La veglia e il dibattito sempre aperto sulle migrazioni: a un anno dal tragico naufragio non c'è fine alle stragi in mare.
Un anno fa la strage di Cutro riapriva il dibattito – in realtà mai sopito – sui pericoli dei migranti in viaggio nel Mediterraneo e sulle morti determinate dal proliferare di trafficanti di esseri umani senza scrupoli e politiche migratorie non sempre capaci di contrastare gli illeciti.
Lo scorso anno la strage – che portò alla morte di 94 persone, compresi molti bambini – portò il Governo Meloni all’approvazione del cosiddetto “Decreto Cutro“, con una stretta contro i cosiddetti scafisti e il potenziamento per i centri per i rimpatri.
All’alba del 26 febbraio, in ricordo delle vittime, si è tenuta una veglia.
Un anno fa la strage di Cutro, la veglia
Alle 4.30, l’orario della strage, la madre di due minori che hanno perso la vita ha gettato in mare una corona di fiori. Alcuni familiari hanno srotolato una striscione con le fotografie a colori delle vittime. Sulla spiaggia sono stati sistemati i peluche che l’anno scorso furono lasciati dai cittadini al Palamilone, il palazzetto dello sport che ospitò le salme. Dopo un momento di preghiera islamica, sono state accese 94 candele, tante quante le vittime della strage di Cutro.
Presenti anche 36 studenti dell’Istituto dei Nobili di Catanzaro, che hanno noleggiato un pullman assieme a un’insegnante per essere presenti alla commemorazione.
Strage di Cutro, il dolore dei sopravvissuti e dei familiari
Cinquanta famiglie delle vittime e I superstiti al naufragio di Steccato di Cutro hanno annunciato una “causa civile risarcitoria contro lo Stato italiano” per “l’omissione di soccorso e i gravi patimenti dei nostri cari successivi al naufragio”.
Gul Jamshidi, afghano che ha perso nel naufragio di Cutro il nipote, ha annunciato anche che con la causa le autorità potranno valutare anche le eventuali responsabilità di Frontex. “Perché noi sappiamo che le istituzioni sapevano da prima che la barca ‘Summer Love’ si trovava in mare vicino alle coste e che era in pericolo, ma non ha fatto nulla per diverse ore“, ha aggiunto.
Di assenza dello Stato e altri elementi precedenti e successivi alla strage di Cutro ha parlato anche la sorella di una delle vittime. Zahra Barati, una ragazza afghana di 27 anni che vive in Finlandia, ha perso il fratello e un anno dopo la tragedia dice: “Sono molto dispiaciuta che nessun rappresentante delle istituzioni e del governo si siano recati a Cutro per sostenerci, né hanno pensato di mandare un rappresentante. Questo non è in alcun modo giustificabile”.
Occhiuto: “Calabria solidale”
Il presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto ha presentato la “Glass House“, una teca di vetro realizzata con i resti della barca naufragata un anno fa a Steccato di Cutro. Di fronte ai giornalisti, ha affermato: “Sono orgoglioso dell’immagine che i calabresi hanno dato al mondo un anno fa. Sono orgoglioso. Anche noi scapperemmo da guerra e fame se avessimo la guerra in casa, ma questo non significa che non bisogna intervenire per arginare i flussi ma bisogna farlo creando le condizioni affinché non ci sia più fame e guerra e intervenendo per restituire democrazia”.
“La Calabria è una regione solidale con quelli che scappano da fame e guerra, lo è sempre stata. Ha accolto tanti migranti non solo in questa provincia. Io sono molto orgoglioso di governare una regione che ha sindaci e comunità che hanno avuto grande solidarietà verso chi ha bisogno”, ha aggiunto.
Il dibattito sui migranti
Anche un anno dopo la strage di Cutro, il dibattito sui migranti e sul pericolo dei naufragi nel Mediterraneo è sempre più “caldo”. Per don Luigi Ciotti, presidente di Libera e del Gruppo Abele, le promesse dell’Europa sui migranti sono naufragate proprio come le vittime di Cutro.
“Ciò su cui la nostra democrazia si fonda, ormai affonda. Affonda insieme alle imbarcazioni di migranti che hanno continuato a naufragare senza fare notizia: l’Onu parla di una media di quattro morti al giorno nel Mediterraneo, negli ultimi due mesi. Affonda insieme alle verità che non si riescono a trovare, perché dopo un anno ancora ignoriamo se quelle persone si sarebbero potute salvare, e chi ha deciso di non farlo. Affonda insieme alle attese dei famigliari e degli amici delle vittime”.
Per il sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, “Non bisogna andare su terreni divisi in Europa per trovare una soluzione all’emergenza migranti”. “Tutti sono stati al governo ma nessuno ha trovato una soluzione, però dico che non ci appartiene questa diatriba politica”.
Il documentario
“Il naufragio di Cutro: un anno dopo”: si chiama così il documento dell’Arci a un anno dalla strage di Steccato di Cutro che riassume come i vari attori coinvolti – i superstiti, i familiari delle vittime, la società civile – hanno lottato per ottenere giustizia e verità.
Il documento sulla strage di Cutro “racconta i fatti di base, quello che sappiamo per certo; fornisce una sintesi dell’esposto presentato dall’Arci insieme ad altri numerosi rappresentanti della società civile e l’indagine in corso; riassume la criminalizzazione di cinque dei superstiti, i cosiddetti ‘scafisti’, che fino ad oggi sono detenuti nelle carceri italiane; approfondisce le parti civili che si sono costituite, fra cui la regione Calabria e il governo italiano, cosa a nostro avviso del tutto fuori luogo; porta all’attenzione del lettore la situazione e le rivendicazioni pratiche e politiche delle persone sopravvissute quella notte, così come dei familiari delle persone che non ce l’hanno fatta; riassume per ultimo, ma non in ordine di importanza, gli effetti del decreto-legge 50/2023, il cosiddetto ‘Decreto Cutro’ che, oltre a inasprire le pene per le persone di origine straniera che arrivano via mare, non ha fatto null’altro che punire la popolazione straniera in Italia, impedendo a migliaia di persone presenti nel territorio nazionale di regolarizzare la loro posizione giuridica, aumentando la durata della detenzione amministrativa – inflitta a persone che non hanno commesso alcun reato – in sfregio dell’art.13 della nostra Costituzione. Una violazione dei diritti umani per la quale l’Italia sarà sicuramente condannata sia giuridicamente che eticamente”.