Tutti i nodi vengono al pettine, la medicina del territorio non ce la fa più - QdS

Tutti i nodi vengono al pettine, la medicina del territorio non ce la fa più

redazione

Tutti i nodi vengono al pettine, la medicina del territorio non ce la fa più

venerdì 06 Novembre 2020

Riceviamo e pubblichiamo la lettera del Dottor Raffaele Oteri

Caro Direttore,

Desidero fare una premessa prima di esporre le mie considerazioni in queste poche righe. Sono stato un medico del territorio fino allo scorso anno, quando ho deciso di lasciare l’attività di studio, andando in pensione.

Come medico di medicina generale dopo 37 anni di anzianità, avrei potuto continuare la mia attività per altri due anni, ma non ne volevo più sapere. Una decisione tutta mia, di cui ne pago il costo con una pensione ridotta, ma che mi consente l’attività nella libera professione. Questo a causa del carico burocratico, anche elettronico, dei lacci e lacciuoli che impediscono la libera e ponderata prescrizione dei farmaci e delle ricerche di laboratorio e diagnostiche, appannaggio degli specialisti ospedalieri. Costoro, in numero inadeguato, sono oberati dalla compilazione di piani terapeutici ed altre facezie, che portano ad un allungamento dei tempi di accesso alle strutture da parte del cittadino- paziente.Il tutto senza un vero aumento dell’efficienza del sistema sanità e i suoi sprechi.

Oggi i nodi vendono al pettine, la medicina del territorio non ce la fa più, sempre più negletta da molti anni a questa parte non solo dalla parte economica. Corsi di specialistica in medicina generale sempre più deserti, con colleghi ormai più impiegati alle prese con la burocrazia che con la clinica allo studio, sempre più anziani e spesso demotivati. Nonostante ciò tanti, si sono esposti in prima persona affrontando questa dura pandemia, pagando spesso con la vita: 59 su 184 medici deceduti fino al 1° novembre.

E qui veniamo al punto. Allo scoppio del Covid-19 sul territorio nazionale, il piano nazionale pandemie era fermo al 2006. I tempi di reazione dell’esecutivo lenti, che poi sono sfociati in un pesante isolamento generale su tutto il territorio nazionale. Di più a livello locale (parlo per il Lazio), le Asl non hanno fornito inmodo tempestivo istruzioni specifiche ai medici del territorio, lesinando in modo grottesco nella distribuzione dei dispositivi di protezione individuale (dpi). Il risultato? Studi chiusi e visite per telefono. Oggi con la seconda ondata, molto è stato fatto da un punto di vista diagnostico e terapeutico, non in modo risolutivo ma congruo, la mortalità persiste in misura un po’ inferiore rispetto a marzo-aprile. Però anche in questo caso, vista la regionalizzazione della sanità, si sono avute disposizioni balbettanti e scollegate. Il governo è andato avanti con Dpcm un giorno sì e un giorno no. Fino ad oggi .

Personalmente a fine settembre, parlando con colleghi ed amici, propendevo per una chiusura preventiva, solo di 3 settimane dai primi di ottobre. Cosa ovviamente impopolare, ma si sarebbe potuto interrompere brutalmente il passaggio del virus da un individuo all’altro: i sintomatici in cautela, gli asintomatici fermi e non in grado di infettare terzi. Ora si blatera di tamponi negli studi medici. Con quali sicurezze per i pazienti ed il medico? Quanti studi sono attrezzati con spazi adeguati? Ricordo anche che la maggior parte degli studi medici si trova in condomini nelle grandi città, che sicurezza per i condomini? Siamo alle solite, nessuno pensa a come debbano essere fatte le cose, pianificando per tempo come farle. I mesi di relativa tregua estiva sono andati sprecati, sia a livello sanitario che generale, e i fatti sono sotto gli occhi di tutti.

Chissà se nel futuro si possa avere una sanità affidata a persone competenti, ridando al medico la sua funzione centrale non solo professionale, ma di organizzazione nell’ospedale e nel territorio, lasciando ai margini del sistema la politica, che pervasivamente ha invaso la sanità italiana, a tutti i livelli, essa deve dare gli indirizzi generali e fermarsi solo a questo. Magari tornando sui propri passi sulla riforma (tragica), del titolo V° della Costituzione, ma questa è un’altra storia.

Dottor Raffaele Oteri

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