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VIDEO E FOTO | Viaggio nel sottosopra siciliano tra paesaggi “lunari” di sale e altre materie da sfruttare

Hermes Carbone
Hermes Carbone

Se si trattasse di un film, il titolo sarebbe “Ritorno al Futuro”. La location, non quella della californiana Hill Valley o del lontano West; piuttosto, le verdeggianti colline delle Madonie, dove la provincia palermitana abbraccia quella nissena e Google Maps segnala la presenza dell’incompiuta diga di Blufi. Ci siamo stati come QdS alcuni mesi fa: il tempo sembra essersi fermato ad allora. Il luogo in questione è talmente suggestivo da non essere a caso presente tra quelli proposti dalla Sicilia Film Commission in provincia di Palermo con la dicitura di “Petralia Sottana Miniera di Sale”. La miniera si trova in realtà a Raffo, frazione di Petralia Soprana.

Qui, dove il terreno è soggetto al rischio idrogeologico e i cui effetti sono palesi in strade che paiono più trazzere da terzo mondo che non statali (SS 120, ndr), si è tornati a parlare di futuro. Anche se nel periodo estivo l’acqua continua ad apparire come un miraggio. Per farlo, è stato necessario volgere il proprio sguardo al passato: più precisamente, nel sottoterra dell’entroterra. Nelle miniere, appunto. L’occasione da cogliere per territori vittime di un inesorabile spopolamento come quello delle Petralie e dell’area madonita, è giunta dall’Europa. A Bruxelles è stato approvato a inizio maggio lo European critical raw materials act, un documento che si pone l’obiettivo di contrastare l’assenza di materie prime la cui egemonia, a livello mondiale, appartiene da anni alla Cina, che ha cannibalizzato Africa e Sudamerica.

Questo perché l’estrazione dal sottosuolo è sempre stata considerata – spesso a ragione, come casi presenti proprio in Sicilia dimostrano – inquinante, costosa e dunque non sostenibile a livello finanziario e ambientale per il Vecchio continente. Adesso il Parlamento europeo ha cambiato idea: senza quei materiali la transizione ecologica è meno sostenibile per via dell’aumento dei costi di importazione dall’estero delle materie prime. Si pensi all’aumento su bollette di gas e luce dovuto a pandemia, guerra in Ucraina e crisi mediorientale. Da qui, la necessità di essere meno compromessi nel capitolo energetico rispetto a Francia e Germania. Un disegno nel quale si inserisce anche il piano del ritorno al nucleare, nonostante ben due referendum abrogativi (1987, 2011, ndr) che hanno detto “stop ai reattori”. Il passo successivo è quello del ritorno alle miniere.

Litio, cobalto e nichel sono utilizzati per produrre batterie; il gallio nei pannelli solari; il boro grezzo nelle tecnologie eoliche; il titanio e il tungsteno nei settori spaziale e della difesa. Nelle viscere della Sicilia, oltre alle falde acquifere scoperte al di sotto dei monti iblei, sono presenti anche alcuni di questi materiali altamente ricercati sul mercato.

Per decenni la Sicilia cuore pulsante dell’industria mineraria

Per decenni l’Isola è stata il cuore pulsante dell’industria mineraria italiana, vantando il maggior numero di miniere attive del Paese. Nel 1870 erano 107; 259 nel 1900 e addirittura 406 nel 1920 in base ai numeri forniti dall’Ispra. Lo zolfo la risorsa principale estratta. Ma anche salgemma, bitume, lignite. In misura minore, materiali come la marna, essenziale per il cemento, e minerali per la produzione di ceramiche. Il potenziamento dell’industria settentrionale portò a una lenta agonia delle cave siciliane. Nel 1960 le miniere attive erano scese a 311; dieci anni dopo erano addirittura arrivate a 71, fino alle 55 del 1980. Poi, la chiusura definitiva della maggior parte dei siti per questioni ambientali.
Oltre a promuovere l’adesione all’Erma (European raw materials alliance), il Ministero ha avviato a gennaio 2021 un Tavolo tecnico materie prime critiche, con l’obiettivo di rafforzare il coordinamento sul tema, potenziarne la progettualità in termini di sostenibilità degli approvvigionamenti e di circolarità, contribuire alla creazione delle condizioni normative, economiche e di mercato volte ad assicurare un approvvigionamento sicuro e sostenibile delle materie prime critiche.

