Incontro "Donne, storie e violenza: istituzioni, sanità e società per un futuro più sicuro" all'ospedale Garibaldi per riflettere sulla violenza di genere in occasione della Giornata del 25 novembre.
Violenza sulle donne, in Italia una donna ogni tre giorni viene uccisa e il trend è in continua crescita, nonostante le attività di sensibilizzazione sul tema.
Oggi è il 25 novembre, la Giornata contro la violenza sulle donne. Scarpe e mani sporche di sangue colorano di rosso le bacheche dei profili social, ma non esistono soltanto i femminicidi, spesso frutto di denunce inascoltate. La violenza sulle donne ha infinite forme, anche subdole e difficili da dimostrare alle istituzioni, talvolta persino non riconosciute dalle vittime stesse.
Per affrontare la questione di genere in modo concreto, l’approccio deve essere multidisciplinare. E proprio sulla scorta di questa consapevolezza, qualche giorno fa, diversi professionisti si sono confrontati in una tavola rotonda all’ospedale Garibaldi di Catania, intitolata “Donne, storie e violenza: istituzioni, sanità e società per un futuro più sicuro”.
Le infinite forme di violenza sulle donne
La violenza sulle donne è verbale e culturale: perché se un uomo tradisce, allora “non ha resistito all’istinto”, se lo fa una donna “è una poco di buono”.
La violenza sulle donne è economica: perché in Italia lavora oltre il 70% degli uomini e soltanto il 47% delle donne; perché il gentil sesso guadagna meno a parità di competenze e ore di lavoro; perché se una donna diventa madre, deve lasciare o ridurre il lavoro, dipendendo dal marito/compagno; perché se una mamma si separa, deve pagare anche baby-sitter e asilo per realizzarsi professionalmente. Anche a seguito di una sentenza, basta che l’ex marito lavori in nero, per non ricevere alcun mantenimento nemmeno per i figli.
La violenza sulle donne è psicologica: “non vali niente”, “non puoi”, “stai attenta, che prima o poi…”, “sei pazza”, “sei cretina”, “non sei una buona madre”. Frasi che logorano le vittime quotidianamente, fino alla totale perdita della loro autostima.
La violenza sulle donne è istituzionale: perché su molte sentenze di condanna di uomini che hanno ucciso le donne, si legge che questi ultimi siano stati colti da misteriosi “raptus” e “cieca gelosia”.
E poi c’è lo stalking, la messa in atto di comportamenti persecutori da parte di un maltrattante che tenta in tutti i modi di rendere l’esistenza della donna un inferno, impossibile, con appostamenti e/o azioni che possano limitare le sue scelte e farla vivere perennemente nell’angoscia.
Queste e tante altre forme di violenza, più o meno dimostrabili, impediscono le pari opportunità di cui il nostro Paese ha urgente bisogno.
Violenza sulle donne: l’ospedale come luogo privilegiato per individuare i casi
Se le violenze psicologiche sono più difficili da dimostrare, lo stesso non si può dire delle violenze fisiche. Per questo al Garibaldi di Catania verrà presto inaugurata un’area dedicata alle donne, accessibile dal pronto soccorso, ma separata, visto che le vittime vengono spesso accompagnate in ospedale dagli stessi aggressori. Un luogo sicuro dove le maltrattate possano raccontare quanto accaduto davvero, chiarire ogni dubbio sulle procedure da seguire per denunciare in modo sicuro e cominciare a voltare pagina.
Cosa succede dopo la denuncia e l’ammonimento dell’aggressore
“La polizia giudiziaria, che non coglie in flagranza di reato l’aggressore, non può arrestarlo“, ha spiegato la procuratrice del tribunale di Catania Marisa Scavo. “Nei casi di lesioni personali aggravate, riscontrate dal personale medico, è soltanto possibile richiedere una misura cautelare e ottenerla, dopo mesi. Se dovesse verificarsi un ulteriore episodio di maltrattamento con il medesimo autore, invece, è previsto l’arresto”.
Questo tuttavia non significa che le donne, dopo la denuncia, vengano lasciate in balìa del loro potenziale assassino: “Sin da subito hanno l’opportunità di abitare in un luogo protetto, lontano dall’aggressore. Qualora una casa rifugio non fosse immediatamente disponibile, il pronto soccorso ha la possibilità di trattenere la persona offesa anche per 72 ore”, ha continuato.
Si può anche scegliere di non denunciare, ma di ammonire l’aggressore, cioè di chiedere la sua convocazione in questura per invitarlo a desistere dalla sua condotta violenta e a seguire un percorso di recupero.
“L’ammonimento può essere di due tipi: il primo è quello che può essere richiesto dalla persona offesa; il secondo, invece, è quello che può essere sollecitato dal presidio ospedaliero o dai semplici vicini di casa della vittima”, ha detto Scavo.
“Nella seconda ipotesi, la polizia giudiziaria avvisa prima la persona offesa, per darle l’opportunità di mettersi al sicuro in una casa rifugio, e poi notifica l’ammonimento all’aggressore. Solitamente le donne restano pochi giorni nelle case rifugio e poi vanno via, temendo di perdere il diritto all’abitazione. Bisogna assolutamente dire che non è così, perché solo il giudice civile può regolamentare questo aspetto”.