ben oleato.
Intervista a Mario Emanuele Alvano, segretario generale dell’Associazione dei Comuni siciliani
PALERMO – Abbiamo interpellato il segretario generale di AnciSicilia, Mario Emanuele Alvano, per sciogliere i nodi dell’intricata questione relativa alla situazione finanziaria dei Comuni dell’Isola.
Dal rapporto dell’Ifel emerge che nel 2018 gli Enti locali siciliani hanno incamerato quasi 2 miliardi: la fetta più grossa a livello nazionale. Come mai i nostri Comuni sono messi peggio degli altri?
“Un aspetto che sfugge ai più è che negli ultimi dieci anni c’è stata una profonda revisione del sistema finanziario degli Enti locali. Mentre nel passato i bilanci erano basati in misura più che prevalente sui trasferimenti regionali e nazionali, negli ultimi dieci anni la pressione sui tributi locali si è elevata molto, tanto da arrivare al paradosso: prima era lo Stato a finanziare i Comuni, ora non dico che sia il contrario, ma è vero che ci sono parti di tali tributi che vengono acquisite dallo Stato. Rispetto a questo tema ho parlato spesso di rivoluzione copernicana, nel senso che se prima il bilancio era basato sui trasferimenti, adesso è basato sui tributi locali, che in alcuni casi rappresentano fino al 95% delle entrate, soprattutto nei Comuni di grande dimensione demografica, dove i trasferimenti, nonostante il report dell’Ifel mostri che le risorse trasferite Comuni siciliani siano più significative rispetto alle altre parti d’Italia, sono nettamente inferiori alle entrate complessive, rappresentate anche e soprattutto dai tributi locali”.
Sui quali abbiamo l’atavico problema dell’evasione…
“Esatto: sul piano dei tributi locali abbiamo l’enorme problema legato alla difficoltà della riscossione: se per la Tari un Comune incassa solo il 50 per cento, come capita in alcune realtà, è evidente che un 50 per cento di tributi viene a mancare. Finché non verrà messa mano ad una riforma del sistema della riscossione dei tributi, il numero dei Comuni in dissesto è destinato ad aumentare”.
Cosa dovrebbero fare gli Enti locali per riuscire a reggersi sulle proprie gambe?
“Concentrarsi sulla lotta all’evasione, migliorando l’organizzazione del servizio di riscossione. Su questo fronte con l’assessorato regionale all’Economia stiamo provando a immaginare delle soluzioni, ma è un processo complesso e lento. Tra i Comuni in situazioni conclamate di difficoltà finanziaria la maggior parte, specie quelli che si sono manifestati negli ultimi anni, sono Comuni medio-grandi perché le risorse che vengono trasferite sono più significative sui piccoli Comuni, che riescono a mantenere in piedi un bilancio grazie al fatto che in proporzione hanno più risorse trasferite. Ciò significa che i piccoli sono ancora più dipendenti dai trasferimenti e hanno sentito meno l’esigenza di avviare azioni legate alla riscossione dei tributi locali. Numericamente abbiamo tanti Comuni piccoli, ma in essi la ricchezza prodotta è relativa e in più, per carenza di personale e per questioni di carattere organizzativo, è evidente che organizzare alla perfezione ufficio Tributi non è agevole. Per questo una delle soluzioni fondamentali è quella di provare a gestire questo delicato servizio in forma associata”.