Tv, a Palermo un convegno per studiare l’evoluzione delle serie - QdS

Tv, a Palermo un convegno per studiare l’evoluzione delle serie

redazione

Tv, a Palermo un convegno per studiare l’evoluzione delle serie

giovedì 30 Gennaio 2020

Dall’Opra dei pupi al “Trono di spade” l'evoluzione della serialità nel Museo delle Marionette. Dalla tradizione del feuilleton ottocentesco, ai fotoromanzi per arrivare fino alle telenovelas brasiliane

PALERMO – “Oggi le serie tv sono l’ultima ragione d’esistenza di quel glorioso medium di massa che fu la televisione”, ha affermato Gianfranco Marrone, professore ordinario di Semiotica nell’Università di Palermo e autore di vari saggi.

“Non è lo spettacolo – ha aggiunto – a dover essere senza fine, costi quel che costi, ma il racconto, la pura affabulazione, che scavalca i singoli personaggi, le loro rivalità, i loro amori e valori, per farsi essa stessa protagonista dell’intrattenimento di grandi e piccini, ricchi e poveri, uomini e donne, nordisti e sudisti. Le storie intrecciano uomini e cose, idee e denari, divinità e sentimenti, ma intrecciano soprattutto se stesse, in un continuo rimando, con soste, riprese, deviazioni, digressioni, strade alternative, vicoli ciechi”.

Ed è proprio “Le forme della serialità – Oggi e ieri”, il titolo del convegno che ha preso il via ieri e si concluderà oggi nel Museo delle marionette di Palermo diretto da Rosario Perricone. Tra i relatori, oltre a Marrone, Paolo Fabbri, Luigi Spina, Giovanni Ragone, Nicola Dusi, Sergio Brancato e il regista Giacomo Battiato, autore della recente versione televisiva del “Nome della rosa” di Umberto Eco.

In primo piano, come sottolinea Marrone, “l’essenza delle attuali serie tv, di cui tutti sono pazzi, e a ragione. Le notti in bianco per vedere tutta d’un fiato l’intera ultima stagione di ‘House of cards’ o del ‘Trono di spade’, una decina e passa d’ore di trasmissione rimbambiti con ‘Breaking bad’, ‘True detective’, ‘Mad men’ o ‘Dexter’ hanno una precisa motivazione estetica: quella, appunto, del piacere ricavato da un meccanismo narrativo che va a mille, che se pure allunga il sugo per ragioni commerciali (quanti episodi dei ‘Narcos’ prima di accoppare Pablo Escobar?) lo fa con estrema maestria”.

Sparito il servizio pubblico – analizza il semiologo – i palinsesti, le rivalità fra reti, la televisione sembrava dovesse dileguarsi a vantaggio del web: i funerali erano stati celebrati; ed ecco che, facendo comunella con la rete, è più viva che mai. Da una storia si va avanti o indietro, si pesca nel mezzo e nei personaggi secondari, si triplicano le sue condizioni di possibilità. Tutto fa brodo, purché la macchina narrativa non si fermi mai. Ecco l’innovazione mediatica, parecchio remunerata e particolarmente gradita”.

“Ma questa innovazione – conclude – a ben vedere è vecchissima, poggiando le basi su stilemi formali e stereotipi ideologici, temi e valori assai antichi, risalenti quanto meno al feuilleton ottocentesco e ai fotoromanzi per collaboratrici domestiche, ai poemi cavallereschi, all’epica medievale, alle fiabe, ma anche e soprattutto ai cantari e al teatro popolare. Ivi compresa, con ruolo tutt’altro che secondario, la siciliana Opera dei pupi. Nel mondo delle serie, insegnano pupi e pupari, le storie non vanno mai a finire. Piuttosto continuano. Basta saper aspettare la nuova stagione”.

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