Nel 2023, dato appena reso disponibile dall’Istat, sono state 7.731 le persone accolte nelle strutture residenziali specializzate, le cosiddette case rifugio, e non specializzate, ovvero i presidi residenziali assistenziali e socio-sanitari, per motivi legati alla violenza di genere. Ma qual è la situazione in Sicilia?
Pessima, raccontano i numeri. Perché a essere accolta è soltanto una donna che ne fa richiesta su due: si tratta della percentuale italiana più bassa insieme a quella della Basilicata. Nel mentre, aumenta invece il numero delle violenze e delle chiamate al numero di emergenza 1522. Proviamo a mettere in ordine un po’ di numeri in questo approfondimento del Quotidiano di Sicilia.
I dati Istat a livello nazionale
Sono 4.157 i minori ospiti delle strutture: 2.875 sono i figli delle donne vittime di violenza accolte in casa rifugio, che potrebbero avere assistito o subito a loro volta la violenza, mentre 1.282 sono i minori vittime di violenza ospiti in strutture non specializzate. E il trend continua a crescere. Per questa ragione, nel 2023, è in aumento anche l’offerta delle case rifugio: +3,1% sul 2022 e addirittura +100% rispetto al primo rilevamento Istat del 2017. Secondo l’Istituto, “il tasso di copertura delle case rifugio è tuttavia ancora basso (0,15 ogni 10mila donne in Italia) con differenze territoriali importanti (si va dallo 0,21 del Nord-ovest allo 0,09 al Centro e al Sud)”. Aumenta anche il numero di donne ospiti delle case rifugio: dalle 1.800 del 2017 alle oltre tremila nel 2023. “Sono di più le donne ospitate nel Nord-est (1,5 per 10mila donne), nel Nord-ovest (1,2 per 10mila donne) e nelle Isole (1,0), rispetto al Centro e al Sud (entrambe 0,7 per 10mila donne), rispetto al valore di 1,0 del totale Italia”, spiega l’Istat. Se il 97,6% delle case rifugio riceve fondi pubblici, è interessante anche il dato della specializzazione delle case in tema di violenza di genere, con il 74% dei gestori che ricopre questa funzione da più di 13 anni e il 93,1% del personale operante che ha seguito un percorso di formazione. Un segnale chiaro di come la violenza di genere affondi in realtà i problemi in epoche nelle quali anche l’ambito legislativo – men che meno quello politico – non supportava ancora i cambiamenti e le devianze della società.
Quali sono le figure che operano all’interno
Sono tante le figure professionali che operano nelle case per supportare il cammino delle donne verso l’uscita dalla situazione di violenza e l’autonomia. Si tratta soprattutto di coordinatrici, operatrici, educatrici, psicologhe, avvocate e assistenti sociali. “In media, in ogni casa sono impegnate 11 operatrici (17 nelle Case del Centro, 8 nel Nord ovest e 9 nel Sud). Molte sono ancora le professioniste volontarie”, scrive l’Istituto. I servizi offerti sono molteplici, erogati spesso con il supporto dei Centri antiviolenza e dei servizi sul territorio, con i quali le case lavorano in rete, con il 91,2% delle strutture che aderisce ad una rete territoriale di soggetti istituzionali. Tra i servizi offerti, i più frequenti riguardano il supporto psicologico e la consulenza legale, l’accompagnamento agli altri servizi, l’orientamento al lavoro e all’autonomia abitativa, il supporto alla genitorialità e i servizi dedicati ai minori ospiti.
Confronto nazionale: Sicilia in ritardo rispetto al Centro-Nord
A livello nazionale, il numero complessivo di case rifugio è di 408, per un totale di oltre 2.000 posti letto garantiti. Il Nord si conferma come l’area più attrezzata: la sola Lombardia conta 48 case rifugio attive, la Toscana 35, l’Emilia-Romagna 30. Anche il Sud, pur scontando storiche difficoltà, mostra segnali di maggiore densità in regioni come la Campania, che registra 26 strutture attive. La Sicilia, con le sue 15 case rifugio, si colloca al di sotto della media delle regioni del Mezzogiorno, pur avendo una delle popolazioni femminili più numerose. A preoccupare non è solo il numero assoluto delle strutture, ma anche la loro distribuzione territoriale, che contribuisce ad acuire disparità interne e a generare zone d’ombra in cui le donne restano prive di ogni supporto concreto. Anche le strutture non specializzate seguono questo trend: la Sicilia è quartultima per numero di posti disponibili, preceduta solo da regioni di dimensioni minori come Basilicata, Molise e Valle d’Aosta, che comunque garantiscono maggiore assistenza dell’Isola alle donne che ne fanno richiesta.
