Agricoltura: ancora in cerca della ripresa. Fare rete per uscire dalle secche della crisi - QdS

Agricoltura: ancora in cerca della ripresa. Fare rete per uscire dalle secche della crisi

Antonio Borzi

Agricoltura: ancora in cerca della ripresa. Fare rete per uscire dalle secche della crisi

mercoledì 29 Maggio 2013

“È l’unico settore segnato da crescita occupazionale”, ma non decolla a causa degli scarsi investimenti

CATANIA – In una provincia come quella catanese, votata da sempre al settore commerciale, quello primario viene spesso dimenticato. Un errore evidente quando, come è sotto gli occhi di tutti, l’economia stenta a riprendersi da una profonda depressione e in particolar modo il settore terziario è quello più colpito dalla crisi. Un settore quello del comparto agricolo che potrebbe primeggiare nel territorio italiano grazie a prodotti unici che rappresentano elementi di alto livello per il nostro territorio. Basti solo pensare a due prodotti principe dell’agricoltura catanese come il pistacchio di Bronte o le arance della piana di Catania. Ma, nonostante queste lodi ai nostri prodotti, poco o nulla è stato fatto per migliorare la situazione di un comparto ormai in ginocchio e che non ha trovato nel corso degli anni adeguate risposte da parte delle istituzioni.
Abbiamo voluto affrontare la questione con Giovanni Pappalardo presidente provinciale di Coldiretti Catania. “La crisi – dichiara Pappalardo- è presente come in tutti gli altri settori ed è innegabile che è presente fra tutti gli iscritti. Il nostro problema è che la crisi non comincia dal 2007 o il 2008 ma è ben radicata dal 1990. Il settore primario, che come afferma lo stesso nome dovrebbe rappresentare la base dell’economia, è stato spesso dimenticato e sottovalutato”.
Una considerazione che potrebbe portare immediatamente a pensare a una dimenticanza da attribuire alle istituzioni, ma per Pappalardo il problema è più ampio. “L’investimento troppo ampio nel settore industriale e in quello commerciale – afferma il presidente di Coldiretti – non hanno portato soltanto a un impoverimento economico delle attività ma anche a un problema culturale. Infatti per i giovani essere imprenditori nel settore agricolo è diventato dequalificante. Di conseguenza si è creato un gap generazionale tra i vecchi proprietari terrieri e le nuove generazioni che dovrebbero innovare le attività. Per fortuna oggi quest’andamento sta cambiando, con il comparto agricolo che è stato l’unico settore segnato da una crescita occupazionale, in un’Italia che ha nella disoccupazione il problema principale”.
A dimostrarlo infatti è anche la presenza di Pappalardo alla presidenza provinciale di Coldiretti. Con i suoi 27 anni, infatti, rappresenta un’inversione di rotta molto importante rispetto al passato ed è uno dei presidenti più giovani in tutto il panorama nazionale. Il pensiero di Pappalardo si rivolge soprattutto a delle riflessioni interne alla stessa Coldiretti e al modo di fare agricoltura.
“La soluzione della crisi – afferma a tal proposito – potrebbe essere trovata nel fare sistema. Infatti per troppo tempo gli stessi imprenditori hanno rifiutato di mettersi insieme per fronteggiare un mercato che è cambiato rispetto a molti anni fa. Per troppo tempo si è guardato al vicino come un nemico, ma adesso le cose devono cambiare e stanno per fortuna cambiando”. Il modello infatti è quello che da diversi anni ottiene successo in territorio come l’Emilia Romagna con le cooperative o in Trentino con il marchio Melinda che è ai vertici delle vendite in tutta la Nazione ed è costituito da diverse piccole aziende associate.
Ma non soltanto unione fra imprenditori. La soluzione è anche nel cercare nuovi mercati e soprattutto nuovi prodotti. La nostra terra infatti permette di fare una coltivazione ottimale in diversi mesi dell’anno. Non pochi indicano nella Sicilia una terra adatta per la colture come quelle degli arachidi o dell’avocado. Prodotti che fino a pochi anni fa potevano essere associati soltanto alla California ma che adesso, grazie anche ad un evidente cambiamento del clima, possono essere accolti nell’isola. In definitiva è un comparto che sente la crisi, ma che sta vivendo dei cambiamenti interni che fanno ben sperare nel futuro. L’economia in generale sta lentamente tornando ai beni materiali e alla ricerca delle vecchie forme di prodotti. Di tutto questo il settore agricolo non potrà che beneficiarne.