Grado di purezza del sale al 99,9%

Negli ultimi 150 anni, l’Italia ha visto operativi circa 3.016 siti minerari, ma oggi solo 94 di essi possiedono una concessione attiva. Una di queste appartiene all’Italkali di Petralia. I rimorchi dei camion all’esterno della cava si pongono in contrasto rispetto al paesaggio agreste, ma raccontano dell’importante smercio di salgemma che avviene ancora a distanza di oltre sessant’anni. Il giacimento è protetto da un ampio strato impermeabile di argilla: questo è uno dei segreti della longevità del materiale estratto: grado di purezza al 99,9%.

Annunciata dall’Italkali la presenza di un’ulteriore cava adiacente

A sorridere non è solo l’azienda siciliana, ma soprattutto gli abitanti della zona. Negli scorsi mesi l’Italkali – qui con questa denominazione dal 1981 in seguito alla fusione tra l’Ente minerario regionale e la Emsams – ha annunciato la presenza di un’ulteriore cava adiacente le miniere già scavate e scoperta in realtà negli anni ‘90 in seguito alla mappatura voluta dal ministero. Tradotto: si stima sarà possibile estrarre salgemma per almeno altri trent’anni, i posti di lavoro della cinquantina di dipendenti attuali sono salvi. Con loro, anche quelli delle altre società che operano nel sito e di tutto l’indotto della zona che vive in primo luogo di Italkali e aziende agricole.

Ne è contento il sindaco Pietro Macaluso – primo cittadino di Petralia Soprana da 13 anni – ma ancor di più l’amministratrice delegata, l’avv. Monica Morgante. La felicità deriva soprattutto dalla rinnovata concessione ottenuta sul sito da parte della Regione siciliana. Questo perché negli anni si è andati avanti a colpi di proroghe che non hanno mai consentito una programmazione sul lungo termine. Ma adesso la musica è cambiata.

Ci accolgono insieme al dirigente generale del Dipartimento dell’Energia, Calogero Burgio, giunto appositamente da Palermo per il nostro sopralluogo. Originario di Serradifalco, il direttore è un esperto di miniere: prima del trasferimento nel Lazio, nel sottosuolo nisseno ci hanno lavorato negli anni prima il nonno e poi il papà. Per ragioni di sicurezza indossiamo anche noi il caschetto bianco dei minatori, saliamo a bordo di due fuoristrada ed entriamo nelle miniere attraverso il varco n.1. Il n.2 è lasciato libero per questioni di sicurezza, il n.3 è quello dal quale usciremo dopo oltre due ore a più di duecento metri di profondità.

Entriamo nella miniera di sale di Petralia sottana

Entriamo in miniera, ma sembra di aver fatto un tuffo nell’acqua del Mediterraneo. Questo perché le jeep alzano al loro passaggio vortici di polvere di sale: quel sapore lo percepiremo in bocca nel corso di tutta la nostra permanenza; gli operai si sono ormai assuefatti e sorridono nell’osservare i “neofiti” del sito. Ad attenderci un paesaggio lunare, meticolosamente mappato dal topografo Santo La Placa, memoria storica e qui da oltre 40 anni. È lui che nel tempo ha tracciato ogni tunnel: ogni pilastro di roccia, qui sotto, porta il suo nome. E se negli anni nessun incidente grave si è mai verificato, il merito è anche il suo. “Adesso sono solo un consulente”, racconta nel percorso che separa la luce del giorno da quella dei neon. “L’ammasso salino è composto da 15 livelli che abbiamo scavato, due chilometri quadrati di tunnel, uno spessore di 300 metri, gallerie che vanno da nord a sud dai 18 ai 20 metri ciascuna e oltre 100 chilometri di sentieri dai quali passano gli operai e i mezzi pesanti per l’estrazione di salgemma”, spiega La Placa. “Il sito aperto negli anni ‘60 stava concludendo il suo ciclo vitale – aggiunge l’avv. Morgante, che ha ereditato l’azienda dal papà, all’arrivo nel tunnel in cui è attiva la fresa – per questo è essenziale per la sopravvivenza la scoperta di nuove cave”.

