NEW YORK – L’ex presidente e Donald Trump e la sua squadra si sono letteralmente trasferiti a New York. La città è blindata e davanti al tribunale sono presenti i giornalisti di tutto il mondo, decisamente più numerosi rispetto ai sostenitori del tycoon, che di fatto si sono visti solamente lo scorso lunedì in occasione della prima giornata del processo per poi abbandonarlo al suo destino. La corsa verso Usa 2024 entra dunque in un terreno mai esplorato.
Mentre il processo prosegue con la selezione dei 12 giurati, la città di New York, storicamente democratica, si divide sui 34 capi d’accusa a cui Trump deve rispondere nel tribunale in cui risulta imputato per aver pagato in nero la pornostar Stormy Daniels, all’anagrafe Stefany Clifford, per comprare il suo silenzio su una relazione avuta in passato.
Luis lavora come informatico nella città di New York e crede che la burocrazia sia troppo lenta nel giudicare i processi di Trump: “Ci vuole troppo tempo per la selezione dei giurati, Penso che per fare in modo che la giustizia faccia il suo corso bisognerebbe accelerare i tempi del processo”.
Dello stesso parere è l’imprenditore Luke, che sul tema ha anche confessato di provare un certo nervosismo: “Io spero che il processo confermi la pena stabilita per Trump. Se non sbaglio si è parlato di quattro anni nel caso in cui dovesse essere condannato. Confesso che sono molto nervoso per questo caso, non è possibile che una persona così possa correre ancora per la presidenza”.
Peter invece è convinto che questo processo potrebbe essere l’inizio di una svolta per l’America: “Penso che fino ad adesso la selezione della giuria stia andando molto bene. Spero che una volta selezionati i giudici siano in grado di capire chi hanno di fronte. Ciò di cui sono sicuro è che il popolo americano non vuole altra violenza”.
Lana invece crede che chi compie delle cattive azioni debba anche accettare le possibili conseguenze: “Io penso di credere nelle leggi dello Stato ed è per questo che credo che ogni persona debba essere in grado di assumersi delle responsabilità per le azioni compiute”. Tra i newyorkesi si trova anche chi invece sostiene Donald Trump, come ad esempio Andrew, che rievoca nuovamente il termine persecuzione politica, utilizzato numerose volte anche dal magnate: “Penso che questo sia solamente un modo con cui i democratici puntano a vincere le prossime elezioni. Sconfiggere Trump senza permettere una lotta alla pari è una persecuzione politica”.
Opinione completamente opposta quella di Katherine, convinta che “se Trump fosse stato un cittadino normale a quest’ora sarebbe già in carcere”.
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