Sicilia fuori dal tunnel: ecco come - QdS

Sicilia fuori dal tunnel: ecco come

Sicilia fuori dal tunnel: ecco come

sabato 11 Novembre 2017

Riforma burocrazia regionale, investimenti per Pil e occupazione, fondi europei ed infrastrutture. Spendere subito 17,6 mld (fondi Ue e statali) e 5 mld in investimenti

Infrastrutture, investimenti, dissesto idrogeologico, rifiuti ed energia rinnovabile, riforma della pubblica amministrazione e burocrazia regionale, Pil, occupazione, fondi europei. E poi ancora, formazione professionale, reti idriche, depuratori: le emergenze che il nuovo Presidente della Regione, Nello Musumeci, si troverà a dover affrontare sono così tante che c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Senza la piena collaborazione e il senso di responsabilità di tutti e settanta i deputati dell’Assemblea regionale siciliana, risollevare le sorti della nostra Isola non sarà impresa facile anche perché, agli occhi dei cittadini, c’è un’intera classe politica da “riabilitare” sotto il profilo della credibilità.
Il tempo delle chiacchiere, dunque, è finito. Alla Sicilia servono risposte tempestive e soluzioni concrete. Oggi, non domani.
 
Riforma burocrazia regionale
Guarire la Regione da corruzione ed elefantiasi, trasformarla strumento propulsivo per l’economia
 
“Rendere efficiente l’istituzione Regione. Essa opera in un contesto problematico: se dovesse restare un problema non potrà mai essere uno strumento risolutivo. Quindi, per prima cosa, riforma della pubblica amministrazione: premiare il merito”. Nello Musumeci spiegava così, al Quotidiano di Sicilia, al forum dello scorso 23 settembre, in piena campagna elettorale, quale sarebbe stata la priorità del suo governo, qualora eletto. Quella della burocrazia è la madre di tutte le riforme perché trasformare la Regione in strumento propulsivo per l’economia isolana, guarirla da elefantiasi e corruzione, significa avviare finalmente un percorso virtuoso di cui la nostra Isola ha disperato bisogno ma che fino ad oggi la classe politica siciliana ha solo auspicato e mai tracciato concretamente.
La riforma della Pa regionale non può prescindere dal taglio della cosiddetta “spesa cattiva”. Lo sa bene Musumeci, lo sa bene anche il governo nazionale che, nell’Intesa Stato-Regione firmata da Crocetta nel giugno 2016, ha stabilito nero su bianco quanto la Sicilia deve tagliare e con quale tempistica. “Dal 2017 al 2020, si legge nel documento, bisognerà tagliare la spesa corrente del 3% per ciascun anno rispetto al precedente”.
La riqualificazione della spesa regionale ha un effetto positivo immediato poiché si traduce in un aumento progressivo delle risorse destinate agli investimenti.
E di investimenti, la Sicilia, ha disperato bisogno. (pp)
 
Enti locali e riforme istituzionali
Rimettere ordine alle ex Province e avviare una “necessaria” revisione dello Statuto speciale
 
Il neo presidente Nello Musumeci avrà l’arduo compito di lavorare sui tesissimi rapporti tra Regione ed Enti locali. Da chiarire, in primo luogo, c’è tutta la questione legata a quantità e tempi dei trasferimenti: più volte l’AnciSicilia ha sottolineato come i ritardi nell’approvazione dei Bilanci fosse legata a un effetto domino scatenato proprio dalle inadempienze della Regione, che adesso è chiamata a dare risposte certe ai sindaci.
Ma una delle eredità più pesanti lasciate da Rosario Crocetta e dalla precedente Assemblea regionale siciliana in tema di Enti locali è quella legata alla fallimentare riforma delle ex Province regionali, adesso chiamate Liberi Consorzi comunali e Città metropolitane, prima cancellate e poi resuscitate, insieme alle cariche elettive in precedenza abolite. Si dovranno fare i conti, in pratica, con l’impugnativa alla Legge regionale 17/2017 presentata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri di fronte alla Corte Costituzionale e con un impianto normativo da uniformare al contesto nazionale.
Un quadro che rappresenta bene l’ennesimo scempio perpetrato dalla classe politica isolana ai danni dell’Autonomia. E anche su questo delicatissimo punto Musumeci sembra intenzionato a mettere le mani, così come dichiarato anche in occasione del Forum con il QdS di cui è stato ospite in campagna elettorale, prima della vittoria alle elezioni. In quell’occasione il nuovo presidente della regione non ha esitato a definire “necessaria” una revisione dello Statuto siciliano, al fine di rilanciare le opportunità per l’Isola evitando i “privilegi inconfessabili” del passato.
 
