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Tumore alla prostata, scoperto il cibo che ne blocca la riproduzione

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Tumore alla prostata, scoperto il cibo che ne blocca la riproduzione

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martedì 12 Aprile 2022

Secondo la Società italiana di Andrologia gli antiossidanti contenuti in cibi come pomodoro cotto, tè verde e nei frutti rossi avrebbero un ruolo determinante per bloccare il tumore

Il tumore alla prostata potrebbe avere le ore contate. Secondo un recente studio realizzato dagli esperti della società italiana di Andrologia (Sia) gli antiossidanti contenuti in cibi come pomodoro cotto, tè verde e nei frutti rossi come melograno e uva, potrebbero prevenire il tumore alla prostata.

Questa scoperta potrebbe anche essere di supporto alla terapia favorendo anche l’arresto della malattia.

L’importanza della prevenzione

Alessandro Palmieri, presidente della Sia e professore di Urologia all’università Federico II di Napoli, spiega che il tumore alla prostata rappresenta il più frequente nella popolazione maschile in Italia, con ben 36mila nuovi casi all’anno: “Nella fase iniziale il carcinoma della prostata è in genere totalmente asintomatico, pertanto la diagnosi precoce, che si associa a un tasso di guarigione del 90%, è possibile solo attraverso programmi di screening. L’assenza di sintomi precoci specifici nei pazienti con cancro alla prostata obbliga a elaborare strategie di prevenzione mirate ed efficaci”, dice il professore su Leggo.

Pomodoro, uva e melograno contro il tumore alla prostata

“Moltissime ricerche hanno evidenziato il potere preventivo di molti composti di origine naturale – osserva Davide Arcaniolo, membro della Commissione Scientifica della SIA e Ricercatore in Urologia dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” – quelli maggiormente studiati sono senz’altro le epigallocatechine e il licopene, sostanze ad azione antiossidante ed antinfiammatoria, contenute in grande quantità principalmente nel tè verde e nel pomodoro.

In uno studio clinico su un gruppo di soggetti ad alto rischio di tumore alla prostata (perché con lesioni precancerose) si è visto che chi assumeva regolarmente epigallocatechine derivate dal tè verde vedeva ridotto del 60% il rischio di ammalarsi rispetto a chi assumeva solo una sostanza placebo. Il rischio può ridursi fin dell’80% con un’assunzione di queste sostanze per due anni consecutivi”. Anche il licopene, contenuto in grandi quantità nel pomodoro, rappresenta un altro principio attivo largamente studiato nelle strategie di prevenzione.

“L’assunzione nella dieta è limitata da un basso assorbimento intestinale, che viene facilitato quando il pomodoro viene cotto – spiega Arcaniolo – gli studi clinici hanno dimostrato che la riduzione dell’incidenza di tumore della prostata è ridotta proporzionalmente all’assunzione di licopene e delle sue concentrazioni nel sangue. La riduzione del rischio varia dal 12% per tutti i tipi di tumore della prostata fino al 26% per i tumori più aggressivi”.

Nuovi studi hanno dimostrato la particolare efficacia del resveratrolo, contenuto soprattutto nell’uva, non solo come azione preventiva contro il tumore della prostata ma anche come supporto ai trattamenti anti-tumorali per l’altissimo potenziale antiossidante che agisce sia nello stato iniziale del cancro, attraverso fattori di blocco, sia nello stato più avanzato attraverso fattori di soppressione che ne frenano la progressione.

“Solo di recente un’altra sostanza, il Pterostilbene, un antiossidante presente in diversi cibi, dal mirtillo alle arachidi, ha mostrato a sua volta proprietà preventive in uno studio appena pubblicato su Cancer Prevention Research. Un ruolo chiave, come supporto alla terapia di trattamento del cancro prostatico, svolge anche l’acido ellagico contenuto nel melograno

Cosa è il tumore della prostata

Il tumore della prostata – si legge sul sito dell’Airc, Associazione italiana ricerca sul cancro – ha origine dalle cellule presenti all’interno di una ghiandola, la prostata, che cominciano a crescere in maniera incontrollata. La prostata è presente solo negli uomini, è posizionata di fronte al retto e produce una parte del liquido seminale rilasciato durante l’eiaculazione. In condizioni normali ha le dimensioni di una noce, ma con il passare degli anni o a causa di alcune patologie può ingrossarsi fino a dare disturbi soprattutto di tipo urinario.

