Fausto Raciti: "Dare alla nostra Isola una nuova prospettiva" - QdS

Fausto Raciti: “Dare alla nostra Isola una nuova prospettiva”

Melania Tanteri

Fausto Raciti: “Dare alla nostra Isola una nuova prospettiva”

venerdì 20 Maggio 2016

Forum con Fausto Raciti, Segretario Regionale PD Sicilia

Segretario, la situazione della Sicilia non sembra affatto migliorata negli ultimi sette anni. Sono stati persi ad esempio, oltre 17 miliardi di Pil. Pensa che il problema sia istituzionale, o legato piuttosto all’elezione diretta del Presidente della Regione?
“In Sicilia, il sistema politico non si è mai adattato veramente all’elezione diretta del presidente. Il problema vero è che sul piano istituzionale è rimasta al periodo precedente l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente, vale a dire alla fase del governo dell’Assemblea. Dall’altro abbiamo un presidente eletto direttamente. Insomma, le due istituzioni sono asimmetriche: ad esempio, continua a persistere il voto segreto all’Ars, uno strumento con il quale l’assemblea si riprende il potere rispetto al governo. Acquisisce il potere di travalicare le maggioranze politiche, di rompere gli schemi e di mettere, se necessario, in difficoltà la Giunta. Ritengo che, sul piano istituzionale, la Sicilia non si sia mai adattata all’elezione diretta e che l’Ars mantenga una logica politica e un regolamento difforme. A questo poi bisogna aggiungere la disgregazione e la scomposizione del sistema politico, che ha visto prima l’esplosione del centrodestra, fondamentalmente come effetto del tentativo autonomistico di Raffaele Lombardo, e poi l’affermazione per la prima volta nella storia del centrosinistra che fa perno sul Pd, con il sostegno del Megafono e dell’Udc. Quest’ultimo è un partito fino a pochi anni fa guidato da Cuffaro e che ha vissuto un cambiamento radicale di rotta e di profilo politico”.
Quindi pensa che sia il sistema ad aver provocato il disastro degli ultimi sette anni?
“Io penso che questa sia stata una grande opportunità, ma colta tardi, per due ragioni: la prima è che abbiamo perso troppo tempo nel riconoscere il fatto, e questo è stato un limite anche del presidente Crocetta, che la politica è fondamentale per governare. Il governo non è mestiere per tecnici. Insomma, sarebbe servita prima un’iniezione più forte di politica e competenze, cioè avere capacità di gestire il governo secondo un disegno che armonizzasse, non solo forze politiche ma anche la Sicilia stessa. Questa si è sentita tagliata in due, tra chi è protetto dal “sistema Regione” e chi è escluso da questo sistema. Se non si interviene la frattura si allarga ed è la politica a dover agire".
La seconda ragione?
“Il secondo elemento di diversità rispetto al passato, è dovuto al fatto che, di fronte alla crisi, lo Stato ha chiesto alla Sicilia, in rapporto alla popolazione e al Pil, più di quanto abbia chiesto alle altre regioni. Il sistema politico non è stato in grado di reagire, ma siamo al punto di svolta da questo punto di vista. Stiamo chiudendo l’accordo con lo Stato che non riguarda solo l’arrivo di 450 milioni, ma riguarda il fatto che la distribuzione delle risorse tra Stato e Regione viene definita in maniera ultimativa, e questo consentirà alla Sicilia di sapere su cosa contare e programmare, e allo Stato di non avere ogni anno in finanziaria la preoccupazione di come salvare la Sicilia dal default. Questo farà la differenza tra l’atteggiamento rivendicazionista del passato e la capacità di mettere in campo qualche risultato. In sette anni, quelli di cui parla, la Sicilia è stata svuotata del trenta per cento del bilancio”.
Quali azioni sono state poste in essere per il bilancio? C’è spazio per gli investimenti?
“Abbiamo fatto operazione di pulizia del bilancio che ammonta a sedici miliardi e la rendicontazione della programmazione dei fondi comunitari della Sicilia si è chiusa in maniera positiva. Per quanto riguarda le risorse per gli investimenti, ci sono anche quelli europei. Uno dei motivi di questo accordo è proprio liberare risorse per il cofinanziamento della spesa europea. Noi abbiamo quattro misure  in campo: il patto per la Sicilia, di cui fanno parte il patto per Catania e il patto per Palermo. Abbiamo due miliardi e due di Piano di sviluppo rurale;  il Po Fesr e il Fondo sociale europeo. Insomma, ci sono gli strumenti per governare la Sicilia a partire dai prossimi mesi e indirizzare lo sviluppo”.
 
