Le campionature effettuate in molti vigneti dell’isola annunciano una vendemmia 2022 all’insegna dell’alta qualità e con volumi di uva raccolta stabili rispetto a quelli dello scorso anno.
In alcune aziende vitivinicole siciliane è già cominciata. In altre, è questione di pochi giorni. Quel che è certo è che le campionature effettuate in molti vigneti dell’isola annunciano una vendemmia 2022 all’insegna dell’alta qualità e con volumi di uva raccolta tendenzialmente stabili rispetto a quelli dello scorso anno.
Grazie a un’annata piuttosto asciutta, con un inverno mite, nessuna gelata in primavera e a dispetto delle soffocanti ondate di calore susseguitesi dall’inizio dell’estate – a detta di agronomi e enologi – lo stato vegeto-produttivo dei vigneti ha retto bene.
Se la siccità sta mettendo in ginocchio il Nord, la Sicilia del vino si sta dimostrando più resiliente e preparata. Lo confermano i rilievi delle aziende vitivinicole aderenti a Assovini Sicilia, il consorzio che raduna attualmente 77 cantine apicali distribuite nelle 9 province della Sicilia. Premesse lusinghiere di una viticoltura sempre più orientata verso pratiche a basso impatto ambientale.
“L’agricoltura siciliana fronteggia da sempre il problema dell’approvvigionamento idrico e, probabilmente per questo motivo, riusciamo meglio di altre regioni a resistere a lunghi periodi siccitosi – spiega l’agronoma catanese Aurora Ursino, eletta l’anno scorso migliore agronomo d’Italia-. Negli ultimi 20 anni – continua – lo spettro vitivinicolo siciliano è completamente cambiato, oggi le aziende riescono a valorizzare l’enorme patrimonio pedoclimatico dei territori isolani e ‘virano’ sempre di più verso l’adozione di tecniche agronomiche sostenibili, potature adeguate, forme di allevamento e portinnesti idonei ai diversi areali di produzione: tutti strumenti decisivi per contenere gli effetti dei cambiamenti climatici”.
La vendemmia siciliana è più lunga d’Italia. La sua durata media supera i 100 giorni, da agosto fino alle prime settimane di novembre, che nelle altitudini più elevate dell’Etna.
Si comincia con la raccolta della base spumante, per poi proseguire con le varietà internazionali come lo Chardonnay e il Sauvignon Blanc, seguite dai vitigni autoctoni.
Stando alle previsioni, le stime di produzione di questo 2022 si allineano a quelle del 2021: non sarà quindi un’annata ricchissima, ma migliore di quella del biennio 2019/2020, quando, in termini quintali di uve raccolte, i riscontri furono inferiori alla media regionale.
“Nonostante il caldo, queste si confermano comunque eccellenti soprattutto sotto il profilo qualitativo”conferma Filippo Buttafuoco, agronomo di Cantine Settesoli, la più grande tra le aziende vitivinicole siciliane con terreni vitati per 6 mila ettari e tra le prime ad avere avviato la vendemmia, partendo dalle uve di Pinot Grigio.
‘Le piante hanno utilizzato molte delle riserve accumulate durante il periodo invernale. E, grazie all’assenza di stress idrico, almeno in questo momento, i vigneti mostrano un’ottima condizione di salute” – dice Francesco Spadafora, titolare dell’azienda Dei Principi di Spadafora.
La vendemmia tra le colline del nisseno
Tra le colline nissene, dove il contenuto di argilla dei terreni non è così rilevante, con la conseguenza di lasciar andare via cospicue quantità d’acqua, sta influendo negativamente soprattutto l’oscillazione termica tra il giorno e la notte. “Se fino a qualche anno fa nelle ore di buio la temperatura scendeva a 22-23 gradi, oggi si il termometro di ferma tra 27 e 28 gradi, ragion per cui dobbiamo ricorrere all’irrigazione di soccorso prevista dai disciplinari di produzione – considera Marco Parisi, enologo residente della Feudi del Pisciotto, azienda situata di fronte la Sughereta di Niscemi con una produzione annua di 400.000 bottiglie suddivise in 16 etichette. D’altro canto il fatto che quest’annata sia stata piuttosto asciutta, ha preservato i vigneti da malattie come peronospora e oidio e ciò ci fa prevedere risultati più che buoni per questa campagna vendemmiale”.
La vendemmia nell’alto Belice
Nell’Alto Belice, anche tra i filari di viti dell’azienda Alessandro di Camporeale la raccolta comincerà prima di ferragosto. “Grazie alla ventilazione del nostro territorio, siamo riusciti a evitare i problemi legati alle ondate di forte calore e all’umidità – comunicano dalla cantina. Inoltre la quantità di pioggia tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera ha permesso di riempire i bacini e di avviare la stagione vegetativa con acqua sufficiente per l’irrigazione”. Questo scenario – stando alle aspettative della cantina – si tradurrà per quanto riguarda i vini bianchi in un’elevata qualità aromatica delle uve, ma anche in un’acidità superiore alla media degli ultimi anni. E darà ottimi risultati soprattutto per la produzione del Grillo. Grandi attese comunque anche dalle uve a bacca rossa. “Il leggero ritardo verificatosi alla fine dell’invaiatura (l’inizio della maturazione dei frutti, contrassegnata da un cambiamento di colore degli acini, ndr) favorirà un’ottimale maturazione finale dei grappoli. “Buone premesse, insomma, per vini molto equilibrati”.