Questa ghiandola è molto sensibile all’azione degli ormoni, in particolare di quelli maschili, come il testosterone, che ne influenzano la crescita.

Soggetti più a rischio

Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l’età: le possibilità di ammalarsi sono scarse prima dei 40 anni, ma aumentano sensibilmente dopo i 50 anni e circa due tumori su tre sono diagnosticati in persone con più di 65 anni.

Familiarità

Quando si parla di tumore della prostata un altro fattore non trascurabile è senza dubbio la familiarità: il rischio di ammalarsi è pari al doppio per chi ha un parente consanguineo (padre, fratello eccetera) con la malattia rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia.

Presenza di mutazioni

Anche la presenza di mutazioni in alcuni geni come BRCA1 e BRCA2, già coinvolti nell’insorgenza di tumori di seno e ovaio, o della Sindrome di Lynch (tumore del colon non poliposico ereditario; HNPCC) possono aumentare il rischio di cancro alla prostata.

Stile di vita

Non meno importanti sono i fattori di rischio legati allo stile di vita: dieta ricca di grassi saturi, obesità, mancanza di esercizio fisico sono solo alcune delle caratteristiche e delle abitudini poco salubri, sempre più diffuse nel mondo occidentale, che possono favorire lo sviluppo e la crescita del tumore della prostata.

Sintomi

Nelle fasi iniziali il tumore della prostata è asintomatico. Viene diagnosticato in seguito alla visita urologica, che comporta in genere esplorazione rettale e controllo del PSA con un prelievo del sangue.

Quando la massa tumorale cresce, dà origine a sintomi urinari: difficoltà a urinare (in particolare a iniziare) o bisogno di urinare spesso, dolore quando si urina, sangue nelle urine o nello sperma, sensazione di non riuscire a urinare in modo completo.

Spesso i sintomi urinari possono essere legati a problemi prostatici di tipo benigno come l’ipertrofia: in ogni caso è utile rivolgersi al proprio medico o allo specialista urologo che sarà in grado di decidere se sono necessari ulteriori esami di approfondimento.

Diagnosi

La misurazione del PSA è sicuramente un utile strumento di diagnosi, però questa stessa ha aperto un dibattito in quanto, spesso, i valori sono alterati per la presenza di una iperplasia benigna o di una infezione. Per questa ragione negli ultimi anni si è osservata una riduzione dell’uso di tale test.

I sintomi urinari del tumore della prostata compaiono solo nelle fasi più avanzate della malattia e comunque possono indicare anche la presenza di patologie diverse dal tumore.

L’unico esame in grado di identificare con certezza la presenza di cellule tumorali nel tessuto prostatico è la biopsia prostatica. La risonanza magnetica multiparametrica è diventata fondamentale per decidere se e come sottoporre il paziente a tale biopsia, che viene eseguita in anestesia locale, ambulatorialmente o in day hospital, e dura pochi minuti.

Come si cura

Oggi sono disponibili molti tipi di trattamento per il tumore della prostata ciascuno dei quali presenta benefici ed effetti collaterali specifici. Solo un’attenta analisi delle caratteristiche del paziente (età, aspettativa di vita, eccetera) e della malattia (tipo, livello di rischio) permetterà allo specialista urologo di consigliare la strategia più adatta e personalizzata e di concordare la terapia anche in base alle preferenze di chi si deve sottoporre alle cure.

Vigile attesa

In alcuni casi, soprattutto per pazienti anziani o con altre malattie gravi, si può scegliere di non attuare alcun tipo di terapia e “aspettare”: è quello che gli anglosassoni chiamano watchful waiting, una “vigile attesa” che non prevede trattamenti sino alla comparsa di sintomi.

