I clandestini danneggiano disoccupati e precari - QdS

I clandestini danneggiano disoccupati e precari

Carlo Alberto Tregua

I clandestini danneggiano disoccupati e precari

venerdì 02 Agosto 2013

Lavoro nero ed evasione in aumento

La questione dei clandestini non riguarda solo l’aspetto sociale, pur importante. Riguarda i riflessi sull’occupazione ovvero sulla disoccupazione di tanti italiani. Una cosa sarebbe avere immigrati con regolare permesso, quindi conosciuti dal Sistema Paese, altra cosa è avere decine di migliaia di persone anagraficamente inesistenti.
La speculazione su questi poveretti è evidente con le attività di caporalato che ha lo scopo di sfruttarli approfittando del loro bisogno. Tutte le braccia che vengono usate in tal modo costituiscono anche l’alimentazione all’evasione fiscale e previdenziale.
Sono, quindi, due i danni prodotti dai clandestini: sottrazione di lavoro ai cittadini italiani e agli immigrati regolari e aumento del nero fiscale e contributivo. Vengono così danneggiati costoro perché, se i clandestini non ci fossero, chi deve far svolgere un lavoro anche manuale, sarebbe costretto ad utilizzare i lavoratori in bianco piuttosto che quelli in nero.

Il fenomeno dell’ingresso di migliaia e migliaia di fuggitivi, che partono dalle coste africane (e non solo) e approdano alla porta d’Europa (Lampedusa) ma anche sulle coste siciliane, calabresi e pugliesi, non c’è in Francia, non c’è in Spagna e neanche in Grecia. Nel Paese iberico e in quello transalpino i clandestini non possono approdare perché le forze dell’ordine li respingerebbero e nessuno si scandalizza per il fatto che essi non vengono salvati. Se entrano in quei Paesi vengono immediatamente rispediti alla partenza.
Non si capisce perché lo stesso ragionevole rigore non possa essere adottato anche dal nostro Paese. Con appositi accordi, in parte esistenti e in parte da migliorare con i Paesi africani, si potrebbe impedire che tanti poveretti fossero illusi da malfattori che li usano come carne da macello, dissanguandoli dei loro poveri risparmi anche nella misura di 2 o 3 mila dollari per persona.
Gli immigrati regolari sono una ricchezza per il Paese ma anche una riserva. In ogni caso, molti di loro sono stati abili e sono diventati anche piccoli artigiani, piccoli imprenditori, o hanno trovato sbocco lavorativo presso imprese di varie dimensioni, dimostrando una volontà straordinaria di apprendere e operare.

 
Certe forme di pietismo non hanno nessuna ragion d’essere, perché se fossero vere tutte le lamentele di gruppi che hanno lo scopo di dissociare il Paese, dovremmo aprire le porte non già a migliaia, ma a centinaia di migliaia e forse a milioni di clandestini, e questo non sarebbe possibile per questione d’incapienza del nostro territorio. Siamo 60 milioni di cui quasi 5 milioni immigrati regolari ed è un numero sufficiente per crescere in livello sociale ed in livello economico.
Un Paese ordinato non può consentire il sovraffollamento di fantasmi che umanitariamente devono sopravvivere arrangiandosi in qualunque modo, ma questo crea una situazione difficile ove si pensi che in Italia vi sono già 3 milioni di disoccupati ed un numero rilevante di precari che non trovano un’occupazione fissa.
Va da sè che il lavoro non si crea per decreto, ma in conseguenza alla conclusione di questa pesante fase recessiva che sembra proprio sia arrivata all’ultimo stadio, tant’è che alla fine di quest’anno o ai primi del prossimo, tutte le fonti di studio concordano una ripresina seppure modesta.

Un’ultima questione va esaminata riguardo ai clandestini: il fatto che essi intasano le carceri italiane. Sono quasi un terzo dei circa 67 mila detenuti. Fra le ipotesi di lavoro per svuotarle, non sembra sia stata messa all’ordine del giorno quella di concordare con i Paesi di origine il trasferimento dei carcerati che potrebbero andare a scontare eventualmente le pene inflitte dai tribunali italiani nei loro Paesi.
La soluzione prospettata sembra  ragionevole e non si capisce perché la Farnesina non abbia preso questa iniziativa che sarebbe estremamente utile anche sotto questo versante. Quando si confonde l’aspetto umanitario con quello sociale si fa un danno incalcolabile perché è vero che bisogna contemperarli entrambi ma è anche vero che la solidarietà si può dimostrare avendo presente l’esigenza che tutto funzioni in modo ordinato ed efficiente. e questo proprio non accade.

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