A Valderice l’orto simbolo di comunità ed integrazione - QdS

A Valderice l’orto simbolo di comunità ed integrazione

Vito Manca

A Valderice l’orto simbolo di comunità ed integrazione

sabato 01 Ottobre 2022

L’interessante progetto a Bonagia della cooperativa sociale Badia Grande: un pezzo di terra che offre una nuova cittadinanza, ecco come gli immigrati da “ospiti” diventano parte attiva del territorio

VALDERICE (TP) – La semplicità che si propone come soluzione e che assume la forza di un simbolo. Più che mai semplice trasformare un giardino in un orto. Certo è stato necessario lavorarci un po’ perché non era in buone condizioni, ma comunque nulla di eccezionale. Ma quando quel pezzo di terra contribuisce a costruire una comunità, ad integrare, a dare una nuova cittadinanza – da ospite a parte attiva di un territorio – le cose cambiano. E l’orto diventa idea, modello, come quello che si trova in una villetta di Bonagia, frazione del Comune di Valderice, che ospita il Centro d’Accoglienza per immigrati gestito dalla cooperativa sociale Badia Grande.

I prodotti dell’orto si trasformano in cibo sincero. Questo è il loro “marchio” e così lo presenta la responsabile del Centro Maria Cipponeri: “La trasformazione del giardino in orto rientra fra le iniziative promosse dal Sai di Valderice per promuovere nuove forme di integrazione fra i beneficiari e per abbattere la diffidenza, visto che provengono da diversi Paesi. Inoltre l’orto, oltre a fornire cibo genuino che loro stessi impiegano per la dieta, contribuisce a rendere pulite e ben curate le aiuole della villetta in cui vivono”. Non è certo un passatempo e neanche una vetrina per fare propaganda pro immigrati. È invece impegno allo stato puro che si affianca all’attenzione che si deve alla terra. C’è dunque una programmazione da rispettare. Una parte dello spazio verde è stata coltivata all’inizio della stagione estiva ed è stato così possibile portare in mensa, pomodori, melenzane, zucchine, peperoni, cipolle, zucche e meloni. Un’autoproduzione che finisce così per arricchire la tavola degli ospiti del Centro e che, dicono al Sai ha una strategia: “Una sorta di prodotto biologico, senza l’impiego di additivi chimici, ad impatto ambientale zero, perché non si fa uso di mezzi meccanici, e che viene coltivato a due passi dalla mensa dei giovani immigrati ospitati nella struttura”.
Una strategia che porta ad una triangolazione sociale: “L’orto davanti casa al Centro Sai diventa uno strumento di crescita e di confronto nel processo d’integrazione tra gli ospiti, gli operatori ed il territorio”.

La cooperativa Badia Grande è lì a fare da agenzia di supporto fornendo gli attrezzi, le piantine e tutto quello che occorre per curare e tenere in ordine l’orto. Appena la terra sarà soffice ci sarà un nuovo step da superare: seminare per la stagione invernale. C’è poi un particolare di non poco conto. Una buona parte degli ospiti del Centro non sta – come spesso la retorica politica prova a raccontare – con le mani in mano. Non aspetta che il giorno attenda la notte e viceversa. Chi si occupa dell’orto è anche un lavoratore. Ci sono immigrati impiegati nella ristorazione ed altri nel settore dell’agricoltura.

Altro particolare che emerge dal Centro: “Non appena rientrano dal lavoro, la loro prima attenzione è rivolta all’orto”. Scelta che ha una sua dimensione sociologica e psicologica, che prova a fare emergere Matteo D’Ettore, volontario piemontese dell’Associazione Prati-car onlus: “Coltivare la terra crea una sorta di equilibrio nella personalità dei beneficiari del Centro. Sistemare gli spazi verdi, oltre che a rendere più accogliente la struttura, permette di rafforzare la loro autostima, in quanto è bello contribuire, col proprio lavoro, ad un progetto comune. Consente di ricevere quel senso di pace interiore che appaga e rinvigorisce l’anima”.

Il cerchio della collaborazione, aperto dalla responsabile Cipponeri e sostenuto dal volontario D’Ettore si chiude con il mediatore culturale Bah Abdurahman che è a stretto contatto con gli immigrati del Sai valdericino per ridurre le distanze della lingua che possono essere un ostacolo serio ai processi d’integrazione. Quest’altra triangolazione organizzativa ha consentito di definire e concretizzare il progetto, che ha superato la prova dei fatti – la produzione c’è e consente in una fase difficile come quella attuale anche di abbassare in qualche modo i costi – e che ha anche avviato un processo d’integrazione nell’integrazione, unendo immigrati provenienti da diverse parti del mondo.

Un percorso che la cooperativa Badia Grande indica come sistema da ampliare, tassello dopo tassello. Così come è avvenuto, in precedenza, con un corso di cake design promosso dal Centro provinciale per l’istruzione degli adulti di Trapani. Un evento formativo che ha coinvolto 20 persone, tra queste cinque ragazze immigrate del Centro di Paceco che fa parte del progetto Sai di Marsala, pure questo gestito dalla cooperativa. Il corso ha consentito ai partecipanti di acquisire una professionalità certificata nella decorazione delle torte ma soprattutto “di lavorare in team senza alcun pregiudizio, spazzando via ogni tipo di frontiera, facendo squadra ed integrando le cinque ragazze ed un soggetto affetto da un disturbo cognitivo in un unico e solidale gruppo”. Quindi, missione compiuta per Badia Grande.

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