In pazienti che presentino caratteristiche della malattia a basso rischio esistono opzioni terapeutiche che consentono di posticipare il trattamento nel momento in cui la malattia diventi “clinicamente significativa”, effettuando inizialmente solo controlli abbastanza frequenti (PSA, esame rettale, biopsia) che permettono di controllare l’evoluzione della malattia e verificare eventuali cambiamenti che meritano un intervento (“sorveglianza attiva”).

La terapia attiva

Quando si parla di terapia attiva, invece, la scelta spesso ricade sulla chirurgia radicale. La prostatectomia radicale – la rimozione dell’intera ghiandola prostatica e dei linfonodi della regione vicina al tumore – viene considerata un intervento curativo, se la malattia risulta confinata nella prostata. Grazie ai notevoli miglioramenti degli strumenti chirurgici, oggi l’intervento di rimozione della prostata può essere effettuato in modo classico (prostatectomia radicale retro-pubica aperta) o per via robotica.

Per la cura della neoplasia prostatica, nei trattamenti considerati standard, è stato dimostrato che anche la radioterapia a fasci esterni è efficace nei tumori di basso rischio, con risultati simili a quelli della prostatectomia radicale.

Un’altra tecnica radioterapica che sembra offrire risultati simili alle precedenti nelle malattie di basso rischio è la brachiterapia, che consiste nell’inserire nella prostata piccoli “semi” che rilasciano radiazioni. Quando il tumore della prostata si trova in stadio metastatico, a differenza di quanto accade in altri tumori, la chemioterapia non è il trattamento di prima scelta e si preferisce invece la terapia ormonale, nota come terapia di deprivazione androgenica. Questa ha lo scopo di ridurre il livello di testosterone – ormone maschile che stimola la crescita delle cellule del tumore della prostata – ma porta con sé effetti collaterali come calo o annullamento del desiderio sessuale, impotenza, vampate, aumento di peso, osteoporosi, perdita di massa muscolare e stanchezza.

Per i pazienti con carcinoma prostatico in stadio avanzato sensibile alla castrazione (ovvero resistente all’eliminazione degli ormoni maschili attraverso la chirurgia o la terapia ormonale), molte nuove terapie sono all’orizzonte. Queste consistono nell’uso di nuovi agenti ormonali, che si associano all’ormonoterapia di vecchia generazione. Alcune di queste soluzioni terapeutiche saranno disponibili anche in Italia come nuove soluzioni standard di trattamento a breve termine.

Già disponibile è invece la chemioterapia, anch’essa associata all’uso dell’ormonoterapia di vecchia generazione. Questa consiste in particolare in un singolo farmaco chiamato docetaxel, in infusione endovenosa. Questa soluzione di trattamento è particolarmente adatta ai pazienti cha hanno un elevato carico di metastasi a distanza.

Per i pazienti con carcinoma della prostata resistente a castrazione e con metastasi a livello delle ossa si può utilizzare la cosiddetta terapia radiometabolica. Questo approccio si basa sulla capacità di alcuni radiofarmaci, come il radio-223, di posizionarsi in aree dove si verifica un elevato “ricambio” (turnover) osseo e di portare in queste sedi particelle ad alta energia che riescono a distruggere le cellule tumorali.

Numerose le terapie che si sono dimostrate efficaci nell’ambito degli studi clinici: tra queste le terapie a bersaglio molecolare come, per esempio, gli inibitori di PARP, che possono essere utilizzati in particolare in uomini che presentano mutazioni nei geni BRCA, gli stessi coinvolti nel tumore di seno e ovaio e la nuova terapia radiometabolica con 177Lu-PSMA-617. L’immunoterapia invece deve ancora dimostrare una chiara efficacia in queste neoplasie; recenti studi indicano che, specie nell’ambito di combinazioni terapeutiche, anche questa terapia potrà rappresentare un’ulteriore arma di trattamento nel prossimo futuro per pazienti con tumore resistente alle terapie convenzionali.

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