Case rifugio in Sicilia: numeri in chiaroscuro
Secondo l’ultima rilevazione pubblicata dal Dipartimento per le Pari Opportunità, aggiornata al 31 dicembre 2023, la Sicilia dispone di 15 case rifugio attive, tutte strutture che offrono ospitalità gratuita e in sicurezza alle donne vittime di violenza, sole o con figli minori. Si tratta di un numero ancora lontano dai parametri raccomandati dalla Convenzione di Istanbul, che suggerisce almeno una casa rifugio ogni 10.000 abitanti di sesso femminile. Nel complesso, queste strutture in Sicilia hanno una capacità complessiva di 105 posti letto: un dato che, come detto, risulta inferiore alla media nazionale. Se rapportato alla popolazione femminile dell’Isola, emerge con forza il gap da colmare: in Sicilia ci sono solo 1,5 posti ogni 10.000 donne residenti, mentre la media italiana si attesta a 2,3. La soglia minima raccomandata sarebbe di 5. A questo si aggiunge un dato ancora più preoccupante: in tre province siciliane — Enna, Ragusa e Caltanissetta — nel 2023 non era attiva alcuna casa rifugio. Un vuoto territoriale che si traduce, nei fatti, in una grave disuguaglianza nell’accesso alla protezione per le vittime, spesso costrette a lasciare il proprio contesto locale per trovare un alloggio sicuro altrove.
Le strutture residenziali non specializzate: un supporto marginale
Accanto alle case rifugio, il sistema nazionale prevede anche la possibilità di accoglienza presso strutture residenziali non specializzate, come case famiglia o comunità alloggio, che però non sono specificamente pensate per le vittime di violenza. In Sicilia, al 2023, queste strutture erano 9, per un totale di 37 posti disponibili. Anche in questo caso, la distribuzione territoriale è fortemente disomogenea: ad esempio, Palermo concentra il 44% dei posti complessivi in strutture non specializzate, mentre Messina e Trapani ne sono sprovviste del tutto. Questo dato conferma un uso residuale e frammentario di tali strutture nel contesto siciliano. L’assenza di specializzazione le rende infatti meno adatte a gestire le esigenze specifiche delle donne vittime di violenza, specialmente in situazioni di grave rischio o in presenza di minori.
Tra tagli, ritardi e fragilità del sistema
Una debolezza endemica del sistema riguarda i servizi di presa in carico post-accoglienza, ovvero il reinserimento lavorativo e abitativo delle donne e dei bambini presenti all’interno delle strutture. Secondo quanto rilevato dal report Istat “Le case rifugio e le strutture residenziali non specializzate per le vittime di violenza – Anno 2023”, solo 6 case rifugio siciliane su 15 dispongono di un’équipe multidisciplinare completa — composta da psicologhe, assistenti sociali, operatrici legali — e solo 3 strutture hanno attivato percorsi stabili di formazione e reinserimento socio-lavorativo. Nonostante le criticità, la Sicilia ha visto nel 2023 alcune esperienze virtuose. A Catania, ad esempio, una casa rifugio ha attivato una rete con i centri antiviolenza, gli ospedali e i servizi sociali, garantendo una presa in carico integrata e tempestiva. A Palermo, invece, si è investito nella formazione delle operatrici, con un focus specifico sulla violenza assistita nei minori. Esempi che restano eccezioni, più che espressioni di un modello sistemico. È urgente — come richiesto da molte associazioni del territorio — la costituzione di una regia unica a livello regionale, capace di monitorare le strutture, distribuirle equamente sul territorio e garantirne la sostenibilità economica e operativa nel tempo.