La vendemmia tra Marsala e Salemi
Quadro simile più a occidente, tra Marsala e Salemi, dove la Caruso e Minini, azienda nata poco più di 20 anni fa, oggi con un imbottigliato annuo di 700mila pezzi e un fatturato che sfiora i 3 milioni e mezzo di euro, lavora su due direttrici: le innovazioni per migliorare la sostenibilità e la produzione ‘bio’. “Entro il 2024 tutti i 120 ettari del vigneto di proprietà otterranno la certificazione ministeriale – dice Andrea Artusio, responsabile aziendale del settore Export and Marketing. – Pratichiamo solo l’irrigazione naturale, raccogliendo dalle falde acquifere tutta l’acqua piovana, rilasciata alle vigne dal terreno calcareo-argilloso di queste zone dentro il quale le radici delle nostre viti scendono in profondità. Questo ha consentito di evitare stress idrici malgrado gli importanti picchi di calore registrati ormai da diverse estati, alternandosi a stabilizzazioni di temperatura. A differenza di chi coltiva in pianura o irriga artificialmente, nelle nostre vigne non si è verificata nessuna ‘cottura’ delle uve ”.
Tra i vitigni più performanti della Caruso e Minini, il Perricone : “è ormai la nostra bandiera produttiva tra i vini autoctoni e sta ottenendo un grande successo nell’export. Si tratta di un vino difficile da vinificare rispetto al Nero d’Avola, con un tannino particolare e un’ evoluzione diversa dagli altri vini rossi. La abbiamo favorita vinificando il Pericone solo in contenitori d’acciaio, in modo da non perdere gli eccezionali sentori di questo vino, soprattutto di liquirizia e di mentolato ». Un vitigno di grande potenza, il Perricone, che ha rischiato di sparire. Rispetto ai 15mila ettari coltivati in Sicilia a Nero d’Avola, le vigne di Perricone sull’isola non superano i 300 ettari. “Al momento abbiamo 3 ettari e mezzo dedicati a questo antichissimo vitigno ”.
Vigne a coltivazione biologica
La Sicilia è la prima regione d’Italia per la coltivazione biologica delle vigne: oltre 26mila ettari sui poco più di 117mila certificati sull’intero territorio nazionale. Ed è oggi anche un polo di riferimento per il recupero di varietà antiche e dimenticate. Nel 2003 sul solco del recupero della biodiversità della vite in Sicilia, l’Assessorato regionale all’agricoltura avviò un progetto di ricerca sui cosiddetti ‘vitigni reliquia’.
Oggi sul Registro nazionale delle varietà di vite ne sono stati iscritte 13, con le loro denominazioni che rievocano il mondo agricolo prima dell’invasione della fillossera, l’insetto che mandò in rovina molti vigneti europei, soprattutto quelli siciliani: Relbianca, vitrarolo, inzolia nera, albanello, carnuffino, orisi, catanese nera e bianca, canina, cutrera, dolcetta, alzano e lucignòla. Una sperimentazione che, nella Sicilia occidentale, coinvolge in particolare il gruppo Tasca d’Almerita, azienda da 5 tenute agricole e 3 cantine (quella di Regaleali, la Saillier de la Tour a Camporeale e l’altra a Randazzo, sull’Etna) per un totale di oltre 3 milioni di bottiglie all’anno e quasi 18milioni di euro fatturati nel 2021.
Proprio il fondo di Regaleali, con le sue disparate tipologie di suolo è uno dei tre vigneti scelti dall’assessorato regionale all’agricoltura per le sperimentazioni sui vitigni che si coltivavano fino a tutto il 19° secolo.
Al momento si sta lavorando in particolare su varietà come Vitrarolo e Lucignòla: “Se dovessero andare in porto queste produzioni si aprirebbero prospettive molto interessanti sulla diversificazione della produzione vitivinicola siciliana”, afferma Ivo Basile, responsabile marketing e comunicazione della Tasca d’Almerita. Per l’azienda del conte Lucio Tasca, scomparso due settimane fa, così come per un numero crescente di realtà vitivinicole siciliane, la sostenibilità è diventata ormai una bussola. “Controproducente, però, praticare questo concetto in maniera ‘talebana’ – specifica Basile. Per esempio, si è sperimentata la riduzione del peso delle bottiglie: soluzione che ne causa però la facile rottura, rendendo problematici trasporto e stoccaggio del vino. Da un altro canto, ormai da anni tutti i nostri uffici amministrativi traggono l’energia elettrica solo da impianti fotovoltaici”.
Antonio Schembri