Call center, il rifugio forzato di tanti disoccupati siciliani - QdS

Call center, il rifugio forzato di tanti disoccupati siciliani

Margherita Montalto

Call center, il rifugio forzato di tanti disoccupati siciliani

giovedì 27 Febbraio 2014

Una tipologia di lavoro regolamentata dal 2003 ma che non riesce a garantire migliaia di occupati. Inbound, outbound, contratti, orari di servizio e mercato dei dati sensibili

CATANIA – “Centro chiamate” meglio noto come “call-center”, certamente utile, pratico con chiamate telefoniche da e verso un’azienda, è gestito da risorse umane attraverso un sistema di reti per fornire informazioni, attivare servizi, fornire assistenza tecnica, offrire servizi di prenotazione, consentire acquisti e organizzare campagne promozionali, attività di ricerca di mercato, statistiche, aggiornamento dati, etc.. Le telefonate si concludono con la richiesta al cliente di accettare brevi domande e risposte utili per l’indicatore di prestazione, il Customer Satisfaction, per valutare se l’operatore sia riuscito a soddisfare il cliente per il servizio fornito.
Ormai i sistemi del call center fanno parte dei sistemi di mercato adottate dalle aziende. Cosa c’è da sapere? Le chiamate del call center sono gestite in Outbound (chiamate in uscita), e Inbound (chiamate in entrata). Nella Circolare n. 14/2013 il ministero del Lavoro richiama la Circolare 17/2006 in cui si definisce le attività di Outbound come quelle nell’ambito delle quali “il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco predeterminato di tempo l’utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un singolo committente, mentre l’Inbound l’operatore non gestisce la propria attività né può in alcun modo pianificarla giacchè la stessa consiste prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell’utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo”.
Tipologia di lavoro regolamentato già dal 2003 con una serie di decreti e normative e sulla base delle disposizioni in vigore sino al giugno del 2013, i contratti devono mettere i lavoratori nelle condizioni di svolgere la loro attività in modo autonomo e senza i vincoli tipici del lavoro subordinato. Il ministero del Lavoro ha dato indicazioni precise attraverso la suddetta circolare (17/2006) con la quale sono stati forniti i criteri di legittimo utilizzo del contratto nel settore dei call-center. Il collaboratore deve potere decidere, nel rispetto delle forme concordate di coordinamento, anche temporale, della prestazione: se seguire le prestazioni ed in quali giorni; a che ora iniziare ed a che ora terminare la prestazione giornaliera, se e per quanto tempo sospendere la prestazione giornaliera.
Ulteriore approfondimenti da parte delle norme in riferimento al call-center riguardano la delocalizzazione delle attività, azione che comporta una dispersione di dati e informazioni. Con un Emendamento, si legge da una nota, “è riconosciuto il diritto del cittadino-cliente di essere informato sul luogo fisico in cui saranno gestiti i suoi dati personali consentendogli di opporre un rifiuto al trattamento di dati in paesi diversi dall’Italia. E’ un emendamento che incoraggia a proseguire nella battaglia contro il mercato nero dei database di dati sensibili”. Con questo Emendamento “le aziende che delocalizzano le attività non potranno ricevere incentivi all’occupazione e, comunque, dovranno darne comunicazione almeno 120 giorni prima al Ministero del lavoro, indicando i lavoratori coinvolti, e all’Autorità garante della privacy informando sulle misure adottate per la tutela dei dati personali. Il mancato rispetto delle norme vien punito con una sanzione di 10 mila euro per ogni giornata di violazione”.
 


L’approfondimento. La GdF attiva sul territorio per scovare irregolarità
 
I call center si aprono all’utenza con un ventaglio di proposte e permettono di impiegare personale attraverso contratti di collaborazione. La voce che propone qualcosa è di giovani e meno giovani. Pressanti le telefonate, ma per gli operatori è il loro lavoro e sperano a volte che, fra mille telefonate, possa capitare qualcuno che accetti la proposta, l’offerta. Uno sfruttamento sul lavoro e del lavoro che non passa inosservato agli attenti controlli della GdF volti a contrastare il fenomeno del ricorso a forza lavoro in nero. I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania hanno eseguito recentemente un controllo focalizzato sui cc.dd. “contratti di collaborazione a progetto”, frequentemente utilizzati dalle società per i vantaggi che ne derivano in termini di riduzione dei versamenti dei contributi previdenziali e, conseguentemente, di abbassamento del costo del lavoro. Sono emerse irregolarità che violano quanto stabilito dalla normativa: orari di lavoro predeterminati, retribuzioni legate alla produttività, nessuna libertà nella scelta e nella gestione dei contatti e, nella quasi totalità dei casi, mancata conoscenza da parte dei lavoratori del progetto specifico per cui si era stati assunti e della finalità dello stesso e nessuna traccia della retribuzione minima garantita.

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