Arancia rossa, croce e delizia. Diversificare per competere
CATANIA – Per tanto tempo sono stati il motore dell’agricoltura catanese, ma negli ultimi anni le cose sono cambiate. Parliamo del settore agrumicolo che oggi risente dell’alta competitività dei prodotti del Nord Africa, della Spagna e della Turchia. Un problema ormai evidente, ma che non è da ricercare soltanto all’esterno, ma anche nelle secche di un’errata gestione delle colture.
“Per tanti anni – dichiara a tal proposito Pappalardo – il prodotto principe era l’arancia rossa che ha consentito di fare alti profitti per la sua esclusività nel mercato. Oggi le cose sono cambiate e gli altri mercati consentono di avere le arance, nelle diverse tipologie, per un periodo più lungo dell’anno. Oggi i terreni devono essere pensati in questo modo. Non soltanto l’arancia rossa ma anche le altre, questo è il sistema per vincere le commesse”.
Affermare però che i problemi del comparto agrumicolo sarebbero da ricercare soltanto nell’errata gestione delle varie qualità colturali sarebbe errato. L’arretratezza delle strutture, dei sistemi di irrigazione e dei campi è evidente. Anche in questo caso dovrebbero venire incontro le amministrazioni ai contadini che spesso si trovano in evidente difficoltà.
“La tristezza dei campi – afferma il presidente di Coldiretti – è uno dei fenomeni maggiormente dannosi per la coltura agricola. È un autentico virus che colpisce le piante e che lentamente distrugge l’intero raccolto. In questo senso il reimpianto è l’unica soluzione per poter proseguire l’attività. Sarebbe utile un contributo per gli imprenditori che inoltre potrebbero anche ripensare la propria attività diversificando le varie tipologie di piante nel terreno. Il contributo, però, diventa fondamentale: affinché il terreno torni produttivo, ci vogliono almeno 5 anni”.
Pensare a Catania che non possa più beneficiare delle proprie arance nel mercato è devastante, ma il mercato di certo non aspetterà che i nostri imprenditori riescano a ripensare alle proprie attività riferendosi a un contesto competitivo in campo europeo. La grande distribuzione, infatti, non pensa più alla Sicilia perché non riesce a garantire il prodotto per larga parte dell’anno. Una situazione dalla difficile risoluzione e che può trovare uno sfogo positivo nella rimodulazione dell’intero sistema.
 

E intanto è boom per il mercato del contadino

CATANIA – I cittadini si stanno riavvicinando ai prodotti della propria terra. Questo è il risultato di una lunga battaglia combattuta dalla Coldiretti che ha cominciato a puntare fortemente sul chilometro zero. Un vantaggio evidente non soltanto per il costo molto più basso dei prodotti rispetto a quelli della grande distribuzione, ma anche e soprattutto per la genuinità di quanto viene consumato.
A Catania il mercato di piazza Verga sta ottenendo un successo sempre crescente. Dai pochi stand che hanno visto la propria comparsa all’apertura del mercato nel centro della città, si è passati a una richiesta sempre crescente da parte degli agricoltori per essere ospitati da “Campagna amica”.

Da una clientela di passaggio si è passati a una fidelizzata che ormai è diventata abitudinaria del mercato Coldiretti. I prodotti venduti nello stesso, come scritto nello stesso statuto dell’iniziativa Coldiretti, devono avere un prezzo inferiore del 30% rispetto a quello di mercato. I prodotti vengono venduti dagli stessi agricoltori che in questo modo si trovano a dare anche delle informazioni utili ai visitatori che riescono a comprendere i segreti della terra catanese.
Non soltanto però “Campagna amica”: Coldiretti punta forte alla scuole dell’intero comprensorio catanese, organizzando periodicamente campagne di sensibilizzazione nei confronti dei più giovani che ormai sono abituati a un’alimentazione errata.

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