Magistro (Cgil Messina): “Dati allarmanti, è una questione soprattutto maschile”
I dati del rapporto evidenziano come “siamo di fronte a una questione maschile che perpetra violenza in modo sistemico e diffuso”. A parlare ai microfoni del Quotidiano di Sicilia è Marcella Magistro, Segretaria Cgil Messina. “Sono importanti le case rifugio, come i centri antiviolenza, ed è importante che possano essere finanziate sempre di più dallo Stato, per sostenere anche il lavoro delle diverse professionalità – educatrici, psicologhe, avvocate, assistenti sociali, ma anche tante volontarie”. Restano preoccupanti i numeri di coloro che lasciano le case rifugio per far ritorno dai loro aguzzini: “Abbiamo visto che nel 2023 solo 753 donne sono riuscite a uscire dalla violenza, 227 sono tornate dall’uomo maltrattante e 235 hanno abbandonato il percorso. Questo ci dà un quadro rispetto a quanto non sia esaustiva l’esistenza di questi luoghi (case rifugio, centri antiviolenza) per uscire dalla violenza maschile”. Il problema resta culturale e strutturale, soprattutto in contesti più degradati anche sotto il profilo sociale come possono essere quelli siciliani. “È fondamentale creare in rete con le persone e i luoghi quella prevenzione che possa incidere realmente sulla violenza maschile sistemica – aggiunge la Segretaria Cgil – Anche perché si tratta di violenza che l’uomo pratica a casa, sul lavoro e in ogni contesto sociale. E poi è giusto distinguere i tipi di violenza: psicologica, finanziaria e fisica”. Nel 2022-2023 si stima che il 13,5% delle donne tra i 15 e i 70 anni, che lavorano o hanno lavorato, abbia subito molestie sul lavoro a sfondo sessuale nel corso dell’intera vita (soprattutto le più giovani, 15-24 anni: 21,2%) e il 2,4% degli uomini della stessa fascia d’età. Le molestie vengono subite anche al di fuori del mondo del lavoro: nello stesso periodo di riferimento, ne sono state vittime il 6,4% delle donne dai 14 ai 70 anni e il 2,7% degli uomini della stessa età. Poco più della metà di queste molestie avviene tramite l’uso della tecnologia (messaggi, email, chat o social media). Emerge anche un dato: solo il 27% delle donne accolte nei centri avvia una procedura giudiziaria verso il maltrattante, anche perché spesso esiste una vittimizzazione secondaria che porta le donne a rivivere la violenza subita nelle aule dei tribunali, o a dover avere un contatto con l’uomo maltrattante per contrattare separazione o altro, con uomini di cui si ha paura (come se ci fosse stato un conflitto, che in realtà è violenza). “O addirittura, come nel caso della giustizia riparativa, si chiede alle donne vittime di violenza di partecipare al corso di recupero maschile per far ottenere anche uno sconto di pena: questa è un’ulteriore violenza sulle donne”, spiega la Magistro.
La vita delle donne che escono dalle case rifugio
Nel 2023 sono 2.106 le donne uscite dalle case rifugio. Di queste, 753 hanno lasciato la casa perché hanno raggiunto gli obiettivi del percorso di uscita dalla violenza concordato con le operatrici della casa, mentre 227 sono tornate dal maltrattante e 235 hanno abbandonato il percorso di uscita dalla violenza. Le restanti 891 donne hanno lasciato per il trasferimento ad altre strutture o abitazioni private.
Le donne vittime di violenza ospiti al 1° gennaio 2023 in 213 strutture residenziali non specializzate sono 520, di cui 172 (33,1%) sono ospitate in strutture non specializzate ma dedicate alla violenza di genere. Alla stessa data i minori vittime di violenza nelle strutture residenziali non specializzate sono 1.282. Il 66% (843) è costituito da bambine e ragazze, ospitati in 473 strutture (generalmente di ridotte dimensioni, 421 strutture non arrivano a 15 posti letto). Numeri che raccontano di un inferno lontano dalla sua risoluzione. Anche perché non tutte le donne possono essere accolte nelle case rifugio. “Esistono alcuni criteri di esclusione per le case rifugio, come la presenza di disabilità e le conseguenti barriere architettoniche, o il disagio rispetto alle dipendenze”, sottolinea ancora la sindacalista. L’81,9% delle case rifugio (276 in valori assoluti) non accoglie donne soggette ad abuso di sostanze e dipendenze; l’80,7% (272 case rifugio) non accoglie donne con disagio psichiatrico; il 71,2% (240) donne senza fissa dimora; il 37,1% (125) donne vittime di tratta e prostituzione; il 20,8% (70) quelle prive di uno specifico status giuridico; il 19,9% (67) donne agli ultimi mesi di gravidanza; il 10,1% (34) ulteriori donne respinte sulla base di altri criteri di esclusione. “Ulteriori criteri di esclusione dall’accoglienza sono applicati da 207 case rifugio (il 61,4%) in relazione ai figli e figlie delle ospiti (la Tavola 18 contiene sia i valori assoluti che quelli percentuali). Sono 143 (42,4%) le case rifugio che pongono anche limiti all’età nell’accoglienza dei figli/figlie delle ospiti – conclude la Magistro – 163 (48,4%) pongono limiti di genere, 26 (il 7,7%) ulteriori criteri di esclusione”.
In questo contesto la Cgil insiste con la promozione di “accordi territoriali, protocolli e tavoli permanenti finalizzati alle iniziative di contrasto e monitoraggio. E poi agire sulla contrattazione nazionale, aziendale e territoriale per realizzare azioni e ottenere norme e strumenti per il contrasto della violenza e delle molestie”. Nel caso di donne vittime di violenza, a Messina è possibile rivolgersi allo “Sportello Donna” della Cgil, aperto in convenzione con il CEDAV.
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