Fondi Ue e statali non spesi
Una dotazione di oltre 17 mld di euro per un livello di spesa inferiore al 10%
 
“Un’efficiente gestione dei fondi europei rappresenterebbe, in effetti, l’unica vera risorsa per colmare il grave gap esistente tra la Sicilia con le altre regioni italiane e con gli altri paesi europei”, così si erano espresse le sezioni riunite della Corte dei conti presiedute da Maurizio Graffeo nella relazione sul rendiconto generale della Regione siciliana.
Tra le diverse tipologie di fondi europei (Fesr, Fse, Feasr, Fsc e Pac) la Sicilia ha una dotazione di oltre 17 miliardi di euro da investire per lo sviluppo. Ma ad oggi, ovvero al quarto anno del programma settennale (2014-2020) la Regione non ha raggiunto nemmeno il 10% della spesa. Difficile fare i conti tra una infinità di misure, programmi, assi, cofinanziamenti, ecc.
Grazie al Feasr 2014 -2020 la Sicilia ha disponibili 2,2 miliardi di euro; i fondi europei strettamente riservati all’asse Istruzione e Formazione (asse 3) sono circa 698 milioni. L’intero programma operativo Fesr Sicilia 2014-2020 prevede un finanziamento totale di 4,5 mld di euro. A questi devono aggiungersi i 5,7 mld del Patto per il Sud, 1,8 mld del Piano di azione e coesione, 2,3 miliardi di Fsc. Il programma più avanti con la spesa è l’Fse (poco più del 30%), molto indietro il Fesr (che prevede di raggiungere il 20% entro il 2018). Al 31 gennaio 2017 la spesa totale non raggiungeva i 525 mln di euro. Ora Musumeci deve accelerare se non vogliamo perdere parte di queste risorse.
 
Infrastrutture e Turismo
L’industria Blu non decolla Nel 2016 solo 13,4 mln di pernottamenti, meno di Malta
 
Nel 2016 l’Osservatorio turistico regionale ha registrato complessivamente 13,4 milioni di pernottamenti in Sicilia, un passo indietro rispetto alla performance certificata del 2015: 14,5 milioni di notti. E il dato, già di per sé non esaltante (noni in Italia), assume una dimensione ancora più imbarazzante se confrontato con le principali concorrenti. Nel 2016 alle Canarie si sono registrati 109,9 milioni di pernottamenti, alle Baleari 58 milioni nei soli alberghi (più almeno altri 40 nelle altre strutture ricettive, anno 2015). E Malta, nostra dirimpettaia, ha totalizzato 47.152 pernottamenti per chilometro quadrato. Un’isoletta di appena 316 kmq riesce a calamitare 14,9 milioni di notti in un anno con numeri da capogiro ad agosto.
In Sicilia solo poche aree urbane riescono ad attrarre turisti mentre gran parte del territorio non riesce “ad essere messo a frutto”. Il turismo genera solo il 4% del Pil regionale della Sicilia e ciò è dovuto (oltre ad una assenza di programmazione) a problemi infrastrutturali. Il tasso infrastrutturale dell’Isola calcolato dall’Istituto Guglielmo Tagliacarne, che prende in considerazione una media dell’indice delle infrastrutture (economiche, stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, e via dicendo), è di appena 82,56 punti, quello della Lombardia di 112, quello del Lazio 150.
Se il Ponte resta un’utopia, si attende da anni il completamento della Siracusa Gela. Ma questa è solo la punta dell’iceberg.
 
