Triangolo: scuola, formazione, imprese - QdS

Triangolo: scuola, formazione, imprese

Carlo Alberto Tregua

Triangolo: scuola, formazione, imprese

sabato 25 Settembre 2021

Anpal fallimentare e commissariata

Una delle carenze maggiori che vi è nel nostro Paese riguarda la formazione continua di chi deve lavorare, da un canto, e la mancanza del raccordo fra scuola, università, formazione regionale e imprese, dall’altra.
L’evoluzione tecnologica è impressionante e continua, ma la gente non si rende conto della necessità di dover studiare incessantemente per mantenersi coevi ai tempi.

La conseguenza è drammatica perché fuori gioco finiscono milioni di cittadini che non hanno capito la necessità di mantenersi competitivi.
Il quadro desolante che precede non è un’invenzione, è palpabile e realistico; ma è altrettanto realistico il fatto che quasi nessuno se ne renda conto. Con la conseguenza che ad un certo punto l’arretratezza della formazione non consente di trovare lavoro.

Naturalmente, il discorso vale per il settore privato in quanto, in quello pubblico è irrilevante che dirigenti e dipendenti siano preparati e competitivi, tanto incassano lo stipendio comunque.

A monte della questione prima indicata, ve n’è un’altra non meno importante. Vale a dire che scuola e università non preparano mentalmente i giovani ad inserirsi nel lavoro: non intendiamo solo quello produttivo ma anche qualunque altro, come la ricerca, l’insegnamento, e così via.

Non vi è l’abitudine di produrre ricchezza intesa come conseguenza della propria abilità lavorativa, della capacità di organizzare il proprio tempo e di raccordare le proprie capacità con gli obiettivi che si intendono raggiungere.

Le cosiddette soft-skills sono le competenze trasversali. Ciò significa che ogni soggetto che le possieda è in condizione di affrontare i problemi e di trovarvi soluzioni. Perciò bisogna acquisire competenze per diventare competitivi.

Il discorso non vale solo per il settore economico ma per qualunque altro che non abbia come obiettivo la produzione di servizi, come il settore pubblico, quello associazionistico o ambientale, o umanitario.
Vedete, il concetto di ricchezza non è solo economico ma è esteso a tutto ciò che si fa in favore degli altri.

Si dice che nessuno è nato “imparato”, ma è anche vero che bisogna avere anche la voglia di imparare. Diversamente, si viene tagliati fuori da chi primeggia e, inevitabilmente, si va verso le retrovie.

Già nell’ultimo e penultimo anno di scuola bisognerebbe mandare i ragazzi per qualche mese nei settori di ricerca, per esempio il Cnr, o nelle imprese, o fargli frequentare la Croce Rossa o associazioni ambientaliste, per far capire loro la necessità di acquisire il sapere e imparare modelli organizzativi che rendano efficienti il proprio modo di operare.

Ancor di più, questo meccanismo dovrebbe essere utilizzato nelle università ove, per la verità, qualcosa del genere si fa con l’Erasmus.
Ma non basta, perché è vero che con questa iniziativa i giovani acquisiscono esperienza, andando in altri Paesi, imparando le lingue, vivendo condizioni sociali diverse da quelle del proprio Paese. Ma è anche vero che tutto questo non insegna l’organizzazione, l’utilizzazione del tempo, l’efficienza delle proprie azioni, e così via.

Molti commettono l’errore di pensare che le argomentazioni che precedono riguardino il settore economico. Non è vero. In qualunque altro settore, anche assistenziale, non funziona niente quando non vi è organizzazione e conseguente efficacia delle azioni.
Dimostrazione palese è la Pubblica amministrazione italiana, a qualunque livello, che non è capace di far funzionare i servizi pubblici, salvo qualche eccezione.

Il “fallimento” dell’Anpal (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro) – dimostrato con l’esautorazione dei dirigenti e la nomina di un commissario straordinario – fa capire il disastro che c’è nel settore pubblico, proprio in un ruolo molto delicato, che è quello di trovare lavoro a chi non ce l’ha.

Un altro fallimento non dichiarato è quello della formazione regionale, che dovrebbe formare i cittadini così da collocarli sul mercato del lavoro, sia produttivo che dei servizi pubblici. Ma fino a quando verranno preparati (si fa per dire) parrucchieri, estetisti e barman, nonostante la spesa di centinaia di milioni, tale formazione non avrà effetto alcuno.

Il triangolo scuola, università e impresa per ora non c’è e se ne vedono i risultati. È auspicabile che si formi.

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