La Sicilia è sempre stata una produttrice di salgemma

Formatosi sei milioni di anni fa per una serie di rari eventi geologici e per il prosciugarsi del Mediterraneo, “il sale estratto qui vede la luce per la prima volta sulle tavole degli italiani ed è pressoché un iper puro”, tengono a più riprese a specificare. L’Isola è sempre stata una produttrice di salgemma. “Fino al 1973, l’unico posto in Italia in cui la produzione non era dentro il Monopolio di Stato era proprio la Sicilia”, spiega la Ceo di Italkali raccontando la storia del sito e aneddoti legati al contrabbando tra le due sponde dello Stretto.

La Morgante è chiara sul futuro del sito

Negli ultimi mesi il colosso siciliano ha davvero temuto di dover passare la mano per la possibile partecipazione di realtà tedesche al bando per la nuova concessione per i prossimi 30 anni: così non è stato. Ma la Morgante è chiara sul futuro del sito, spegnendo gli entusiasmi sui rumors dei 100 nuovi posti di lavoro. “Al momento non è possibile prevedere se avverranno altre assunzioni di personale, pensiamo invece di spostare quello esistente sui prossimi scavi. Avendo esaurito la parte burocratico-amministrativa, adesso dobbiamo entrare nel vivo della progettazione”.

Un tempo si procedeva con la dinamite

Qui un tempo si procedeva con la dinamite galleria dopo galleria, “adesso è tutto meccanizzato e la differenza la si può notare anche sui segni della roccia presente sopra le nostre teste”, spiega Angelo Curatolo, il giovane e preparatissimo ingegnere responsabile del sito che ci mostra la purezza dei cristalli di sale alla luce delle torce. È sempre lui a guidarci tunnel dopo tunnel, prima dell’arrivo all’impianto di lavorazione del sale e alla sala di controllo di tutta la miniera, che anche in questo caso Italkali ha realizzato dentro le cave.

Non un lavoro semplice. “Sono otto ore sottoterra. Se si lavora su due turni, certe volte d’inverno uno entra col buio ed esce col buio. Però è un lavoro a cui teniamo tantissimo, siamo orgogliosi e la nostra è un’arte mineraria che si tramanda di padre in figlio”, raccontano alcuni minatori sorridenti.

Nei piani della Regione, la rinnovata concessione di Petralia non sarà l’unica: “Abbiamo altri bandi in rampa di lancio. Ci saranno Milena e Mussomeli. Partiranno anche i lavori di bonifica per la miniera Bosco di Serradifalco”, spiega il direttore Burgio, visibilmente emozionato per la sua presenza all’interno della cava. “Quando sono entrato al Dipartimento – aggiunge – il tasso di riscossione tributi nei confronti delle concessioni rilasciate era di circa il 12%. Adesso siamo al 100% ed è un risultato importante considerando che le miniere sono tra i siti che versano sia il canone superficiario che il canone produttivo. Si tratta di un settore che va riformato: basti pensare che l’aggiornamento sulla legge mineraria risale al 1956, anche se l’Italia si appoggia a quella del 1927”.

La prima legge mineraria nazionale

È l’anno in cui il governo italiano emette il Regio decreto 1443 con le norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere in Italia. Si tratta della prima legge mineraria nazionale, che stabilisce la proprietà nazionale delle risorse minerarie; la sua emissione permise a chi intendeva svolgere attività di ricerca e produzione di idrocarburi di operare in un quadro legislativo che ne definiva i limiti, gli obblighi e le prerogative. Questo alla luce anche della nascita dell’Agip appena un anno prima.

Ma torniamo ai giorni nostri

Oltre alla volontà politica, è stato determinante per il ritorno in miniera e la valorizzazione del sottosuolo anche un passaggio legislativo, come quello che ha restituito nuova vita a Bosco, dove è ancora presente un ammasso minerario: bomba ecologica per il territorio trasformatasi in opportunità di business. “L’articolo 9 del decreto 84 del 2024 ha semplificato enormemente la possibilità di valorizzare gli scarti estrattivi e reso più semplice il trasporto”, afferma Burgio rincarando la dose: “Siamo l’hub delle rinnovabili e va bene, ma la Sicilia non può non valorizzare il sottosuolo, per troppi anni lasciato nel dimenticatoio. Adesso ci auguriamo un piano di assunzioni anche per questo sito di Petralia”.