Chi pensa possa rappresentare la guida migliore?
“Credo che possa essere solo un Pd che faccia il suo compito. Ritengo sia questo il luogo in cui si elaborano le idee, il progetto politico. Il dibattito è confuso ma penso che il compito di legare istituzioni diverse sia della politica. Che poi è quello che sta tentando di fare Renzi, cercando di dare una identità all’Italia. Bisogna però sottolineare che, senza la Sicilia, l’Italia non c’è. Se veramente il disegno del Governo è dare al paese un’identità,  anche noi dobbiamo fare la nostra parte”.
Dopo approvazione dell’Italicum, c’è in programma di cambiare legge elettorale siciliana?
“Non credo che ci siano le condizioni e, per quel che mi riguarda, l’Italicum non è un modello che può andare bene per la Sicilia. Per come è fatto il sistema politico siciliano, non credo che adeguarlo sia utile. Anzi, il contrario. La Sicilia è una regione dove il trasformismo della classe politico è accentuato. Un sistema che tende a semplificare in due partiti è un sistema che non tenderà a rinnovare la classe politica. Inoltre, l’idea di omogeneizzare l’Ars al presidente che vince su una lista, rischia di essere devastante”.
Elezioni 2017, pensa che l’astensionismo possa aumentare?
“È chiaro che c’è uno scollamento dalle istituzioni. È un riflesso della crisi economica e della Regione. Credo che, se siamo in grado di mettere in moto la Sicilia e darle una prospettiva credibile, questo fenomeno possa iniziare a riassorbirsi. Serve però che il mio partito sappia essere perno di questa proposta uscendo da questo clima di perenne confusione e dialettica interna macchinosa e poco chiara”.
 
Si ritiene soddisfatto per quanto è stato messo in atto?
“Oggettivamente, mi sento di fare un bilancio positivo del lavoro che stiamo tentando di fare. Credo che la Sicilia abbia gli strumenti per segnare un’inversione di tendenza. Il tema vero non è quanto si spende ma in che modo”.
 Queste sono le misure che la politica ha pensato, ma non è la burocrazia che deve metterli in campo?
“La politica deve condizionare anche la burocrazia. Bisogna dare certezza alla programmazione, oltre alla certezza dei cicli dei bandi, e mettere in campo questi strumenti che consentono a pubblico e privato di sapere quando ci sono i bandi, con certezza. Già questo sarebbe una svolta, una piccola rivoluzione. Ma sono tutte azioni che sono state già avviate”.
In che modo pensa si possa smuovere l’economia? Su cosa bisognerebbe puntare per ribaltare la situazione?
“Serve un’idea di Sicilia che tenga insieme gli interventi, mettendo in campo progetti che li orientino. La Sicilia è stata raccontata come una terra di piaghe; certo, i problemi non mancano anche se non si limitano alla criminalità. Occorre riattivare le risorse che la regione possiede, in termini di saper fare, di impresa privata, di giovani. Le energie ci sono. O noi riusciamo a ripartire puntando sulla valorizzazione di tutto questo, raccontandoci che non tutto va male e ribaltando l’idea stessa che noi veicoliamo, o non riusciremo.  C’è tutto un pezzo di Sicilia che fa impresa partendo dalle eccellenze, dalla gastronomia, alla microelettronica, all’industria farmaceutica a quella turistica. Mille cose si fanno bene, bisogna metterle insieme e ripartire di questo. Poi occorre sviluppare maggior coinvolgimento delle amministrazioni locali. Perché la sensazione di questi anni è che Ars e presidenza si muovano separatamente. La vicenda delle città metropolitane è un riflesso di questa difficoltà”.

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