Il lavoro multifunzione ci vogliono i competenti - QdS

Il lavoro multifunzione ci vogliono i competenti

Carlo Alberto Tregua

Il lavoro multifunzione ci vogliono i competenti

venerdì 16 Novembre 2012

Non conta essere giovani, donne o anziani

Il diritto al lavoro, previsto dalla nostra Costituzione, non equivale al diritto ad un posto di lavoro. Lo scriviamo da oltre trent’anni e in questi ultimi tempi l’ha confermato il ministro Fornero, sollevando un vespaio.
La questione è talmente banale che non occorre sottolinearla. Infatti, il lavoro può essere autonomo, professionale, imprenditoriale, artigiano o di altro tipo, non necessariamente dipendente. Cioè non essere un posto di lavoro.
La voluta confusione fra lavoro e posto di lavoro è stata un cavallo di battaglia dei sindacati conservatori, che proviene dalla prima parte del secolo scorso quando il partito Comunista sovietico e i suoi satelliti vedevano il lavoro imprenditoriale come un lavoro di padroni.
Peraltro il comportamento di feudatari e nuovi imprenditori con la mentalità padronale c’è stato veramente e per lungo tempo, ma poi, dopo la Seconda guerra mondiale, si è via via sbiadito ed è definitivamente tramontato in un giusto equilibrio all’interno del mondo dell’impresa.

Con la mondializzazione e l’aumentata competitività, il mercato si è evoluto ed ha aumentato fortemente la competitività dei diversi fattori, fra cui il capitale e il lavoro. Nuove professioni e nuove invenzioni: interi settori si sono aperti, come per esempio internet, che ha già fatto nascere in Italia oltre 700 mila lavori, non posti di lavoro.
Proprio all’interno di questo comparto, il lavoro di iniziativa, l’invenzione e l’entusiasmo hanno prodotto un vorticoso avvio di attività che non cessa.
Per contro, interi settori manifatturieri, come quello dell’auto, sono andati in profonda crisi anche per colpa della recessione. Vedi caso, però, a fronte di un regresso della Fiat di oltre un terzo di auto vendute, la Volkswagen è in pareggio.
In questo scenario, il nostro Paese sconta ritardi e mancate riforme nel versante della ricerca e della formazione, che hanno azzerato la sua competitività. Una scuola inutile, ove due terzi dei docenti sono raccogliticci ed entrati senza concorso, non selezionati e non preparati, continuano a far crescere una generazione di ignoranti. Peggio ha fatto l’università, con il familismo, il clientelismo, la cupidigia e l’ingordigia di molti vertici che hanno pensato più a se stessi che agli allievi.

 
In Italia, molti blaterano che occorre dare spazio a donne, giovani, cinquantenni e così via. Si tratta di pura demagogia. Vi sono giovani, donne e cinquantenni addormentati e settantenni vispi. Ve ne sono altrettanti pari a zombie e giovani donne e cinquantenni formidabili e vivaci.
Non è dunque l’età o il sesso che distingue gli uni dagli altri, bensì il merito, la voglia di crescere, la capacità di sacrificio e di rinviare i propri desideri a tempi migliori, cioè più avanti. Gli incapaci, i nullafacenti, i bamboccioni, i fuoricorso universitari di cinque o dieci anni costituiscono una zavorra per la società.
Non è equo che i cittadini attivi, che si sbracciano e pagano le imposte, debbano mantenere codesti parassiti. Come non è equo che debbano mantenere altrettanti parassiti nella pubblica amministrazione, entrati per raccomandazione e non per concorso, in forte soprannumero rispetto alle effettive necessità.
Tutto questo è stato frutto di un becero clientelismo di un ceto politico fatto di senza-mestiere che ha trovato la cuccagna nella Cosa pubblica.

Ma i soldi sono finiti, non ci sono più risorse per tanto becerume, gli apparati vanno tagliati senza pietà, mentre vanno potenziati i servizi, rinforzandoli con professionisti di qualità, preparati e meritevoli.
Il moderno lavoro è multifunzione, cioè ognuno deve saper fare tante cose e saperle fare bene. Non solo, ma deve essere capace di integrarsi e interfacciarsi con tutte le attività di cui è circondato. Chi pensa di poter fare nello stesso modo lo stesso lavoro per tutta la vita, è fuori dal tempo e prima o dopo sarà penalizzato con l’espulsione dal lavoro.
Basta difendere i posti di lavoro! Spingiamo i giovani, le donne e i cinquantenni a cambiare la propria professionalità adeguandola alle richieste del mercato. Nonostante tutto, in Italia, vi sono centinaia di migliaia di posti scoperti e di richieste di personale qualificato che i disoccupati non sono in condizione di soddisfare.
Dispiace che questa verità sacrosanta non venga detta dai rappresentanti del ceto politico, che preferiscono rifugiarsi in quei luoghi comuni che ci hanno portato al baratro.
Ora occorre risorgere.

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