Rifiuti ed energia
Ultimi in Italia per la differenziata, l’80% della spazzatura in discarica e condanna da 2 mln a semestre
 
PALERMO – Raccolta differenziata al 15% (di 30 punti inferiore alla media nazionale), 80% dei rifiuti in discariche prossime alla saturazione, zero impianti energetici (contro i 41 presenti nel resto d’Italia), una procedura di infrazione aperta dalla Commissione Ue per l’assenza del Piano di gestione e una condanna da Bruxelles che nel 2014 è costata all’Italia una multa da 40 milioni di euro e continua a costare ancora oggi 2 milioni di euro a semestre. È questa la montagna di spazzatura, per restare in tema, che Nello Musumeci dovrà affrontare subito per evitare alla Sicilia una nuova emergenza.
Come abbiamo scritto in diverse occasioni, la prima cosa da fare in fretta è archiviare il sistema delle discariche, pericolose per la salute dei cittadini e a forte rischio di infiltrazioni mafiose. Bisogna fare però i conti con la realtà: oggi l’immondizia siciliana viene ammassata quasi tutta sottoterra. Secondo l’ultimo rapporto Ispra, l’Isola nel 2016 ha interrato circa 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti, l’80% dei 2,3 milioni prodotti. Si tratta del quantitativo più elevato tra le regioni italiane, a distanza siderale dalle migliori realtà nazionali: la Lombardia col doppio degli abitanti ne porta in discarica appena 199 mila tonnellate, il 4% dei 4,7 milioni prodotti.
Il rischio concreto e probabile è che le discariche si esauriscano e che sia indispensabile l’esportazione dei rifiuti. Non è soltanto uno spreco di potenziale carburante per produrre energia, ma anche un costo in più da sostenere, perché le stime realizzate dal dipartimento Acque e rifiuti collocano il costo del conferimento all’estero o in altre regioni tra 160 e 200 euro a tonnellata, cioè tra 60 e 100 euro in più a tonnellata rispetto alla media stimata nell’Isola.
 
Reti idriche e dissesto idrogeologico
Depurazione sotto il 50%, cantieri fermi e due condanne Ue. Acqua dispersa alla faccia della siccità
 
Sul fronte acqua c’è da mettersi le mani nei capelli. Sono tali e tante le criticità siciliane che il presidente dovrebbe forse inventarsi un assessorato dedicato solo alla loro risoluzione. La situazione più grave è quella della depurazione. Secondo gli ultimi dati Istat, a Palermo e Catania neanche il 50% della popolazione è allacciata alla rete fognaria. E questo nonostante la pioggia di risorse caduta in Sicilia. Nel 2012, il Cipe aveva stanziato un miliardo da investire sugli impianti, ma i cantieri, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono mai partiti. Intanto i ritardi della Regione sul trattamento dei reflui hanno “fruttato” due condanne e una procedura di infrazione della Commissione Ue. Soltanto in quest’ultima sono coinvolti 175 agglomerati isolani sui 758 totali a livello nazionale. In pratica, un’area inquinata su quattro si trova al di qua dello Stretto.
Dal mondo dell’acqua passano e si integrano altre due grandi emergenze regionali: la siccità e il dissesto. Invasi incompleti e condutture inadeguate sprecano l’acqua piovana e disperdono la risorsa immessa in rete. Stando all’ultimo aggiornamento dell’Anbi, in Sicilia ci sono quattro grandi infrastrutture idriche congelate nonostante 120 milioni di euro già investiti. L’esempio più eclatante è quello della diga Pietrarossa, ferma al 95% dei lavori nonostante si già costata oltre 70 milioni di euro.
Intanto, mentre si perde tempo sulle infrastrutture, le reti colabrodo continuano a fare acqua da tutte le parti. Secondo l’ultimo rapporto di Legambiente, a Palermo la dispersione idrica è addirittura aumentata tra il 2012 e il 2016 e ormai travalica abbondantemente il 50%, mentre Catania perde ancora una percentuale intorno al 45%. Assieme a Bari sono le tre città più sprecone d’Italia. Alla faccia della siccità.

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